12.9%. E’ questo il tasso di disoccupazione emerso dai dati provvisori Istat che mostrano quindi un aumento di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,1 punti nei dodici mesi. I disoccupati sfiorano i 3,3 milioni. Si tratta del tasso più alto dall’inizio delle serie storiche mensili, ovvero gennaio 2004, e di quelle trimestrali, cioè il primo trimestre del 1977. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 293 mila, aumenta dell’1,9% rispetto al mese precedente (+60 mila) e dell’8,6% su base annua (+260 mila). A farne le spese anche i giovani, con il tasso di disoccupazione che sale al 42,4%, in aumento di 0,7 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 4 punti nel confronto tendenziale. Anche in questo caso, si tratta del tasso più alto dall’inizio delle serie storiche mensili, ovvero gennaio 2004, e di quelle trimestrali, cioè il primo trimestre del 1977. I 15-24enni disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca sono 690 mila. Scrive l’Huffington Post:
La dimensione dell’emergenza occupazionale emerge anche se si guarda all’andamento del mercato del lavoro nell’intero 2013: secondo l’Istituto di statistica, l’anno scorso gli occupati sono diminuiti di 478 mila persone (-2,1%) rispetto al 2012, ovvero di quasi mezzo milione. Si tratta della maggiore emorragia di occupati dall’inizio della crisi. I disoccupati, nella media del 2013, hanno raggiunto quota 3,1 milioni con un aumento del 13,4% rispetto al 2012; quasi la metà dei disoccupati risiede nel Mezzogiorno (un milione 450 mila). L’anno scorso il tasso medio di disoccupazione è arrivato al 12,2%. Era al 10,7% l’anno precedente.
Di fronte a simili dati record, il neo ministro Matteo Renzi non poteva certo restare indifferente e già in mattinata si è rivolto agli utenti della rete con un Tweet:
John Elkann aveva lanciato una bomba dicendo che i giovani italiani “stanno bene a casa” e le polemiche sono fioccate da ogni parte. Ora il rampollo di casa Agnelli respinge le critiche parlando di “polemiche demagogiche, strumentalizzazioni”. Il presidente di Fiat afferma: “Personalmente sono rammaricato che un messaggio nato per essere di incoraggiamento alla fine sia stato interpretato come un segnale di mancanza di fiducia nei giovani”. Elkann cerca il chiarimento con un intervento sul sito della Fondazione Agnelli: “Non credo e non ho mai detto che il problema della disoccupazione, quella dei giovani in particolare, non esista né che tutto dipenda dalla mancanza di determinazione di chi cerca lavoro. Ho invece posto l’accento su cosa è possibile, anzi si deve fare, proprio ora che la debolezza dell’attuale quadro economico, soprattutto in Italia, rende tutto più difficile”. La strada, secondo lui, è studiare: “Si sente spesso dire che studiare non serve a niente, perché non garantisce un lavoro. Dati alla mano, le ricerche più attendibili in questo campo dicono il contrario”, ovvero che in media “chi ha un diploma di scuola superiore ha maggiori probabilità di trovare lavoro rispetto a chi si è fermato alla licenza media. E chi ha una laurea, ha ancora maggiore probabilità di trovare lavoro rispetto a un diplomato e nell’arco della vita migliori prospettive di carriera e di retribuzione”. A questo si aggiunge, prosegue Elkann che “alcune lauree offrono maggiori possibilità: conseguire un titolo di studio tecnico-scientifico richiede grande fatica e determinazione, ma nella stragrande maggioranza dei casi lo sforzo viene ripagato. Ad esempio più di 9 laureati in ingegneria su 10 risultano occupati a 4 anni dalla fine degli studi”. Sottolinea ancora che “soprattutto oggi, chi sa essere ambizioso, investe su se stesso e sulla propria istruzione, ha l’atteggiamento giusto”. Il senso della dichiarazione di Elkann è quindi che “non bisogna mai rinunciare, ma avere la forza di credere in se stessi ed essere molto determinati. E chi dice che è tutto inutile e che non vale la pena provarci, sbaglia”.
Carlo Pesenti, azionista della Rcs Mediagroup e alleato fidato della famiglia Agnelli, si è staccato dal gruppo. Le dimissioni dal cda, rivela il Fatto Quotidiano, sono da ricercarsi nell’isoddisfazione di Pesenti nei confronti della conduzione di Pietro Scott Jovane, amministratore delegato, da sempre attenta agli interessi del maggiore azionista, appunto la Fiat. Il quotidiano spiega che il casus belli sarebbe stata “una strana operazione portata a termine a fine gennaio dal management, a quanto pare senza tenere informato il consiglio d’amministrazione”. La Rcs si è infatti trovata a fare i conti con una grave crisi finanziaria, la stessa che ha reso necessaria la chiusura di molti periodici, che ha spinto il gruppo all’acquisto di un sito di prenotazioni alberghiere chiamato Hotelyo, per inserirlo dentro il portale corriere.it, con il nuovo nome doveclub.it, associato alla rivista di turismo Dove. Un’operazione che Carlo Montanaro, direttore di Dove, spera possa condurre a risultati positivi: “Non abbiamo nessuna evidenza, ma le speranze sono altissime” dice. Fin qui sembra non ci sia nulla di strano e si potrebbe non capire la decisione presa in seguito da Pesenti. Ma va sottolineato che l’operazione è stata condotta senza avere l’ok del consiglio di amministrazione. Ma è il Fatto che rivela quello che davvero non è andato giù all’ex azionista: sembra che l’acquisto sia stato un “favore” fatto da Yaki ai suoi cugini: fra gli azionisti del sito infatti ci sarebbe la finanziaria torinese Lamse che fa capo ai fratelli Andrea e Anna Agnelli, i figli di Umberto Agnelli, nonché appunto cugini di John Elkann: tutto in famiglia, quindi, nonostante le numerose richieste che Rcs non sia solo affare di casa Agnelli e venga gestita con una politica più trasparente e non sbilanciata a favore della Fiat. Tra l’altro, lo stesso Elkann, nei giorni scorsi, aveva rimproverato i giovani “di non essere abbastanza ambiziosi“, “di non riuscire a trovare lavoro perché preferiscono stare a casa sul divano”. Nuova, clamorosa gaffe per lui!
