Il sogno “proibito” di Travaglio!

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Il sogno “proibito” del giornalista Marco Travaglio è quello che Renzi possa iniziare un processo di riforme insieme al M5S. I tempi sono stretti e quindi bisogna muoversi in fretta. Un possibile pericolo è quello anche di vedere una linea più o meno tracciata tra il sindaco di Firenze e Berlusconi, anche perché il leader di Forza Italia ha già più volte esternato le sue simpatie per Matteo Renzi e per il suo programma.

“La luna di miele non durerà molto. […] Ed è difficile, per il segretario di un partito che per giunta non controlla né la maggioranza dei suoi parlamentari (espressione del Pd bersaniano, cioè di un’altra èra geologica) né la sua delegazione governativa (quasi tutta formata dagli sconfitti alle primarie), lasciare un segno tangibile di cambiamento.

“Perciò Renzi si agita tanto. Non solo, come dice Grillo, perché è “uno stalker in cerca di visibilità”. Ma anche perché cerca disperatamente sponde fuori dalla gabbia asfittica della maggioranza, anzi della minoranza di governo: la somma di Pd, Ncd, Sc e Udc nei sondaggi vale un terzo degli italiani.

“Renzi ha bisogno di numeri importanti per far passare qualche riforma molto popolare e dimostrare di non essere un parolaio come tutti gli altri.

“E quei numeri glieli possono portare solo Grillo o Berlusconi. Che sono i due leader dell’opposizione, il che spiega il terrore fra i guardiani dello stagno: Napolitano, Letta jr., giù giù fino ad Alfano, Monti, Casini e le altre anime morte. Berlusconi, anche morente, è molto più vispo di tanti quarantenni: infatti s’è subito infilato nel varco aperto da Renzi.

“Stupisce invece l’inerzia del Movimento 5Stelle, che paiono tornati in preda alla paralisi che li fregò alle consultazioni di marzo- aprile. Oggi come allora, è il momento di andare a vedere il gioco di Renzi. Se è un bluff, avranno il merito di averlo smascherato. Se è una cosa seria, divideranno con lui il merito di avere sbloccato l’impasse: siccome Renzi sa che un asse privilegiato con Berlusconi farebbe storcere il naso a molti dei suoi elettori, il M5S può rendere molto preziosi i propri voti in Parlamento, dettandogli alcune condizioni”.

Poi si arriva al programma della nuova maggioranza Matteo Renzi – Beppe Grillo, secondo Marco Travaglio:

1. “la rinuncia ai “rimborsi elettorali”  che metterebbe in ginocchio l’apparato Pd. Perché non sfidarlo [a Renzi] a mantenere la parola? Se non lo farà, peggio per lui. Se lo farà, non si vede cosa impedisca ai 5Stelle di fare ciò che Grillo predica da sempre: accordarsi in Parlamento sulle cose da fare.

2.  Una nuova legge elettorale (delle tre proposte di Renzi la seconda appare “utilissima”, quella che riproduce grosso modo il Mattarellum),

3. Unioni civili.

4. “Taglio delle prebende ai consigli regionali”.

Di “dubbia utilità” invece Travaglio giudica l’idea di Matteo Renzi di

5. “un Senato ridotto a carrozzone di consiglieri regionali”.

A queste, aggiunge Marco Travaglio, per reciprocità, M5S

“6. potrebbe chiedere di aggiungere un paio di propri cavalli di battaglia. E otterrebbe tre effetti collaterali mica da ridere: tagliare l’erba sotto i piedi al trio Napolitano- Letta-Alfano; mettere definitivamente fuori gioco Berlusconi e avvicinare le elezioni. Renzi si agita troppo, ma chi sta fermo è peggio di lui”.

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Chi ci sarà a Servizio Pubblico?

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Servizio Pubblico si occuperà di primarie del Pd, di crisi economica e della decadenza di Berlusconi. La puntata di questa sera dal titolo “Se non ora vaffa” vedrà confrontarsi in studio l’imprenditore Diego Della Valle, il Ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo ed il candidato alle primarie del Pd Giuseppe Civati. Al fianco degli ospiti della sera a coadiuvare la conduzione di Michele Santoro ci sarà Marco Travaglio con il suo tradizionale monologo che ancora una volta si abbatterà sulla politica e Vauro ceh completerà la serata con il suo tocco di ironia e le sue vignette satiriche.

