Il Presidente della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, mercoledì alla sua 70esima edizione, non usa mezzi termini, ma un linguaggio duro e un po’ di turpiloquio per descrivere il suo pensiero e le sue opinioni. Ecco l’intervista di Alberto Barbera ad Andrea Purgatori di cui proponiamo solo alcuni passaggi, quelli che a nostro parere sono fondamentali per capire la filosofia e l’indirizzo della Mostra a pochi giorni dall’inizio.
Direttore Alberto Barbera, che compleanno sarà?
“Quello di una Mostra coraggiosa, perché abbiamo fatto scelte radicali. Ad esempio, ci saranno in concorso due documentari e due film che definirei estremi, in cui viene dissolto il concetto di narrazione cosi come lo conosciamo”.
Quali sono?
“Jiaoyou di Tsai Ming-Liang, dove c’é solo contemplazione e la profondità sta dentro l’inquadratura, nell’immagine che sei costretto a guardare per molti minuti e ti fa ritrovare la densità del mondo. Qualcosa che lo spettatore di oggi non è più abituato a fare. Idem Die frau des polizisten di Philip Groning, che ci ha sempre messi di fronte a una sfida. L’ultima volta con un film muto, sull’estraniazione dal mondo. Questo invece fa esplodere il racconto in frammenti che toccherà allo spettatore rimettere insieme come in un puzzle. Centosettantacinque minuti da vedere tutti dall’inizio alla fine. Un film duro, tecnicamente bellissimo”.
Non c’è il rischio che la sala si svuoti?
“Il rischio ce lo prendiamo tutto. Forse qualcuno uscirà, forse li odierà. Non importa. Potevamo pure decidere di metterli fuori concorso, ma se non facciamo noi delle proposte cosi, chi le fa?”.
Non è che questa selezione più che coraggiosa sia obbligata, visto che Venezia è schiacciata tra Cannes e Toronto?
“Ma no. Le scelte dei direttori dei festival sono determinate dai tempi di lavorazione dei film. Quelli che erano pronti a marzo, sono andati a Cannes. Quelli che non erano pronti, li hanno proposti a Venezia. E quelli che non ci sono non erano ancora pronti oppure non mi hanno convinto e non li ho presi. Chi dice che Venezia soffra la competizione con Cannes e Toronto dice una c*****a”.
Possibile che non ci sia neanche un film che le è sfuggito?
“Uno si”.
Il film di Daniele Luchetti?
“No, Daniele mi ha telefonato e mi ha detto: Alberto, abbi pazienza ma devo ancora riprendermi dall’ultima volta che sono stato in concorso a Venezia con I piccoli maestri e questo non te lo faccio neanche vedere. Mi e’ dispiaciuto, ma è andata cosi. Invece avrei voluto tantissimo 12 Years a slave di Steve McQueen, un film sulla schiavitù. Ma il marketing ha deciso di puntare sul mercato americano. Secondo me, sbagliando. Ma col marketing non vinci mai”.
Quindi, niente rinunce?
“Assolutamente. Tutti i film che volevo, li ho avuti. Quelli che andranno a Toronto o a New York, li ho visti e non li ho presi per le ragioni più diverse. Venezia continua ad essere il festival che fa tendenza, il resto sono balle”.
È anche il primo anno senza un film della Medusa di Berlusconi in concorso.
“Certo. E questo impoverimento dello scenario fa parte del problema. È indubitabile che Medusa abbia ridotto enormemente produzione e distribuzione, ma anche Rai Cinema ha ridotto investimenti e acquisti. Quindi, se persino i due top player fanno qualche passo indietro, tutto questo non può non avere una conseguenza sul complesso dell’industria, dell’offerta e della qualità”.