John Elkann, rampollo di casa Fiat, ha dichiarato che “il lavoro c’è” spiegando che se i giovani non lo trovano è perchè “stanno bene a casa”. Ovviamente le sue parole hanno fatto esplodere la polemica in rete, dove si sta riversando una pioggia d’insulti tra cui si legge anche: “Quindi tra i due Elkann, quello dotato di cervello è Lapo”. Il presidente Fiat ha compiuto un passo falso e su Twitter non mancano i riferimenti al suo essere un “figlio di papà”. Qualcuno si chiede “quante camicie abbia sudato nella sua vita il caro John”. “Poi apre la bocca John Elkann e da convinto pacifista diventi un potenziale serial killer”, scrive un utente; “Vi siete mangiati l’Italia con i soldi degli italiani, almeno risparmiateci le inutili prediche”, chiosa un altro. Ancora: “John, ma tu hai mai iniziato a lavorare perché io non me ne sono accorta”, chiede una ragazza. E poi: “John Elkann che parla di giovani disoccupati mi fa assumere l’espressione che avrei davanti a Cicciolina che parla di castità prematrimoniale”. Infine: “Rampollo di una famiglia che ha saccheggiato il Paese fa la morale mentre scappa per non pagare le tasse”. Ma non sono solo gli utenti della rete a commentare le sue parole: anche dal mondo dei media arrivano delle frecciate. Gad Lerner prova rammarico per le esternazioni soprattutto perché lo “stereotipo” espresso dal presidente Fiat “non solo è sbagliato, ma temo lo renda ombroso, privandolo del senso di gratitudine che uno come lui dovrebbe coltivare per il paese da cui ha tratto le sue fortune”. Per il corrispondente a New York di Repubblica Federico Rampini “quando uno nasce privilegiato, qui negli Stati Uniti, di solito ha il buon gusto di non insultare chi deve combattere partendo da condizioni molto più sfavorevoli”. Non solo: Elkann è la sintesi “di una classe parassitaria e incapace di competere sui mercati globali” ed è uno che ha “ereditato tutto, e non è da questa questa cattedra che i giovani italiani possono ricevere lezioni utili per il loro futuro”.
Prima c’erano stati i “bamboccioni”, da definizione dell’ex ministro dell’Economia Padoa Schioppa, poi è stato il turno dei “Choosy” della Fornero, quindi gli “sfigati” laureati con più di 28 anni dell’ex viceministro Michel Martone. Ora la lista degli aggettivi che dovrebbero identificare i giovani italiani si arricchisce per opera di John Elkan, che ne parla come di “poco ambiziosi”. Per il presidente Fiat nipote di Gianni Agnelli, infatti, i giovani non lavorerebbero perchè stanno bene a casa e che hanno poca ambizione. Presente a Sondrio dove ha incontrato alcuni studenti delle scuole superiori, ha risposto a chi gli chiedeva lumi sulla disoccupazione giovanile: “Il lavoro c’è ma i giovani non sono così determinati a cercarlo. Se guardo a molte iniziative che ci sono, non vedo in loro la voglia di cogliere queste opportunità perché da un lato non c’è una situazione di bisogno oppure non c’è l’ambizione a fare certe cose”. E ancora: “ci sono tantissimi lavori nel settore alberghiero, c’è tantissima domanda di lavoro ma c’è poca offerta perché i giovani o stanno bene a casa o non hanno ambizione”. In seguito, parlando con altri studenti, ha risposto a uno studente che ha chiesto di poter lavorare in Fiat dopo essersi presentato come “dell’ultimo anno della scuola per elettricisti ed idraulici”, Elkann gli ha replicato: ”prima diventa un elettricista e poi ne parliamo”. In seguito a Mika che gli ha domandato cosa lo spingesse a lavorare pur avendo la possibilità di vivere senza doverlo fare, il rampollo di casa Agnelli ha replicato: ”io, Lapo e Ginevra abbiamo la grande fortuna di essere stati stimolati a fare delle cose e abbiamo tutti il desiderio di fare”. A suo avviso ”è meglio fare una vita in cui hai interessi e fai cose che fare una vita in cui sei in vacanza tutto il tempo”. Infine John Elkann ha confessato di aver ”studiato al Politecnico perché interessato alla materie scientifiche” mentre il nonno lo avrebbe voluto ”veder studiare alla Bocconi, un’università che lui conosceva bene”.
Giorgio Airaudo, capogruppo di Sel in Commissione Lavoro, ha commentato: “Credo che oggi l’erede più rappresentativo della famiglia Agnelli abbia perso un’occasione per tacere. Quando si hanno le sue fortune e le sue facilità di scelta bisognerebbe avere più rispetto e più comprensione per chi, giovane, cerca ogni giorno di costruirsi e inventarsi un futuro in un paese dove il lavoro si riduce, si precarizzaza e si svaluta. Ma soprattutto mister Chyrsler-Fiat dovrebbe dirci, ricordando suo nonno, cosa fa lui perchè i giovani abbiano un lavoro in Italia e non negli Stati Uniti”.
Non è più allarme è solo catastrofica la situazione italiana sul fronte della disoccupazione giovanile. La penisola, secondogli ultimi dati si attesta al 40% dei giovani in cerca di lavoro, peggio di noi solo la Spagna e la Grecia che hanno toccato il 50% e il 60%. Le aspettative degli economisti europei parlano di una leggera ripresa dell’1% per quest’anno e dell’1,5% per l’anno prossimo, ma nessuna svolta nella disoccupazione. Ma la situazione sembra davvero in stallo se si guarda al futuro dove si parla già di un 1,7% nela 2016 e all’1,8% per il 2018… e i giovani? Sicuramente farnno in tempo a diventare vecchi! «Dall’avvio della crisi finanziaria il tasso di disoccupazione giovanile, definito come il rapporto tra il numero dei giovani disoccupati (di età compresa fra i 15 e i 24 anni) e la forza lavoro nella stessa fascia d’età, ha registrato un aumento considerevole nell’area dell’euro, dal 15 per cento circa nel 2007 al 24 per cento nel 2013 1)», afferma la Bce. «Sia il livello sia l’incremento del tasso di disoccupazione risultano molto più elevati per i giovani (fascia di età 15-24 anni) che per gli agli altri lavoratori (oltre 24 anni)». L’evoluzione del tasso di disoccupazione giovanile cela notevoli differenze fra paesi: in Austria e a Malta l’incremento è stato moderato e in Germania si è persino registrato un calo, il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato in maniera particolarmente marcata nei paesi soggetti a tensioni di mercato, portandosi «nel 2013 su valori compresi fra il 50 e il 60 per cento in Grecia e in Spagna e raggiungendo livelli prossimi al 40 per cento in Italia, Portogallo e Cipro e al 30 per cento in Irlanda». «Per una serie di paesi, non solo quelli sottoposti a tensioni di mercato, livelli elevati di disoccupazione e di inattività giovanile non costituiscono un fenomeno nuovo, anche se sono stati esacerbati dalla crisi», afferma la Bce. «In un tale contesto – sottolinea l’Eurotower – una disoccupazione giovanile alta e persistente rappresenta oggi una delle principali sfide per i responsabili delle politiche europei, alla luce dei cospicui costi che ne derivano sul piano sociale ed economico. Nonostante le diverse azioni intraprese a livello europeo a sostegno dell’occupazione giovanile, come le cosiddette youth guarantee schemes e youth unemployment initiatives, è necessario che le autorità nazionali prendano misure aggiuntive, intensificando in particolare l’attuazione delle riforme strutturali».