 

Come sta il Pd? Arriva la diagnosi di Travaglio

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Il Pdl si sta scindendo e la guerra tra Alfano e Berlusconi potrebbe davvero minare il centro destra. Quale occasione migliore per il Pd? Ecco il momento che molti attendevano per dar vita a una nuova era democratica… invece tra tesseramento sospetto e personaggi con precedenti che diventano segretari di sezione, il Pd passa e la mano torna a quell’esecutivo in bilico che lotta tra la Stabilità, la decadenza e le intercettazioni del ministro Cancellieri. Letta, dagli attributi d’acciaio, solca tranquillo le onde alte e supera le maree ora che la decadenza si allontana e la chiarezza sul caso Cancellieri è stata fatta… intanto i partiti si sciolgono come neve al sole e Marco Travaglio analizza il grado di salute (sarebbe meglio parlare di malattia) del Pd:

Questa è una piccola storia locale, ma dà la misura di quel che è diventata la politica. Tutta. Perché – per dirla col Papa – “la corruzione dà dipendenza, come la droga”. E brucia non solo i miliardi, ma anche i cervelli. Dunque a Torino, nel congresso più pazzo del mondo, un tal Vincenzo Iatì viene eletto segretario del circolo Pd più glorioso e numeroso della città, quello della Barriera di Milano, che oggi conta ben 745 iscritti (più che raddoppiati dal 10 ottobre, quand’erano 346). Chi è Iatì? Un ex ragazzo del Sud che negli anni 90, nel paesone periferico di Borgaro, s’è arrabattato tra furti d’auto e ricettazioni, collezionando più di una condanna e più di un soggiorno nelle patrie galere.

L’ultima volta l’hanno arrestato in flagranza di reato perché picchiava la moglie, che prima lo denunciò e poi ritirò la querela. Forte di questo curriculum, ottenuta pure la riabilitazione del Tribunale di sorveglianza (istituto previsto per i pregiudicati che non commettano più reati nei successivi 20 anni), Iatì si dà alla politica.

E a cosa, se no? Parte da destra, infatti nel 2009 viene intercettato al telefono con Antonio Mungo, in lista col Pdl per il Comune di Borgaro e sostenuto – secondo gli inquirenti – da Benvenuto Praticò, considerato un “quartino” (cioè un vice-boss) della ‘ndrangheta, che lui stesso avrebbe messo in contatto col candidato. Poi passa ai Moderati, cioè agli ex berlusconiani trasvolati nel centrosinistra. Infine si butta a sinistra (si fa per dire), con i Verdi e poi con il Pd. Dei 700 iscritti in Barriera di Milano, 245 votano per lui, schierato con la corrente del sindaco Piero Fassino. Il quale, va detto, è un tipo accogliente ed ecumenico. Senza puzza sotto il naso, nel senso che non la sente proprio.

Il suo braccio destro in Comune è l’ex Pci Giancarlo Quagliotti, condannato per una tangente dalla Fiat. La longa manus dei fassiniani invece è l’ex craxiano Salvatore Gallo, anche lui pregiudicato per mazzette ospedaliere, dunque padrone di un quarto delle tessere del Pd sotto la Mole e padre di un assessore della giunta Fassino e di un dirigente dell’azienda comunale dei trasporti. E un alleato di ferro del compagno sindaco è un altro ex socialista, Giusy La Ganga, che ha patteggiato per Tangentopoli. Siccome non c’è il tre senza il quattro, è arrivato anche Iatì. Un anno fa Fassino e tutto il cucuzzaro stavano con Bersani favorito su Renzi. Ora, con agile balzo, stanno con Renzi favorito su Cuperlo. Hanno appena fatto eleggere segretario provinciale Fabrizio Morri, finito in un mare di polemiche per il caso Iatì. Ma lui si difende dicendo: “Non lo conosco”.

La Cancellieri vista da Travaglio: “una telefonata accorcia la galera”

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Marco Travaglio su Il Fatto Quotidiano scrive:

“In un paese normale il ministro della Giustizia non parla con i parenti di un’amica arrestata per gravi reati, rassicurandoli con frasi del tipo: “Qualsiasi cosa io possa fare, conta su di me”. Né tantomeno chiama i vicedirettori del Dipartimento Amministrazione penitenziaria per raccomandare le sorti dell’amica detenuta. Ma, se lo fa e viene scoperto da un’intercettazione telefonica (sulle utenze dei familiari della carcerata), si dimette un minuto dopo. E, se non lo fa, viene dimissionato su due piedi, un istante dopo la notizia, dal suo presidente del Consiglio. Siccome però siamo in Italia, il premier tace, il Quirinale pure. Come se fosse tutto normale”.

