Il quotidiano statunitense, autore di scoop storici come quello sul Watergate, è stato acquistato da Jeffrey Bezos, il fondatore di Amazon per 250 milioni di dollari. “L’acquirente – si legge in una nota – è un’entità che appartiene a Bezos come individuo e non è Amazon.com”.
Cambio di un era?
Dopo quattro generazioni che il Washington Post apparteneva alla famiglia Graham, ora arriverà una gestione tutta diversa, che arriva dopo 10 anni di difficoltà finanziarie che ha investito tutti i media tradizionali tra cui anche il Washington e che ha portato un calo dei ricavi operati pari al 44% negli ultimi 6 anni:
“Ogni membro della famiglia era scioccato alla sola idea di una vendita. Ma quando l’ipotesi di una transazione con Jeff Bezos ha preso piede, i sentimenti sono cambiati. Il Post – afferma Donald Graham, amministratore delegato della società – sarebbe sopravvissuto e avrebbe continuato a essere redditizio per un prevedibile futuro sotto l’attuale proprietà. Ma non vogliamo solo sopravvivere. Non dico che questo assicura il successo, ma aumenta le nostre chance di successo”.
Noi siamo terra di conquista per i francesi, ma se sono gli italiani a voler “salvare” e acquisire una ditta francese oltralpe la storia cambia. A raccontarlo è Fabio Franceschi, presidente della Grafica Veneta (società che stampa tra l’altro il magazine per il New York Times, il brasiliano O Globo, lo spagnolo El Pais e la russa Pravda), al Corriere di Padova, raccontando la sua esperienza dopo mesi di tentativi per acquisire il gruppo francese Cpi colosso da 3600 dipendenti: «Stiamo lavorando da sei mesi a quest’operazione, sono coinvolti 21 avvocati». La trattativa però non è affatto conclusa, perché i francesi stanno ponendo, secondo Grafica Veneta, numerosi ostacoli: “Grafica Veneta può contare su 350 mila euro di ricavi per dipendente, Cpi ne fa 130 mila a dipendente. Serve una ristrutturazione, è evidente, ma noi puntiamo a non lasciare a casa nemmeno un collaboratore e a investire 100 milioni in un anno per trasferire la nostra tecnologia”. L’impegno finanziario non sembra affatto spaventarlo ma anzi, rilancia: “Grafica Veneta può affrontarlo usando, per la metà del valore, la sua cassa e per metà a debito senza portare la leva oltre il tre per cento. La cosa che, a questo proposito, mi ha fatto molto piacere è che tutti i nostri fornitori ci hanno già fatto sapere che sono con noi. Dai primi cinque editori al mondo alle cartiere”.
Insomma sembrerebbe sempre più valida l’ipotesi che l’Italia sia una terra di conquista e che invece non possa, come sarebbe giusto ed equo in un’Europa senza più confini, ambire a rilevare, ristrutturare e rilanciare un’azienda francese… non sarebbe un tema su cui discutere ai vertici europei e trovare una normativa comune che consenta agli imprenditori di avere regole certe e comuni in tutta la zona euro? Forse gli italiani all’estero possono piacere solo quando si lasciano comprare?
Dopo 4 anni La Stampa ha deciso di aumentare il costo del suo quotidiano che passa da 1,20 a 1,30. Come viene spiegato sull’annuncio il rincaro è dovuto alla crisi dell’editoria, al calo della raccolta pubblicitaria dovuta alla congiuntura economica e alla scarsità della domanda. Come si legge nell’articolo in cui si avvisano i lettori che verrà da domani applicato il rincaro:
La situazione dell’informazione in tutto l’Occidente è difficilissima, aumentano i lettori – soprattutto su Internet – ma i conti tornano sempre meno. Abbiamo tagliato al massimo i nostri costi, ma c’è un limite oltre il quale a farne le spese sarebbe la qualità del prodotto. Noi, che non prendiamo finanziamenti pubblici, ma viviamo del vostro acquisto quotidiano, vogliamo continuare a innovare e migliorare, a mandare inviati a raccontare le guerre e i viaggi del Papa, i delitti e le elezioni, gli sprechi e le buche sotto casa.