Uno studio sul terzo trimestre del 2013 l’Eurostat ha rilevato che in Italia ci sono quasi 3,3 milioni di persone che sarebbero disponibili a lavorare ma non cercano impiego. Si tratta del 13,1% della forza lavoro, oltre tre volte la media Ue-28 (4,1%). Secondo l’Eurostat, questa percentuale è salita su base tendenziale in Ue di 0,4 punti e in Italia di 0,9 punti. Sempre con riferimento a quell’arco temporale, in Italia i disoccupati in senso stretto erano 2,84 milioni con un tasso di disoccupazione pari all’11,3%, in crescita di 1,5 punti percentuali rispetto a un anno prima (in Ue nello stesso periodo il tasso dei senza lavoro era al 10,5% in crescita di appena 0,2 punti). Al contrario, nel Belpaese si riscontra una percentuale inferiore alla media di part time involontari, con il 2,2% a fronte del 4% medio europeo (4,1% in Germania, 6% nel Regno Unito). Questo significa che nel nostro Paese ci sono oltre 6,15 milioni di persone ”sfiduciate” sulla possibilità di trovare un lavoro, tra persone che risultano disoccupate (2,84 milioni nel terzo trimestre 2013 mentre a ottobre e novembre secondo i dati mensili si sono sforati i 3,2 milioni) e coloro che pur essendo disponibili a lavorare non entrano nemmeno nel mercato (3,3 milioni nel terzo trimestre mentre il dato mensile non è disponibile). Circa la metà di chi, pur dichiarandosi disponibile a lavorare non cerca impiego, si dice “sfiduciato” circa la possibilità di trovarlo. Le previsioni di Bankitaliaparlano di un tasso di disoccupazione che in Italia è destinato a salire fino al 12,9% nel 2015 e che – d’altra parte – fanno il paio con l’osservatorio sulla cassa integrazione della Cgil: lo scorso anno oltre mezzo milione di lavoratori sono stati in cig a zero ore con un taglio alla busta paga di 8mila euro a testa.
E’ stato presentato ieri a Bruxelles, presso il centro di ricerca Bruegel, il rapporto McKinsley, condotto su otto Paesi Ue. E se il primo dato è già noto: “La disoccupazione giovanile in Italia è raddoppiata dal 2007, toccando il 40% nel 2013”. (41,6% oggi, ndr), la seconda notizie è anche più allarmante: “Tuttavia, questa cifra è solo parzialmente dovuta alla crisi economica: i problemi ribollono molto più nel profondo… Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti, e questa è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati”. Infatti, guardando agli altri stati, si trova lo stesso lamento fra il 45% degli imprenditori greci, il 33% degli spagnoli, il 26% dei tedeschi. Quello che manca quindi in Italia, e che pure gli imprenditori cercano ma senza successo, sono gli skill , le attitudini, le capacità, i talenti richiesti da questo o quel settore. “Non hanno le informazioni su come prendere decisioni strategiche”. Domanda e offerta non si incontrano, e nessuno spread riesce a farle metterle in contatto, a far scattare il semaforo. Sempre il dossier spiega che “la Ue ha il più alto tasso di disoccupazione ovunque nel mondo, a parte il Medio Oriente e il Nord Africa”. Per poi sferzare: “In Italia, Grecia, Portogallo e Regno Unito sempre più studenti stanno scegliendo corsi di studio collegati alla manifattura, alla lavorazione, nonostante il brusco calo nella domanda in questi settori. E in generale, non è una cosa positiva vedere un ampio numero di giovani scommettere il loro futuro su industrie in decadenza… Ci sono abbinamenti sbagliati, educatori e imprenditori non stanno comunicando fra loro”. Ed è quanto accade in Italia: “Datori e fornitori di lavoro o di istruzione hanno percezioni molto differenti. Il 72% degli educatori in Italia pensano che i ragazzi abbiano le attitudini di cui avranno bisogno alla fine della scuola; ma solo il 42% degli imprenditori concorda con questo. La percezione di questo divario riflette una mancanza basilare di comunicazione. Solo il 41% dei datori di lavoro dice di comunicare regolarmente con i dirigenti delle scuole, e solo il 21% considera questa comunicazione effettiva”. Quello che è necessario, quindi, è “incoraggiare gli educatori a insegnare quello che gli imprenditori richiedono”. Ancora una volta, il problema è quello che gli imprenditori desiderano e le competenze reali dei giovani. Ad esempio, in Italia, il “desiderio” o bisogno imprenditoriale di una buona conoscenza dell’inglese fra i propri dipendenti è soddisfatto solo dal 23% degli aspiranti, e quello di una competenza informatica appena dal 18%. Mentre la richiesta di creatività, che in Germania trova solo un 13% di risposte fra i giovani, in Italia arriva al 19%. Ma resta anche un concetto assai vago. Gli imprenditori, inoltre, desiderano innanzitutto “conoscenza pratica”, in qualunque settore (risposta del ventenne: ma dove la faccio, l’esperienza, se tu non mi assumi?). Mentre il lavoro più ambito dai nostri giovani è il creatore di siti Web (61% contro il 58% di «sì» dei giovani tedeschi): e però cercansi attitudini supportate da conoscenze, anche qui. E per quel che riguarda gli stage, i periodi di rodaggio in azienda, un tempo considerati isole di speranza e anello diretto fra la scuola e il lavoro? Il 61% in media dei giovani europei trova un posto di lavoro al termine di uno stage. In Italia, sono meno del 46%. E ancora: Portogallo, Italia e Grecia hanno la più alta percentuale di giovani che riferiscono di non aver potuto frequentare l’università per ragioni economiche; “ed è in questi tre Paesi che la più bassa proporzione di giovani (sotto il 40%) ha completato l’istruzione post-secondaria”.