Uno dei passaggi chiave dell’editoriale di Travaglio è il seguente:

“Nel paese del sovraffollamento carcerario permanente, Anna Maria Cancellieri, prefetto della Repubblica in pensione, dunque “donna delle istituzioni” che molti in aprile volevano addirittura capo dello Stato, ha pensato bene di risolverlo facendo scarcerare un detenuto su 67 mila: uno a caso, una sua amica. Poi ha dichiarato bel bella ai magistrati torinesi che la interrogavano come testimone su quelle telefonate: “Si è trattato di un intervento umanitario assolutamente doveroso in considerazione del rischio connesso con la detenzione. Essendo io una buona amica della Fragni (Gabriella Fragni, compagna di Salvatore Ligresti, padre dell’arrestata Giulia, ndr) da parecchi anni, ho ritenuto, in concomitanza degli arresti, di farle una telefonata di solidarietà sotto l’aspetto umano”.

Travaglio sostiene che l’interessamento della Cancellieri:

“…non è stato solo “un intervento umanitario”, tantomeno “doveroso”, né una “telefonata di solidarietà”. È stata un’interferenza bella e buona nel normale iter della detenzione dell’amica di famiglia. Anche perché, dopo quella telefonata, ne sono seguite altre ai vicedirettori del Dap, Francesco Cascini e Luigi Pagano. Che, a quanto ci risulta, hanno – essi sì, doverosamente – respinto le pressioni, spiegando all’incauta Guardasigilli che la detenzione di un arrestato compete in esclusiva ai giudici, non ai politici”.

Travaglio scrive che, sebbene la giustizia abbia fatto il suo corso, il ministro avrebbe “dovuto astenersi”:

“Eppure la Cancellieri avrebbe dovuto astenersi anche dal pronunciare il nome “Ligresti”, specie dopo la retata che portò in carcere l’intera dinastia, visti i rapporti non solo familiari, ma anche d’affari che suo figlio Piergiorgio Peluso intrattiene con don Salvatore e il suo gruppo decotto. Peluso è stato prima responsabile del Corporate & Investment banking di Unicredit, trattando l’esposizione debitoria del gruppo Ligresti verso la banca; poi divenne direttore generale di Fondiaria Sai (gruppo Ligresti) dal 2011 al 2012; e quando passò a Telecom, dopo un solo anno di lavoro, incassò da Ligresti una buonuscita di 3,6 milioni di euro. Un conflitto d’interessi bifamiliare che avrebbe dovuto sconsigliare al ministro di occuparsi della Dynasty siculo- milanese”.

L’articolo di Bansky che il New York Times non pubblica

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Forse l’editoriale di Bansky che critica il complesso in costruzione a Ground Zero era davvero troppo underground e poco politically correct. Fatto sta che l’artista di murales non si è perso d’animo e dopo che il suo articolo è stato rifiutato dal New York Times, ha pensato bene di pubblicarlo sul suo sito

“Non abbiamo trovato un accordo sull’articolo, e lo abbiamo rifiutato”, ha confermato la portavoce del Nyt, Eileen Murphy.

Bansky risponde così “Oggi doveva esserci un mio editoriale sul Nyt, ma hanno rifiutato di pubblicare ciò che ho scritto”, si legge sul sito dell’artista britannico. Il pezzo, dal titolo ‘Shyscraper’ – giocando sulla parola ‘shy’, timido, e ‘skyscraper’, grattacielo – spara a zero sul Freedom Tower, od One World Trade Center, il palazzo costruito nel luogo dove sorgevano le Torri Gemelle.

“L’11 settembre ha rappresentato un attacco contro tutti noi e la risposta qual è? 104 piani di compromesso”, scrive Banksy, spiegando che il palazzo non mostra i muscoli e non rappresenta una degna ‘reazione’ all’attacco. Da qui la definizione di ‘grattacielo timido’. L’artista sostiene che il One World Trade Center ricorda “un ragazzo molto alto ad una festa, che goffamente curva le spalle cercando di non distinguersi dalla folla”.

