“C’é stata una complicanza che in casi così gravi può accadere. Sono intervenuto perché chiamato durante l’intervento, ma il collega che operava é esperto. E non é vero che abbiamo sbagliato catetere”. Così all’ANSA Mario Dauri, primario anestesista del Policlinico Tor Vergata, sul caso della bimba morta.
“Abbiamo tentato di rianimare la bambina appena ci siamo resi conto della gravità della situazione. Non é stata abbandonata. E nessuno dell’equipe é andato a pranzo, come dice il padre”.
La piccola Gloria Maria, due anni e mezzo, era venuta a Roma con i genitori da Gela. Aveva bisogno di un trapianto di midollo, il donatore era già stato identificato nel fratello maggiore. Mercoledì un’operazione quasi di routine, preparatoria all’intervento vero e proprio, con l’inserimento di un catetere che avrebbe però provocato la morte della bimba.
“Personalmente ne sto soffrendo molto – ha continuato il medico -, sono anch’io padre di tre figli, mi metto nei loro panni. Sono estremamente addolorato ed esprimo un senso di assoluta solidarietà ai genitori. Comprendo la loro disperazione, purtroppo l’ematologia pediatrica é un ‘setting’ piuttosto pesante”.
Si è consumato un omicidio-suicidio nelle campagne di Gela, in provincia di Caltanissetta. Un pregiudicato e sorvegliato speciale, il 51enne Salvatore Greco, ha ucciso una donna e, dopo aver avvisato i carabinieri, si è tolto a sua volta la vita. La vittima dell’uomo era una 46enne che lavorava in una pizzeria e con la quale aveva una relazione. I militari li hanno trovati nei pressi di un casolare di campagna.
E’ scattato l’allarme ambientale oggi a Gela, in sicilia, a causa di una consistente perdita di petrolio da una tubazione dell’impianto Topping, nella raffineria Eni. Il greggio, dopo essersi riversato sul canale di scarico dell’acqua marina usata per il raffreddamento di talune apparecchiature della fabbrica, ha raggiunto la foce del fiume Gela. Ora il timore è che vengano inquinati il mare e la spiaggia a est della città Già mobilitate le imbarcazioni antinquinamento da parte della Capitaneria di porto e si è provveduto distendere le panne galleggianti per impedire al petrolio di espandersi nelle acque attorno alla foce del fiume mentre le idrovore tentano il recupero a bordo dei natanti appositamente attrezzati. La situazione sembra sotto controllo anche se si cerca di eliminare una parte di greggio già trascinata dalla corrente prima dell’intervento dei mezzi. Nel frattempo, all’interno dell’impianto è stata bloccata la perdita e si cerca di comprendere la causa della perdita. La direzione aziendale ha avviato un’ndagine, mentre un’inchiesta è stata aperta dalla procura della Repubblica del tribunale di Gela.
Su quanto accaduto è intervenuto anche Crocetta: “L’ennesimo episodio di sversamento a mare di petrolio proveniente dalla raffineria di Gela, all’indomani di una giunta di governo che proprio a Gela ha stabilito di potenziare nelle aree industriali siciliane le strutture di prevenzione sanitaria e cura sulle malattie tipiche dell’industrializzazione, obbliga il governo della Regione ad elevare il livello di soglia dei controlli da effettuare in quei siti». Lo ha detto in una nota il presidente della Regione Siciliana Rosario Crocetta. “Ritengo – continua il governatore – che in questi siti bisogna organizzare in loco task force specifiche composte da Arpa, Genio civile, Asp e uffici ambientali delle province, per esercitare un’azione continua e costante di controllo. Da tempo, per Gela, sono state concesse le autorizzazioni ambientali, regionali e nazionali, necessarie per rafforzare la sicurezza degli impianti. Convocherò – conclude il governatore – immediatamente l’Eni, l’Asp, l’Arpa, l’assessorato alla Salute e al Territorio e Ambiente per giovedì prossimo, per approfondire le ragioni di questo ennesimo incidente ambientale, su quali investimenti immediati intende promuovere la raffineria per risolvere la situazione in maniera definitiva”.
Era dallo scorso 19 aprile che l’imprenditore edile di Gela Emilio Missuto protestava davanti al Tribunale della sua città, in tenda o in auto. L’uomo ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la burocrazia dopo che la sua azienda è stata dichiarata fallita lo scorso anno per un debito di 37mila euro. L’imprenditore era in attesa d’incassare un milione di euro per lavori pubblici già realizzati in provincia di Carbonia, in Sardegna, mai liquidati. Missuto, che si definisce “vittima della burocrazia e di uno stato iniquo e ingiusto”, è stato ricoverato oggi al pronto soccorso dove gli è stata somministrata una flebo a cui hanno fatto seguito le dimissioni. 50 sono i dipendenti che hanno perso il lavoro, dopo aver portato a termine i lavori sull’isola, un’opera pubblica contestata dall’ente appaltante con un conseguente contenzioso giuridico. Per la sua attuale situazione, che ha portato alla chiusura non solo della sua azienda ma anche, a catena, di altre due società, Emilio punta il dito contro i magistrati che non avrebbero tenuto conto del carattere momentaneo della sua insolvenza. Sono 50 le persone rimaste senza lavoro mentre Missuto chiede giustizia a quelle “istituzioni statali e in particolare a quella magistratura che con me è stata severa e rapida mentre Carbonia continua a non decidere, riducendomi sul lastrico”. Cos’altro deve fare un cittadino per richiamare l’attenzione dello Stato?
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