Letta continua a festeggiare per la diminuzione dello spread e a lanciare messaggi ottimistici ma quella che gli italiani continuano a vivere sulla propria pelle è una situazione che non mostra segnali di miglioramento. L’Istat ha infatti rilevato che il tasso di disoccupazione giovanile è cresciuto ancora toccando il 41,6% in aumento di 0,2 punti rispetto a ottobre (dato rivisto al rialzo al 41,4%) e di quattro punti rispetto a novembre 2012. Non solo, il tasso è al top dall’inizio delle serie storiche, ovvero dal 1977. Sempre secondo i dati diffusi, inoltre, anche la disoccupazione generale è aumentata: a novembre, secondo i dati diffusi dall’Istat, il tasso di disoccupazione sale al 12,7%, in aumento di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,4 punti nei dodici mesi. Ancora, viene rilevato che a novembre gli occupati sono 22 milioni 292 mila, in diminuzione dello 0,2% rispetto al mese precedente (-55 mila) e del 2,0% su base annua (-448 mila). Il tasso di occupazione, pari al 55,4%, diminuisce di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 1,0 punti rispetto a dodici mesi prima. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 254 mila, aumenta dell’1,8% rispetto al mese precedente (+57 mila) e del 12,1% su base annua (+351 mila). Ancora, si scopre che la crescita tendenziale della disoccupazione è più forte per gli uomini (+17,2%) che per le donne (+6,1%). Ma non è sereno neanche chi un lavoro ce l’ha: la principale fonte di preoccupazione nel 2014 è infatti il pericolo di perdere il posto, come testimonia un’indagine Coldiretti-Ixè: sono sette italiani su dieci (70%) a vivere questa paura. La stessa indagine rileva che, per quanto riguarda la situazione generale, la percentuale di quanti sono pessimisti per il futuro e pensano che la situazione peggiorerà sono il 35% mentre al contrario – sottolinea la Coldiretti – sono il 51% coloro che ritengono che non ci saranno cambiamenti mentre sono solo il 14% quelli convinti che ci sarà un miglioramento. Oltre la metà degli italiani (53%) teme per il futuro di non riuscire ad avere un reddito sufficiente per mantenere la propria famiglia. Se il 42% degli italiani vive infatti senza affanni, il 45% riesce a pagare appena le spese senza permettersi ulteriori lussi, mentre il 10% non hanno reddito a sufficienza neanche per l’indispensabile a vivere.
L’Istat lancia nuovi dati allarmanti: una stima sui cosiddetti Neet (Not in education, employment or training) ampliata alla fascia dei 30-34 anni, infatti, mostra come under 35 in questa condizione nel terzo trimestre sono 3,75 milioni. Al Sud la percentuale è del 36,2%, oltre 2 milioni di persone. Qeusto significa che oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 34 anni non studia, non lavora e non è in un percorso di formazione. Rispetto al terzo trimestre del 2012, i Neet di questa fascia sono aumentati di oltre 300.000 unità, passando da 3,43 milioni a 3,75 milioni toccando la quota record del 28,5% (era 25,8% nel terzo trimestre 2012). Si legge ne Il Sole 24 Ore:
Finora l’Istat aveva diffuso le rilevazioni sui Neet fino ai 29 anni (27,4% nel terzo trimestre 2013 a fronte del 24,9% nello stesso periodo del 2012), fascia di età nella quale coloro che non studiano nè lavorano sono 2,564 milioni contro i 2,344 del terzo trimestre 2012. Nella media 2012 i neet under 35 in Italia erano il 25% del totale dei giovani (17,3% la media nell’area euro), percentuale inferiore solo alla Bulgaria e alla Grecia. Oltre la metà dei Neet (2.010.000 su 3.755.000) sono al Sud con una percentuale che sfiora il 40% (il 39,6% degli under 35 contro il 36,9 del terzo trimestre 2012). Se si guarda agli under 29 nel Mezzogiorno sono fuori dal percorso lavorativo, formativo e di istruzione il 36,2% dei giovani a fronte del 34,7% del terzo trimestre 2012 (1,344 milioni su 2,564 milioni di neet under 29). Nel complesso ci sono quasi 1,2 milioni di Neet tra i 30 e i 34 anni di cui 666.000 al Sud. Su 3,755 milioni di neet under 35 complessivi ci sono oltre 1,5 milioni di giovani con bassissima scolarità (fino alla licenza media) mentre 1,8 milioni hanno il diploma di maturità e 437.000 hanno nel cassetto una laurea o un titolo post laurea. Le donne neet sono 2.112.000 mentre gli uomini sono 1.643.000.
Renato Zero è impegnato in questi giorni nella promozione del suo nuovo album Amo – Capitolo II e per l’occasione ha anche rilasciato una lunga intervista all’Huffington Post in cui parla dell’attuale situazione italiana, trattando anche il tema dell’immigrazione. “Non possiamo continuare ad assorbire l’arrivo di persone da altri paesi non avendo le strutture adeguate per riceverle: case, lavoro, assistenza. Noi, in quanto italiani, abbiamo tutto il diritto di preservare i nostri figli garantendo loro un’istruzione ed un’assistenza sanitaria adeguate, ma dall’altro lato c’è questa Europa che fa tanto la signora, soprattutto tedeschi e francesi, che però si defilano davanti al problema: perché non si accollano anche loro l’assorbimento di questi flussi migratori di extracomunitari? Onestamente noi abbiamo da risanare delle situazioni talmente arretrate che non ce la facciamo ad accogliere tutte queste persone”. Crisi, giovani, razzismo, speranza, futuro e mancanza di futuro. Zero, da sempre impegnato a favore dei diritti dei detenuti, risponde anche a domande inerenti il sovraffollamento carcerario: “Anche le carceri hanno cominciato ad affollarsi grazie alla presenza degli stranieri, si parla tanto di persone che vengono da noi che lavorano e che sono oneste e ben integrate, ma ce ne sono tante altre che non hanno percorso la stessa strada”, continua il cantante. “Tutto questo porta ad una situazione, per le condizioni in cui ci troviamo, ingestibile. Stiamo parlando di un paese dove in questi giorni è venuta fuori la notizia di un ospedale in Abruzzo che cade a pezzi perché è stato fatto con il cemento impoverito…queste sono cose gravissime. Se avessi le soluzioni in tasca avrei fatto un altro mestiere nella vita, ma so per certo che questa classe politica deve prendere seriamente coscienza di come siamo messi, deve ricompattare l’Italia perché non ci può essere una sanità di serie A e una di serie B in base alla geografia del paese”.