Era nell’aria da giorni. Le indiscrezioni che parlavano di un rastrellamento dei diritti di opzione in Borsa di Diego Della Valle sul titolo Rcs avevano fatto intendere che ci fosse un altro concorrente. Ora la Fiat esce allo scoperto. L’azienda automobilistica, già impegnata per la sua quota parte dell’aumento Rcs, ha acquistato altri 10.700.000 diritti di opzione che danno diritto alla sottoscrizione di 32.100.000 azioni Rcs. “Al termine dell’aumento, nel caso in cui risulti integralmente sottoscritto, la partecipazione sarà pari al 20,135%”
A cedere i diritti sul mercato erano stati l’imprenditore della sanità, Rotelli, i Benetton, Merloni e le Generali. Tutti azionisti di via Solferino che avevano deciso di non sottoscrivere l’aumento di capitale di Rcs da 400 milioni di euro.
Moccia ritorna tra gli scaffali e lo fa con “Quell’attimo di felicità”, un libro che ripercorre le vicende di due amici, due 20enni, di Roma Nord, Nicco e Ciccio, i quali in comune hanno il numero due. Il primo ha due lavori il secondo due ragazze. Incontreranno due turististe americane, Ann e Raily, e per una settimana le porteranno a fare il giro della capitale. Tra luoghi comuni che attraversano Trastevere e il Pantheon e un’inevitabile storia d’amore, Moccia sembra proporre un modello anni ’50 con tanto di copertina su cui “spopola” una coppia in Vespa, chiaro richiamo a Vacanze romane (di cui suo padre Pipolo-Giuseppe Moccia, già fece il remake Innamorato pazzo con Celentano-Muti). Poi “l’originalità” della seconda parte che cambierà da paese a paese secondo il luogo di pubblicazione del libro.
Ma è lo stesso Federico Moccia che in un’intervista a Il Giornale spiega il senso di questa scelta tipografica:
«Tipo, prendi la scena della festa: in Grecia si ballerà il sirtaki e si mangerà il souvlaki, in Russia si berrà la vodka e si farà quel ballo lì dove stanno con le braccia incrociate, il ballo della steppa. Dà più calore e nel momento in cui tu leggi è più divertente, crea appartenenza».
Quindi si cambia ogni volta?
«So già quali sono i blocchetti che devo cambiare insieme al traduttore. La storia rimane la stessa, cambiano i piatti, i paesini da cui provengono le straniere… Prenderemo paesi piccoli, mica Barcellona o Madrid. Così c’è il senso della scoperta».
E come si chiama questa “nuova” forma editoriale?
«Alla fine poi è il concetto di formattizzazione, come le trasmissioni tv che vengono ripetute nei vari Paesi. Un adattamento. Come lo potremmo chiamare? È un Personal International Book. Un libro che parla di te. Un Pib».
Ma se il “format” è nuovo forse non è nuova la storia… non stride, nel 2013, parlare dell’italiano con la straniera?
«Ma da tanto non se ne parlava. Mi interessava tornarci, anche per un’indagine. Che combina l’italiano all’estero? È ancora romantico mentre gli inglesi sono ubriaconi e i tedeschi frettolosi nel fare l’amore? È ancora il più bravo a corteggiare?».
Forse non se ne sentiva il bisogno? Forse oggi abbiamo bisogno di integrazione piuttosto che di epiteti che si rifanno a vecchi luoghi comuni? Forse avremo bisogno di “sdoganarci” internazionalmente e non andare all’estero riproponendo gli anni ’50? Forse, ma secondo Moccia:
«Continuiamo a essere i migliori, anche se abbiamo perso un po’ di smalto. Dobbiamo ricrearci l’immagine di ragazzo simpatico, sportivo, calciatore che vince ai Mondiali, che sa cantare le belle canzoni, ti fa la serenata, ti fa ridere e ti ascolta anche se non capisce la lingua. Un uomo pieno di attenzioni».
Questa è davvero l’immagine che vogliamo dare all’estero? Ancora una volta l’italiano pizza e mandolino? Naturalmente sì, da quanto si evince dalla scelta di Moccia quando il giornalista chiede chi sceglierebbe tra Totò e Gigi Rizzi:
«Gigi Rizzi rimane l’uomo che ha conquistato la donna più amata al mondo, l’esploratore che ha piantato la bandierina. Può sembrare maschilista, ma allora la donna era vista più che mai come un continente da conquistare. Io lo intendo con simpatia. Nicco e Ciccio sono una nuova versione di Totò e Peppino alla scoperta della Grande Mela, però con Dragon nel telefonino che ti traduce le frasi».