Mi costi, ma quanto mi costi? Travaglio e le “Larghe Spese”

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Marco Travaglio nel suo editoriale riporta:

Berlusconi ha annunciato che vuole un governo balneare e che vuole cercare i voti uno per uno. È una compravendita penosa e vergognosa. L’unico atto da compiere è prendere atto che la maggioranza non c’è più e dimettersi”. Basta sostituire il nome di Berlusconi con quello di Enrico Letta, e questa dichiarazione potrebbe urlarla oggi il Cavaliere in faccia al nipote dello zio Gianni. Invece la urlò Letta jr. in faccia a Berlusconi esattamente tre anni fa, il 9 settembre 2010.

Il terzo governo B. pareva sul punto di cadere sotto i colpi dei transfughi finiani e lui aveva iniziato il reclutamento per ricomprarsi qualche deputato. Un po’ come sta avvenendo oggi a parti rovesciate per salvare le sempre meno larghe intese, con la campagna acquisti last minute dei diversamente berlusconiani. Gli Alfanidi. Qualcuno dirà che ora è tutto diverso, l’Europa ci guarda, il Paese affonda, la casa brucia. Ma è il solito ritornello: la compravendita del vicino è sempre più sporca. La tua invece è pulita, profumata, per il bene del Paese.

Per non offendere i voltagabbana del momento s’inventano nomi di fantasia: “responsabili” (se li compra B.) o frutti dello “scouting” (…). Ricordate Follini? Quando passò da vicepremier di B. a parlamentare Pd fu subissato di fischi e pernacchie dagli stessi che pochi mesi prima esaltavano il nobile tormento interiore di De Gregorio, trasvolato dall’Idv al Pdl in cambio della commissione Difesa e (si scoprì poi) di 3 milioni (2 in nero).

È una storia vecchia almeno come la Seconda Repubblica, iniziata nel ’94 col primo governo B. che ottenne la fiducia al Senato grazie alle piroette di Luigi Grillo, Tremonti, Cecchi Gori e altri due eletti col Centro di Segni e Martinazzoli. La sinistra restituì la pariglia nel ’98, quando D’Alema – caduto Prodi che non volle comprare nessuno – entrò a Palazzo Chigi sulle baionette degli “straccioni di Valmy”, come Cossiga nobilitò la truppa raccogliticcia degli ex centrodestri convertiti sulla via di Buttiglione e Mastella. “Governo Giuda!”, strillò Urbani. “Saltimbanchi, truffatori, massoni, boiardi di Stato che strisciano come vermi”, tuonò Micciché, mentre Fini bollò quel “governo di rigattieri” con lo stesso epiteto usato decenni prima da Alberto Giovannini per squalificare i monarchici che avevano tradito Achille Lauro per la Dc: “Puttani”. (…)

Più o meno quel che accade ora fra i diversamente berlusconiani. E anche lo scambio politico, quando lo faceva B., veniva giustamente censurato dal Pd: “La campagna acquisti di Berlusconi – spiegò Bersani – deforma la democrazia: lui promette a chi è ‘ragionevole’ di rinominarlo in Parlamento grazie a una singolare legge elettorale” (17.9.2010) e “se uno promette la rinomina o comunque uno stipendio è corruzione, roba da magistratura” (28.9.2010). Ora manca soltanto che qualcuno si denunci da solo.

Lacrime di coccodrillo ovvero Napolitano visto da Travaglio

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Attacca duro Marco Travaglio e l’editoriale post crisi parla del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, Secondo Travaglio. Da qualche tempo Napolitano avrebbe intrapreso la strada del “monitus cum lacrimis”:

Da qualche tempo a questa parte, appena prende la parola, il che gli accade ormai di continuo, in una logorrea esternatoria senza soste, anche due volte al giorno, prima e dopo i pasti, il presidente della Repubblica piange. È una piccola variante sul solito copione: il monito con lacrima. A questo punto mancano soltanto le scuse al popolo italiano, unico abilitato a disperarsi per lo schifo al quale è stato condannato da istituzioni e politici irresponsabili. Cioè responsabili dello schifo. L’altro giorno, mentre Letta Nipote garantiva agli americani che il suo governo era stabile e coeso come non mai e B. raccoglieva le firme dei suoi 188 servi in Parlamento per minacciare di rovesciarlo, Napolitano definiva “inquietante” la pretesa del Caimano di condizionarlo per fargli sciogliere le Camere e interferire nei processi giudiziari. E lo dice a noi? Sono anni e anni che lui, non noi, corre in soccorso dell’Inquietante non appena è in difficoltà. Lo fece nel novembre 2010, quando Fini presentò la mozione di sfiducia al governo B. e lui ne fece rinviare il voto di un mese, dando il tempo all’Inquietante di comprarsi una trentina di deputati. Lo rifece nel novembre 2011, quando B. andò a dimettersi per mancanza di voti alla Camera, e lui gli risparmiò le elezioni anticipate, dando il tempo all’Inquietante di far dimenticare i suoi disastri quando i sondaggi lo davano al 10 per cento.