Ma se difende i diritti dei carcerati, “Tutto questo fa parte della vita, ci sono da considerare gli sbagli che si possono commettere, ed è giusto che si sconti una pena, però non è accettabile che non si prendano provvedimenti per rendere questi spazi più decorosi e vivibili”, mette in discussione l’indulto e l’amnistia: “Credo che bisogna essere abbastanza saggi ed equi per non commettere errori né da una parte né dall’altra: chi deve scontare una pena è giusto che lo faccia, ma se nel corso del tempo mantiene un comportamento tale da meritare una riduzione è giusto concedergliela, del resto si sta lì per recuperarsi, non per essere bollato a vita. D’altra parte, fare di tutta l’erba un fascio non credo che sia corretto, nel senso che quando c’è un dolo vuol dire che c’è qualcuno che piange, che chiede giustizia, quindi svuotare le carceri in modo così indiscriminato non mi sembra la soluzione giusta. Una cosa del genere non rende giustizia neanche a chi sta dentro, nel senso che magari chi è appena uscito dopo aver scontato tutta la pena vede altri detenuti uscire così per decreto, non è corretto e non è un buon insegnamento né per i giovani né per gli uomini in generale. Bisogna guardare caso per caso e applicare riduzioni della pena in base al comportamento dei detenuti, svuotare un carcere per il sovraffollamento non è un modo per risolvere il problema”. Il problema è che in Italia “le amministrazioni azzerano quello che è stato fatto prima e ricominciano da capo, non si è portati a proseguire un lavoro, magari iniziato da altri, per conseguire dei risultati.” E il problema si riflette sulla politica: “non ci si può assumere la responsabilità di governare se non si tiene conto di lasciare, alla fine di un mandato, un percorso coerente che gli altri possano proseguire”. Ma Zero, che non vuole entrare nel merito della questione Cancellieri-Lingresti perchè “se ci sono state delle responsabilità personali verranno accertate, non sta a me dirlo”, parla dei dimenticati: “L’ultimo occupa una posizione che non è certo invidiabile, però chi ha veramente fatto la storia sono sempre gli “ultimi”, quelli che non vengono creduti, che non agganci e spintarelle. Gli ultimi non fanno paura, ma alla fine sono loro che riescono a modificare certi aspetti della società e della vita. Se avessi dato retta ai detrattori che mi apostrofavano come “nullità”, costringendomi ad adottare lo pseudonimo di Zero, non avrei combinato niente, invece ho alimentato con la passione e l’impegno le grandi aspettative che avevo riposto su di me e sul mio rapporto con la musica. Oggi posso dire di aver ricevuto affetto e stima sincera da parte del pubblico italiano, quindi penso che gli ultimi – con grande sorpresa e meraviglia – sono quelli destinati a vincere”.
L’artista passa quindi a sottolineare come non si parli più con i giovani, o lo si faccia in maniera insufficiente, sia a casa che a scuola, e che comunque “la politica deve impegnarsi di più per i giovani, troppi ragazzi non vanno all’università perché pensano che tanto non troveranno lavoro, l’unico pensiero è sopravvivere. Invece è necessario investire di più sulla cultura, non sono solo i soldi che fanno felice la gente, se ci fosse più cultura in Italia si spenderebbe meno in sanità perché le persone sarebbero più appagate e più sane”. Ma parlando di giovani, non si può non pensare alle baby prostitute del Parioli o al ragazzo gay che si è tolto la vita: “Tutto questo è imbarazzante, come ho detto prima questi giovani sono lasciati soli, in tutto: nelle loro scelte, nella loro voglia di avere un’identità, sono diritti che reclami anche a 14 anni. Oggi i ragazzi si pongono delle domande: chi sono? Cosa voglio diventare? Noi li vogliamo belli cresciuti e attivi, appena un figlio si ammala lo si riempie di antibiotici per rimetterlo su in due giorni…forse dico un’eresia, ma prima quando ci si ammalava si stava a casa una settimana e questo ti dava l’opportunità di mantenere acceso il dialogo con i tuoi genitori, di riscoprire la tenerezza o un semplice consiglio. Oggi c’è troppa distanza tra genitori e figli e non c’è dialogo. Ma poi che il razzismo arrivi a lambire fasce così giovani è gravissimo, sono gli stessi ragazzini che feriscono e mostrano cattiveria verso i loro coetanei…ma mi chiedo: da chi la imparano? L’apporto educativo va dato proprio a quell’età, quando sei ancora in tempo per raddrizzare una spina dorsale, altrimenti certi atteggiamenti con il tempo diventano una regola”.
Del resto anche lui, a inizio carriera, ha subito diversi attacchi, “ma venivano da persone adulte, non da ragazzini come me. Poi all’epoca certi comportamenti erano normali perché non c’era l’abitudine a navigare su internet e vedere che il mondo è a colori, si veniva da due guerre e se ti imbattevi in un personaggio come me ti infastidivi perché mentre cercavi di rimettere insieme i cocci c’era chi si divertiva e viveva sereno. Ma in realtà non ero forse così felice, magari i lustrini servivano per fare in modo che la felicità si accorgesse di me. Oggi, dagli anni ’70, molte impalcature sono crollate e l’umanità è andata avanti, eppure si rimettono in moto certe forme di razzismo e violenza gratuita che dovrebbero essere cancellate per sempre. Mancano i buoni esempi e i ragazzi inseguono il “qualunque” brutto e privo di aspirazioni”. Il cantante ha anche una parola per Papa Francesco: “È soprattutto un uomo di fede che incarna l’uomo qualunque, una novità assoluta. Sta smontando tutte le infrastrutture che tengono lontano i fedeli dalla chiesa, il suo è un invito totale e senza condizioni…è una cosa magnifica. Conosce la pazienza, il sacrificio, l’abnegazione: sono tutte doti che in una figura così importante come un pontefice fanno un certo effetto”. Quindi, per concludere, una parola sui suoi due ultimi capitoli discografici, Amo I e II: “La cosa che mi piace di questo lavoro è che se noi cancellassimo il mio nome dalle copertine e ci mettessimo il nome di un emergente sarebbe perfettamente uguale: è un complimento che faccio a me stesso e al mio modo di rimanere adeguato alle esigenze dei giovani. Credo che il pregio di questo lavoro sia proprio una giovinezza ritrovata”.
