Ieri la Giornata mondiale della libertà di stampa e della sicurezza dei giornalisti ha dovuto fare i conti con il triste resoconto dell’ultimi tempi. 19 giornalisti uccisi in 4 mesi e altri 174 ono stati incarcerati mentre svolgevano il proprio lavoro nelle zone di guerra o in paesi controllati da un regime politico repressivo. La stessa sorte è toccata a numerosi “netizen” – i cittadini della Rete, che spesso si occupano di fare informazione sul web: nove sono stati uccisi, mentre 162 sono stati arrestati. Questi numeri hanno spinto il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ad ammettere che “servono maggiori tutele attraverso il rispetto della legge” e ha esortati a “fare il possibile per tradurre le parole in azioni concrete per creare un ambiente più sicuro per i media”.
Ma in Italia come è fare il giornalista oggi? Sicuramente non c’è la guerra, o almeno non è dichiarata… il nostro Paese però “giace” al 57° posto tra i 179 paesi della classifica della libertà di stampa di Reporter Senza Frontiere. I giornalisti sono spesso minacciati e sono soggetti a pesanti intimidazioni solo per aver svolto il loro dovere cioè il “diritto di cronaca”. Chi minaccia i giornalisti? Secondo il sito “Ossigeno per l’Informazione” i primi a minacciare coloro che devono fare informazione sono i politici, gli industriali, i membri delle tifoserie di calcio.
Le regioni dove i giornalisti italiani rischiano di più sono Campania, Lazio, Sicilia, Piemonte e Lombardia, dove è stato registrato il maggior numero di denunce: 151 soltanto dall’inizio dell’anno e oltre mille negli ultimi sei anni.
Il ricordo va sempre a chi ha dato la vita per informare come Peppino Impastato, Ilaria Alpi, Giancarlo Siani ed Enzo Baldoni. E’ notizia delle ultime ore poi la scomparsa di Domenico Quirico, l’inviato in Siria de La Stampa di cui non si hanno più notizie dallo scorso 8 aprile.
Ma la vera nuova frontiera è l’informazione via web… ma anche qui gli attacchi non mancano. Una vera guerra che non conosce confini e sembra che il gusto ormai sia diventato l’attacco immotivato anche sull’evidenza più sconcertante. Forse una legge può tutelare e mettere un limite alla maleducazione e agli insulti ma purtroppo sono gli italiani a dover essere rieducati al senso dell’informazione, dell’immagine e della comunicazione.