Luciano Ligabue, che ieri sera ha portato a termine la prima di 6 serate, all’arena di Verona ha avuto un piccolo incidente. E’ infatti caduto dal palco, ma si è immediatamente rialzato senza danni. Il video è stato diffuso su Wake Up News:
Dopo gli accertamenti clinici il responso è stato: “microfrattura alla spalla destra”. Ligabue ha comunque voluto garantire la presenza agli altri cinque concerti, che si terranno nei giorni 17-19-20-22-23 settembre, tornando sul palco più carico di prima.
Stasera è stata solo la prima serata per Ligabue all’arena di Verona, ma per tutti i suoi fan è stato davvero un concerto indimenticabile in attesa del suo ultimo album, dal titolo ancora top secret, che uscirà il 26 novembre.
tante le emozioni e soprattutto per Ligabue questo è stato anche un saluto, anzi un addio a un album che è uscito tre anni fa e che ha segnato profondamente il percorso professionale e personale del cantante. Tante le immagini anche che si sono succedute su “Buonanotte all’Italia”. Tanti volti che non ci sono più da Margherita Hack, Lucio Dalla, Little Tony, Vincenzo Cerami, Pietro Mennea, Stefano Borgonovo, Enzo Jannacci. Una Buonanotte triste, malinconica per un Italia che non c’è più.
Avrebbe compiuto 78 anni il 3 giugno Enzo Jannacci, mancato il 29 marzo di quest’anno. Per festaggiarlo, un gruppo di amici si è riunito e, con il figlio del cantante, Paolo, al pianoforte, hanno improvvisato una jam session a Palazzo Lombardia, sede della Regione. Roberto Maroni ha commentato l’evento in Twitter: “Abbiamo suonato qui al 39esimo piano per essere più vicini a dove si trova Enzo adesso”. Alle 20 e 13 un tweet di Roberto Maroni spiega così il senso di quella «jam session» improvvisata a Palazzo Lombardia, sede della Regione. Tra gli altri, presenti anche Paolo Rossi, Franco Cerri, Teo Teocoli, Renato Pozzetto, Cochi Ponzoni e Massimo Boldi. Il pubblico ha pottuo seguire l’evento su un monitor al piano terra, seguendo così anche la calata di Maroni nei panni di musicista mentre duetta un pezzo blues con Paolo Jannacci. Il preferito del politico, però, resta El purtava i scarp de tennis. “È profondo, perchè ci ricorda quanto sia importante stare con i piedi per terra – ha detto il governatore – Quanto si debba stare attenti a non lasciarsi affascinare dalle sirene del potere, ma rimanere sempre in mezzo alla gente, per lavorare e cercare di risolvere i problemi concreti”. Tra le tante testimonianze di affetto, Paolo Rossi ha definito il cantante “Uno dei miei maestri”: “Ne ho avuti tanti – ha sottolineato – ma solo Enzo mi ha insegnato a trovare le idee per strada”. Commosso il grande jazzista Franco Cerri: “Enzo era nato per fare il musicista, insieme ne abbiamo fatte di tutti i colori. E soprattutto ci siamo fatti tante bellissime risate”.
“Chi ha rubato i fiori del presidente Napolitano?”: avvolto dall’abbraccio delle nipoti, Dario Fo cerca di alleggerire con una battuta il dolore dei suoi cari prima della tumulazione della sua Franca, la cui salma è stata posta nel famedio del cimitero monumentale, al fianco della tomba di Enzo Jannacci, con il quale era amica fin dal 1963, quando si erano conosciuti al Derby, il locale milanese di cabaret dove allora passava il meglio della creatività irriverente meneghina. Tra Enzo Jannacci, Dario Fo e Franca Rame è nato allora un legame artistico, umano, cameratesco, amicale leale, solido e divertente come raramente succede nel mondo dello spettacolo e che non è mai terminato. La notizia della morte dell’amico, Franca l’ha appresa quando si trovava, con il marito, a Gubbio, all’università di Alcatraz, dove stavano tenendo un corso di teatro. “Sono disperata, disperata”, aveva detto tra le lacrime. Era stato proprio Dario Fo a tenere a battesimo, nel dicembre 1964, il disco di esordio di Jannacci, La Milano di Enzo Jannacci. Una collaborazione che continua e, nel 1968 arrivò anche Vengo anch’io. Da allora Enzo, Dario e Franca hanno continuato a mescolare allegre serate in famiglia e lavoro. Raccontava Franca: “E c’era anche la Pupa, la moglie di Enzo. Eravamo e siamo davvero amici fraterni, mi pare di conoscerlo da sempre. Quante cene e quante feste noi quattro insieme. E quanti lavori. Un giorno me li vedo arrivare a casa, Dario e Enzo, e mi dicono ‘senti che bella canzone che abbiamo creato’. E si mettono a cantare ‘o mio buon padre non bere quel vino / o mio buon padre / non bere quel vino che l’è avvelenà…..’. Era Donna lombarda, un celebre canto popolare lombardo. ‘Ladri’ ho detto. Erano due burloni mascalzoni”. E ancora un ultimo, struggente, ricordo. “Un anno fa era venuto a trovarci a Cesenatico. La mattina non mi riconosceva, per i sedativi che prendeva. Poi ci è tornato quest’estate e faceva l’impossibile per far vedere che stava bene. Continuava a ridere, faceva i bagni e sapevamo tutti che aveva le metastasi e che non stava bene. Ma aveva questa forza, la forza di continuare a ridere, anche se soffriva, perché soffriva. Era medico e sapeva tutto”.