Di male in peggio, questo è il tragico bilancio dei dati sulla disoccupazione italiana. Nuovo record dal ’77 toccato nel mese di settembre con un aumento che arriva al 12,5% in rialzo di 0,1 punti percentuali su agosto e di 1,6 punti su base annua. È il valore più alto dall’inizio sia delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977. Per i giovani poi il dato si aggrava. Il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) a settembre registra un altro record, salendo al 40,4%, in aumento di 0,2 punti percentuali su agosto e di 4,4 su base annua. In totale si è a quota 3 milioni 194 mila disoccupati.
Chi ha detto che i migranti sono solo quelli che approdano a Lampedusa? Emigrano anche i giovani italiani del sud (e non solo al sud). E’ lo stesso Presidente della Repubblica che analizzando il rapporto Svimez – sull’economia del Mezzogiorno – parla della fuga dei giovani dal Sud affermando “non può che risultare foriero di pesanti conseguenze e inaccettabile per le regioni meridionali” Giorgio Napolitano, ha poi aggiunto “la via da perseguire deve essere quella dell’avvio di un nuovo processo di sviluppo nazionale” che trovi solida base nel Meridione. E’ necessaria quindi “una riqualificazione delle istituzioni, che permetta di superare diffuse inefficienze”.
Che dice il rapporto Svimez?
E’ “un quadro inquietante delle condizioni economiche e sociali del Mezzogiorno”. Al centro la disoccupazione soprattutto giovanile, ma non solo.
“La zona grigia del mercato del lavoro – spiega lo Svimez – continua ad ampliarsi per effetto in particolare dei disoccupati impliciti, di coloro cioè che non hanno effettuato azioni di ricerca negli ultimi sei mesi. Considerando questa componente, il tasso di disoccupazione effettivo nel centro-nord sfiorerebbe la soglia del 12% (ufficiale: 8%) e al sud passerebbe dal 17% al 28,4% (era stimato al 22,4% nel 2008).
A testimonianza della gravità della crisi, l’ulteriore perdita di posti di lavoro, -2% al sud, -1,2% al centro-nord, che porterebbero, se confermate, in cinque anni, dal 2008 al 2013, a 560mila posti di lavoro persi nel sud (pari al 9% dello stock) e nel centro-nord a 960mila posti persi, pari al 5,5% dell’occupazione totale.
Nel 2012 il tasso di disoccupazione registrato ufficialmente è stato del 17 % al sud e dell’8% al centro-nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro. I livelli raggiunti, si legge, ci riportano indietro di oltre venti anni, agli inizi degli anni ’90. In aumento anche la durata della disoccupazione: nel 2012 al sud il 60% dei disoccupati si trova in questa situazione da piu’ di un anno.
Gli occupati nel mezzogiorno scendono nei primi mesi del 2013 sotto la soglia dei 6 milioni: non accadeva da 36 anni, dal 1977.
Nel 2012 il tasso di occupazione in età 15-64 è stato del 43,8% nel mezzogiorno e del 63,8% nel centro-nord. A livello regionale il tasso più alto si registra in abruzzo (56,8%), il più basso in Campania, dove lavora solo il 40% della popolazione in età da lavoro. In valori assoluti, la Sicilia perde 38mila occupati, 11mila la Calabria, 6mila la Sardegna, 3mila la Basilicata.”
Il Rapporto 2012-203 sottolinea che questo ”è certamente l’anno peggiore della storia dell’economia italiana dal secondo dopoguerra”, ma è anche quello che può ”intercettare il punto di svolta del ciclo economico”. Diplomaticamente l’Istat prima parla di catastrofe economica e poi ci rassicura innescando la speranza di una svolta che possa dare nuova linfa all’Italia produttiva. Pur restando aggrappati alla speranza di un’inversione di rotta i dati restano raccapriccianti.
Si è toccato quota 40,1% della disoccupazione giovanile, il che significa che quasi un giovane su due non ha lavoro. Il balzo di 0,4 punti percentuali su luglio e di 5,5 punti su base annua ci ha fatto superare la soglia psicologica del 40%.
In generale la disoccupazione ad agosto è salita al 12,2%, in rialzo di 0,1 punti percentuali su luglio e di 1,5 punti rispetto allo scorso anno. I dati provvisori dell’Istat rivelano che siamo tornati al massimo già raggiunto a maggio, il livello più alto dall’inizio sia delle serie mensili, gennaio 2004, sia delle trimestrali, primo trimestre 1977.
Il numero di disoccupati ad agosto è tornato a crescere, dopo due mesi di stop, raggiungendo quota 3 milioni 127 mila, in aumento dell’1,4% rispetto al mese precedente (+42 mila) e del 14,5% su base annua (+395 mila).
Mentre il Cnel sottolinea come parte della disoccupazione generata nella crisi sia ormai da ritenersi strutturale. E prevede che per riportare il tasso di disoccupazione all’8% entro il 2020, il tasso di crescita del Pil dovrà superare il 2% all’anno. “Un target non eccezionale, ma oggi forse non alla portata del nostro sistema”. L’Italia negli anni di crisi ha perso circa 750.000 posti di lavoro ma, sostiene il Cnel, “se l’occupazione fosse diminuita quanto il Pil, le perdite sarebbero oggi pari a 1.870.000 occupati”.