E forse è proprio il suo protagonista Ciccio, al volante della Tigra, il “vecchio” italiano che si è spolverato e ritorna prepotentemente sulle pagine di Moccia…
«Ogni volta a Piazza Navona o a Fontana di Trevi mi sorprendo: le straniere si accompagnano sempre a dei bori, dei cafoni. Mai ragazzi carini, eleganti. Alla fine è sempre il boro che la vince. Forse perché si agita di più».
Ma dove stanno i cafoni di Piazza Navona e di Fontana di Trevi? Dove stanno i “bori”? Sicuramente l’immagine è un po’ forzata, perché in giro a Roma non ci sono più luoghi comuni… magari c’è degrado a Campo de Fiori, a Trastevere e in quei luoghi dove si affollano i turisti… ma quel clima da “Dolce Vita” non appartiene più a una Capitale ombra di se stessa.
Il contrario di Jep Gambardella. Altro che La grande bellezza.
«Quella è un’ottima rappresentazione di una Roma adulta, un respiro antico, le statue, le chiese, gli androni, i personaggi della Chiesa, il riflesso felliniano… Un giovane di tutto questo non s’accorge neanche. Alle statue si vuole appoggiare per baciare la ragazza. La passione ha il sopravvento sul capitello. La luna sui Fori è il ricordo di un paio di labbra. La Roma che racconto io è piena di passione, delusione, sofferenza come solo a vent’anni».
Quali ventenni? Quelli superficiali? Dove sono quei ventenni spensierati se oggi sono tutti preoccupati dalla disoccupazione e dall’identità persa dentro la distruzione di un “male di vivere” che non ha nulla di poetico, ma solo una devastante realtà di impotenza?
Forse Moccia torna a quello stereotipo di ventenni un po’ démodé dopo che il romanzo sui trentenni, L’uomo che voleva amare, ha venduto poco?
«Ha venduto 225mila copie. È stato ampiamente ripagato. Chi sceglie me ha sempre un risultato positivo. Eravamo abituati ad altre cifre: un milione e otto Tre metri sopra il cielo, uno e tre per Voglia di te. Ma le mode vanno e vengono perché nella società tutto cambia: ne rimangono 150mila che ti apprezzano fissi, a ogni libro. Però quando scelgo una storia non mi faccio condizionare, sennò non fai niente».
Ma a Ponte Milvio ci passa spesso?
«Abito lì vicino. Vado a comprare il pane, al baretto dei cocomeri, ai negozietti dell’usato, a mangiare al Sicilia in Bocca».
E i lucchetti aumentano?
«A dispetto di chi non li vuole. Non puoi negare la forza dell’amore».
Sequestro preventivo dei beni per un valore di 12 milioni di euro alla società Settemari che ha tra i principali soci i deputati del Pdl Denis Verdini e Massimo Parisi. Il provvedimento è stato eseguito per ordine della Procura di Firenze. L’accusa è di indebita percezione di fondi per l’editoria.
S’intitola “Ferite a morte” ed è la “voce” di chi non ce l’ha fatta. Così Serena Dandini prova a raccontare l’orrore che sta attraversando il mondo in ogni sua latitudine e che non risparmia neppure l’Italia. Femminicidio, ovvero quando a uccidere è chi ti “ama”! Morire per voglia di possesso, per frustrazione maschile, per incapacità di eleborare la fine di uan relazione. Da lavoro teatrale “Ferite a morte” diventa pagina, un libro per non dimenticare la violenza brutale!
L’imprenditore Angelo Rizzoli è stato arrestato stamani a Roma. L’ordine di custodia cautelare è stato eseguito dalla Guardia di Finanza su disposizione della Procura di Roma. E’ accusato di bancarotta fraudolenta Angelo Rizzoli, arrestato questa mattina a Roma dal nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza della capitale. La Procura capitolina contesta a Rizzoli un crac finanziario da 30 milioni di euro. Sequestrate società e immobili per un valore di 7 milioni.
Conferenza stampa oggi per l’evento editoriale più importante d’Italia. Il Salone del Libro si terrà a Torino dal 16 al 20 maggio 2013. Il Paese ospite quest’anno sarà il Cile, il personaggio da celebrare D’Annunzio e un leitmotiv basato sulla creatività. Speriamo che tutto questo basti per battere il record dell’anno scorso di 317mila visitatori.
*A day in the life of the Vixen, a blog about EVERYTHING & ANYTHING: Life advice, Sex, Motivation, Poetry, Inspiration, Love, Rants, Humour, Issues, Relationships & Communication*