Il suono degli strumenti di una banda ha accompagnato l’uscita della bara di Enzo Jannacci dalla Basilica di Sant’Ambrogio dove si sono appena conclusi i funerali. L’uscita del feretro, come l’ingresso, è stata accompagnata anche da un lungo applauso e da momenti di commozione. La salma del cantautore sarà sepolta al Famedio al cimitero monumentale di Milano.
Fra i primi ad arrivare anche l’amico Roberto Vecchioni: «Nessuno è mai riuscito a dare la dimensione di Milano come ha fatto lui». «Enzo era una persona che quando non c’era si faceva sentire ugualmente perché quando era presente dava un senso diverso alla serata. È lui che mi ha fatto cambiare carriera, è lui che mi ha fatto diventare un artista», le parole con cui Teo Teocoli ricorda l’amico Jannacci. «Era il vero collante tra di noi – ricorda il comico arrivato ai funerali con il collega Massimo Boldi -, tant’è vero che i suoi primi pazienti siamo stati io, Massimo Boldi, Cochi e Renato».
Ha preso le mosse da una una delle più famose canzoni di Enzo Jannacci ‘Vengo anch’io, no tu no’ l’omelia di Don Roberto Davanzo, direttore della Caritas ambrosiana che sta celebrando i funerali del cantautore nella basilica di San’Ambrogio a Milano. «Si potrebbe andare tutti quanti al tuo funerale… cantavi anni fa caro Enzo – ha esordito Don Davanzo – ebbene ora ci siamo al tuo funerale e siamo in tanti e siamo tutti».
«Ma nella canzone precisavi il motivo, la curiosità – per vedere se la gente poi piange davvero – ha proseguito il sacerdote durante l’omelia -. E anche questo te lo possiamo garantire: la gente ti voleva bene, ti vuole bene, perchè non si può non voler bene a chi con la sua arte ha dato voce a quelli che la voce non ce l’hanno, ai tanti anonimi sconfitti della storia».
Ma c’è anche chi rinuncia alla cerimonia… Adriano Celentano e la moglie Claudia Mori non riescono ad entrare nella Basilica di Sant’Ambrogio. La coppia si è quindi soffermata fuori dalla Chiesa per alcuni minuti e poi si è allontanata: «Avrei preferito poter assistere alla cerimonia – ha spiegato il Adriano – ma c’era troppa gente ed è giusto così».
Tu che sapevi avvicinare a quel mondo complesso che è la musica, tu che sapevi parlare di sociale con l’armonia delle tue note, tu che non avevi bisogno di parolacce per stupire nei tuoi monologhi, era il ritmo a trascinare il pubblico. Tu che facevi vivere lo spettatore, là sul palco insieme a te, raccontando del barbone morto di cui restano impresse solo le scarpe da ginnastica o dell’Armando… i drammi umani, i sentimenti e le emozioni. Ciao a te che sapevi sorridere e carezzare quella solitudine umana, quella nostalgia che si respira e che diventa poesia in ogni tua canzone. Tu che sapevi unire leggerezza e contenuti, tu che trasformavi uno spettacolo in un esperienza di vita, tu che sapevi dare al pubblico la tua visione del mondo, senza mettere maschere, filtri. La tua immediatezza, la tua arte e il tuo sguardo sulla vita saranno per sempre un insegnamento per ogni generazione, sia per quelle che ti hanno conosciuto, che per quelle che ti conosceranno attraverso le tue canzoni, i tuoi spettacoli, il tuo esempio. Ciao, Enzo!
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