E’ stato presentato ieri a Bruxelles, presso il centro di ricerca Bruegel, il rapporto McKinsley, condotto su otto Paesi Ue. E se il primo dato è già noto: “La disoccupazione giovanile in Italia è raddoppiata dal 2007, toccando il 40% nel 2013”. (41,6% oggi, ndr), la seconda notizie è anche più allarmante: “Tuttavia, questa cifra è solo parzialmente dovuta alla crisi economica: i problemi ribollono molto più nel profondo… Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti, e questa è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati”. Infatti, guardando agli altri stati, si trova lo stesso lamento fra il 45% degli imprenditori greci, il 33% degli spagnoli, il 26% dei tedeschi. Quello che manca quindi in Italia, e che pure gli imprenditori cercano ma senza successo, sono gli skill , le attitudini, le capacità, i talenti richiesti da questo o quel settore. “Non hanno le informazioni su come prendere decisioni strategiche”. Domanda e offerta non si incontrano, e nessuno spread riesce a farle metterle in contatto, a far scattare il semaforo. Sempre il dossier spiega che “la Ue ha il più alto tasso di disoccupazione ovunque nel mondo, a parte il Medio Oriente e il Nord Africa”. Per poi sferzare: “In Italia, Grecia, Portogallo e Regno Unito sempre più studenti stanno scegliendo corsi di studio collegati alla manifattura, alla lavorazione, nonostante il brusco calo nella domanda in questi settori. E in generale, non è una cosa positiva vedere un ampio numero di giovani scommettere il loro futuro su industrie in decadenza… Ci sono abbinamenti sbagliati, educatori e imprenditori non stanno comunicando fra loro”. Ed è quanto accade in Italia: “Datori e fornitori di lavoro o di istruzione hanno percezioni molto differenti. Il 72% degli educatori in Italia pensano che i ragazzi abbiano le attitudini di cui avranno bisogno alla fine della scuola; ma solo il 42% degli imprenditori concorda con questo. La percezione di questo divario riflette una mancanza basilare di comunicazione. Solo il 41% dei datori di lavoro dice di comunicare regolarmente con i dirigenti delle scuole, e solo il 21% considera questa comunicazione effettiva”. Quello che è necessario, quindi, è “incoraggiare gli educatori a insegnare quello che gli imprenditori richiedono”. Ancora una volta, il problema è quello che gli imprenditori desiderano e le competenze reali dei giovani. Ad esempio, in Italia, il “desiderio” o bisogno imprenditoriale di una buona conoscenza dell’inglese fra i propri dipendenti è soddisfatto solo dal 23% degli aspiranti, e quello di una competenza informatica appena dal 18%. Mentre la richiesta di creatività, che in Germania trova solo un 13% di risposte fra i giovani, in Italia arriva al 19%. Ma resta anche un concetto assai vago. Gli imprenditori, inoltre, desiderano innanzitutto “conoscenza pratica”, in qualunque settore (risposta del ventenne: ma dove la faccio, l’esperienza, se tu non mi assumi?). Mentre il lavoro più ambito dai nostri giovani è il creatore di siti Web (61% contro il 58% di «sì» dei giovani tedeschi): e però cercansi attitudini supportate da conoscenze, anche qui. E per quel che riguarda gli stage, i periodi di rodaggio in azienda, un tempo considerati isole di speranza e anello diretto fra la scuola e il lavoro? Il 61% in media dei giovani europei trova un posto di lavoro al termine di uno stage. In Italia, sono meno del 46%. E ancora: Portogallo, Italia e Grecia hanno la più alta percentuale di giovani che riferiscono di non aver potuto frequentare l’università per ragioni economiche; “ed è in questi tre Paesi che la più bassa proporzione di giovani (sotto il 40%) ha completato l’istruzione post-secondaria”.
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