“Mi chiamo Benjamin Serra, ho due lauree e un master e pulisco WC”. Inizia così un post apparso in Facebook e che è rapidamente diventato virale in Twitter. La Spagna non vive una situazione più rosea dell’Italia e anche da quella terra molti giovani migrano, in cerca di opportunità. E si fa presto a parlare di cervelli in fuga, ma non sempre si riesce a metter radici in un Paese straniero. Anche questo significa partire: andare verso l’ignoto. E il 25enne di Valencia ha deciso così di condividere la sua esperienza. Una laurea in Giornalismo, un’altra in Pubblicità e Pubbliche Relazioni, entrambe con Premio Extraordinario Fin de Carrera en ambas, un master in Community Management e ora… “barista” a Londra. Prosegue il post: “No, non è uno scherzo. Lo faccio per poter pagare l’affitto dell’appartamento a Londra. Lavoro in una famosa catena di caffè nel Regno Unito da maggio. E dopo 5 mesi lavorandoci oggi, per la prima volta, mi sono visto da fuori. Mi sono visto mentre pulivo i bagni. Il mio pensiero è stato: “Sono Premio Extraordinario de Fin de carrera e pulisco la M***A degli altri in un Paese che non è il mio”. Ok, faccio anche caffè, sparecchio le tavole e lavo le tazze. E non mi vergogno di farlo. Pulire è un lavoro molto dignitoso. Quello che mi fa vergognare è che devo farlo perchè nessuno mi ha dato un’opportunità in Spagna. Ci sono molti altri spagnoli nella mia sitauzione, soprattutto a Londra. “Siete una piaga”, mi hanno detto qui una volta. E non inganniamoci. Non siamo giovani di ventura arrivati qui per imparare la lingua e vivere nuove esperienza. Siamo IMMIGRATI.” Benjamin racconta di essere molto orgoglioso e che ad alcuni inglesi che lo guardano dall’alto al basso perchè fa il “barista” verrebbe voglia di mostrare i suoi attestati di laurea e il suo master ma sa anche che “davvero non servirebbe a nulla”. Sembra infatti che questi titoli ora servano solo per pulire i bagni. “Un vero peccato”. E Conclude: “Io credevo di meritarmi qualcosa di meglio dopo tanto impegno nello studio. Sembra proprio che mi sia sbagliato”. Il ragazzo, all’Huffington Post, ha spiegato che non si aspettava che il suo post avesse una così grande ripercussione. L’ha scritto venerdì, rientrato a casa “stanco e arrabbiato con la vita”. E così, dopo una chiacchierata via Skype con la famiglia, è arrivato lo sfogo in Facebook.Benjamin è arrivato a Londra nell’ottobre del 2012, con un contratto a tempo determinato al termine del quale ha trovato quel lavoro per mantenersi. Non si meraviglia neanche che a Londra gli spagnoli siano visti come una “piaga”: “Perchè ci considerino tali, significa che qui siamo davvero in tanti”. Dà anche un consiglio ai politici: che si rendano conto della sitauzione perchè lui è solo un esempio ma son fin troppi i giovani in una simile situazione. E che dire dei giovani italiani che nel nostro Paese non vedono un futuro e si vedono costretti a fare quello hanno fatto tanti italiani nei secoli scorsi? Emigrare in cerca di un’opportunità? Tutti partono con un sogno, qualcuno ce la fa. Però i sogni di quanti altri s’infrangono contro la realtà estera dove, pur essendo europeii in uno Stato europeo, vengono visti come “piaga”? Perchè è anche vero che i giovani italiani che non si possono permettere di studiare all’estero (già sono molti che attualmente non lo possono fare neanche in Italia) arrivano con in mano diplomi e lauree italiane, magari con una conoscenza scarsa della lingua, senza quella preparazione che altri Stati riescono ad assicurare. E allora la fortuna è trovare almeno un posto dove ti facciano pulire i bagni…
Non parliamo di dati, non parliamo di concetti astratti ma di numeri, quelli del bilancio che rispecchiano insieme ad altri indici la situazione economica italiana. L’economia che tocca da vicino le famiglie, quella che ingabbia i giovani nella disoccupazione e mette in trappola le imprese che si devono solo affidare all’esportazione e non possono più fare affidamento sul mercato interno. Secondo il rapporto del FMI il primo dato che balza agli occhi è proprio quel record negativo della disoccupazione “ai massimi del dopoguerra, al 12%, con la disoccupazione giovanile vicina al 40%”.
Il documento precisa che “l’economia sta mostrando segnali di stabilizzazione, ma la disoccupazione è ancora alta e i trend rimangono bassi”. Il Fondo ha accolto con favore il pacchetto di misure a favore della crescita e del mercato del lavoro, ma ha sottolineato che “servono ulteriori riforme per dare slancio alla produttività e aumentare il tasso di occupazione, soprattutto tra giovani e donne”.
L’altro dato che pesa poi sugli italiani è il deficit di bilancio nominale che, se non si corre ai ripari potrebbe toccare quota 3,2%, oltre quel 3% che rappresenta per l’Europa il raggiungimento dell’obiettivo. Rischiamo quindi anche un infrazione che potrebbe tradursi in altre tasse per gli italiani. Il debito poi “continua a crescere e, secondo le previsioni supererà il 130% del Pil nel 2013”. Il Fondo monetario internazionale ha comunque accolto con favore i passi compiuti dal governo italiano “per assicurare la sostenibilità fiscale e applicare le riforme strutturali” nonostante un contesto di crescita “difficile”. In questo contesto, è necessario “mantenere il ritmo delle riforme per sostenere una ripresa robusta”, riforme che dovrebbero essere complementari di passi compiuti a livello di Eurozona.
Dove l’Italia invece sembra essere davvero indietro è sulla competitività. La crescita di medio termine (quella che davvero può risollevare le generazioni presenti) “resterà bassa”, anche a causa di “una produttività stagnante, di un difficile contesto aziendale e di un settore pubblico indebitato”. Secono il Fmi, “l’inefficienza del sistema giudiziario è collegata agli alti costi sostenuti dalle aziende, al ribasso degli investimenti diretti stranieri e alle piccole dimensioni di società e mercati di capitale”. Una produttività debole, fa notare l’istituto di Washington, “ha anche contribuito ad ampliare gradualmente il divario sulla competitività”.
La cattiva notizia arriva anche dalle banche. I nostri istituti di credito, se il panorama non cambia, potrebbero aver bisogno di 6 miliardi nel 2015 per rispettare i requisiti patrimoniali minimi previsti da Basilea 3.
Che significa? Significa che l’Europa ci sta mettendo alle strette tra politica di austerity e requisiti patrimoniali minimi previsti appunto da un accordo internazionale. Il problema quindi non è procedere a piccole correzioni, ma rivoluzionare l’intero sistema Italia per scuoterlo dal torpore in cui ora sta vegetando.
Il rapporto osserva che il sistema bancario ha retto bene alla crisi finanziaria globale ma è stato “fortemente colpito” dalla crisi del debito sovrano. Nonostante un’economia debole, “i risultati degli stress test suggeriscono che il sistema bancario italiano nel suo complesso è in grado di resistere alle perdite nell’ambito di uno scenario macroeconomico avverso”.