Lo rifece quest’anno, dopo la batosta elettorale di febbraio (6,5 milioni di voti persi in cinque anni): prima mandò all’aria ogni ipotesi di governo diverso dall’inciucio, tappando la bocca ai 5Stelle che chiedevano un premier fuori dai partiti; poi accettò la rielezione al Quirinale, sostenuta fin dal primo giorno proprio da B., quando ancora Bersani s’illudeva di liberarsi della sua tutela; infine impose le larghe intese, in barba alle promesse elettorali di Pd e Pdl, e nominò premier Letta Nipote che, come rivela Renzi nel suo libro, era stato scelto da B. prim’ancora che dal Pd. L’idea di consultare gli elettori gabbati per sapere che ne pensavano (come si appresta a fare l’Spd con un referendum fra i suoi elettori prima di andare a parlare con la Merkel), non sfiorò nessuno. Tanto i giornaloni di destra, centro e sinistra suonavano i violini e le trombette sulla “pacificazione” dopo “vent’anni di guerra civile”. E B., semplicemente, ci credette: convinto che Napolitano e Pd l’avrebbero salvato un’altra volta. Il Fatto titolò: “Napolitano nomina il nipote di Gianni Letta”. Apriti cielo. A Linea notte Pigi Battista tuonò contro quel titolo “totalmente insensato, eccentrico, bizzarro, non certo coraggioso” perché “non riconoscere che Enrico Letta sia una figura di spicco del Pd e scrivere che la sua unica caratteristica è essere nipote di Gianni Letta è una scemenza. Non vorrei che passasse l’idea che ci siano giornali, come il Corriere su cui scrivo, accomodanti e trombettieri, e altri che dicono la verità, sono coraggiosi, stanno all’opposizione”.

Ieri il coraggioso Corriere su cui scrive Battista pubblicava le foto di Enrico e Gianni Letta imbalsamati che sfrecciano sulle rispettive auto blu dopo l’incontro al vertice di venerdì, quando “a Palazzo Chigi arriva anche lo zio di Enrico, Gianni Letta. Incontri non risolutori, che preparano il colloquio delle 18 al Quirinale”. C’era da attendersi un puntuto commento del coraggioso Battista per sottolineare quanto fosse insensata, eccentrica, bizzarra questa simpatica riunione di famiglia fra il premier e lo zio, sprovvisto di qualunque carica pubblica, o elettiva, o partitico, che ne giustificasse la presenza a Palazzo Chigi. L’indomani Napolitano lacrimava alla Bocconi perché B. ha “smarrito il rispetto istituzionale”. Perché, quando mai in vent’anni l’ha avuto? Per smarrire qualcosa, bisognerebbe prima possederla.

Intanto il ministro Franceschini, in Consiglio dei ministri, si accapigliava con Alfano: “Voi volete solo salvare Berlusconi!”. Ma va? E quando l’ha scoperto? Infine ieri, mentre tutti parlavano di fine del governo e di “punto di non ritorno”, Napolitano dimostrava che il punto di non ritorno non esiste, la trattativa Stato-Mediaset è più che mai aperta: infatti chiedeva, eccezionalmente a ciglio asciutto, “l’indulto e l’amnistia”. Ma sì, abbondiamo. Così sparirebbero per incanto i processi Ruby-1 e Ruby-2, De Gregorio, Tarantini, Lavitola, la sentenza Mediaset e tutti i reati commessi da B. ma non ancora scoperti. I detenuti perbene dovrebbero dissociarsi e rifiutare di diventare gli scudi umani per B.&N., a protezione del sistema più marcio della storia. Essi sì avrebbero diritto a versare qualche lacrimuccia. Invece in Italia lacrimano solo i coccodrilli: chi è causa del nostro mal, piange al posto nostro.

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