In particolare il pericolo lo si corre con il piano di ristrutturazione di MPS. Questa mina vagante sarebbe un potenziale pericolo per tutto il sistema bancario del Paese: “L’attuazione dell’ambizioso piano di ristrutturazione è critica per la banca stessa e il sistema nel suo complesso”. I problemi della banca scrivono gli ispettori del fondo derivano dalla governance e dal fallimento del vecchio management.
Il rapporto si conclude con un monito: trovare che coperture per l’abolizione dell’Imu.
E’ intervenuto all’Onu oggi il premier Letta, dove ha parlato di crescita e sviluppo ma anche dei rischi che corrono sia la pace globale che la sicurezza in loro assenza. “In vista della fine della crisi globale, la nostra priorità devono essere la crescita e lo sviluppo. Ma se i diritti umani sono a rischio anche la pace globale e la sicurezza sono a rischio”. Ha quindi proseguito: “La sovrappopolazione pone l’attenzione su uno dei problemi più gravi di oggi: la disoccupazione globale, in particolare quella giovanile. Un fenomeno che colpisce tutto il mondo, inclusa l’Europa e il mio Paese. Dobbiamo combinare misure assunte al livello nazionale e europeo per lanciare la nostra guerra contro la disoccupazione”. Nel suo intervento ha toccato anche il tema della fame nel mondo: “L’Italia darà il suo contributo specifico al problema della sicurezza alimentare grazie all’Expo di Milano del 2015”. Aggiungendo: “Il nostro Paese sente che è arrivato il tempo di lanciare un nuovo accordo globale sul cibo. La partecipazione Onu all’Expo è di conseguenza di grande importanza”.
La ripresa ci sarà, il lavoro è ancora un’incognita, ma la disoccupazione è una certezza. Si sono persi in tre anni quasi 1 milione di posti di lavoro in Italia per gli under 35. I dati come sempre non lasciano molto spazio al dibattito: dal 2010 al 2013 si è passati da 6,3 a 5,3 milioni di occupati nella fascia d’età 25 e i 34 anni.
L’imbuto davanti al quale si è trovata la generazione dei ”giovani adulti” è dovuto in parte alla stretta sull’accesso alla pensione (riforma Fornero) che ha tenuto al lavoro i più anziani (il tasso di occupazione nella fascia tra i 55 e i 64 anni è passato nel triennio considerato dal 36,6% al 42,1%), in parte alla crisi economica e al generale calo dell’occupazione nelle imprese private insieme al blocco del turn over nella pubblica amministrazione che di fatto ha ridotto al lumicino le assunzioni nel pubblico. Il tasso di occupazione è calato soprattutto tra i giovani uomini del Sud (dal 60,5% al 51% con quasi 10 punti) mentre per gli uomini del Nord il calo si è limitato a 5 punti (dall’86,6% all’81,4%).
Sale e sembra non esserci limite per la disoccupazione giovanile. L’Istat rileva che le persone in cerca di lavoro, nella fascia 15-24 anni, sono 635 mila e rappresentano il 10,6% della popolazione in questa fascia d’età. Il tasso di disoccupazione giovanile, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 39,5%. In aumento rispetto al mese precedente di quasi mezzo punto percentuale (0,4%) e di 4,3 punti nel confronto tendenziale con l’anno scorso.
E’ un nuovo allarme per la disoccupazione giovanile (15-24 anni) che ormai arriva al 39,1%. Al di là del dato allarmante quello che si deve registrare è che non vi è stato un cambiamento di tendenza se si pensa che la disoccupazione è in crescita dello 0,8% su maggio (quindi quali un 1% in più) e che ormai è a quota 4,6% in più su base annua. Anche la disoccupazione in generale non va meglio e riconferma il dato di maggio (c’è solo un calo dello 0,1%). Se poi si considera invece il dato su base annua, allora la disoccupazione resta molto preoccupante con un rialzo del 1,2%. Per la terza volta consecutiva dall’inizio dell’anno la disoccupazione ha toccato sfondato la quota 12%. Questi dati preoccupanti sono aggravati anche dal fatto che di solito durante il periodo estivo, almeno una certa quota di ragazzi, negli anni passati, trovava impieghi stagionali, mentre quest’anno non vi è stato nessun miglioramento in tal senso. Forse si risente della crisi che ha toccato il settore turistico e sicuramente dei molti esercizi commerciali che avendo chiuso i battenti non hanno più bisogno di un ricambio di personale nel periodo estivo. Una situazione grave che è uno specchio di ciò che si sta vivendo in Italia e della quota sempre maggiore di giovani e meno giovani che ha deciso di trasferirsi all’estero per trovare lavoro.
Enrico Letta tocca diversi temi nell’intervista di “In mezz’ora” con Lucia Annunziata. Oltre al blocco dell’aumento dell’Iva e alla rimodulazione dell’Imu, c’è il pacchetto lavoro per i giovani.
“Mercoledì presenteremo il piano nazionale per l’occupazione giovanile” destinato soprattutto ai giovani del Sud, ma non solo, ha annunciato Letta che poi però preferisce non sbilanciarsi sull’entità delle risorse da mettere in campo.
Si articola in due fasi il pacchetto di riforme per il lavoro:
Il primo è finanziato in gran parte con una riallocazione dei fondi strutturali europei, destinati in particolare ai giovani del Sud. Con il quale però poco si potrà fare visto che le risorse a disposizioni sono veramente troppo esili rispetto al problema della disoccupazione italiana in alcune regioni del centro-sud. Mentre tutto il resto sarà rinviato all’esito del Consiglio Europeo di fine giugno, da cui il premier spera di potere strappare un piano che coinvolga tutto il continente.
In attesa del piano per i giovani… si diventa vecchi?
Se prima erano i cuochi ora invece sono idraulici e parrucchieri… almeno questo è quanto emerge da uno studio della Cna su dati Excelsior. A febbraio uno studio della Fondazione Italia Orienta, aveva stilato la classifica delle professioni più ricercate inserendo gli infermieri e i chimici… peccato che i tagli ulteriori alla ricerca e alla sanità poi abbiano colpito proprio questi settori. Il problema degli studi sul lavoro è sempre strettamente correlato dalle scelte politiche in materia occupazionale ed è quindi difficile anche per gli esperti di settore, con mesi di anticipo, quali saranno le scelte ai vertici che finiranno poi per influenzare il mercato del alvoro. L’unica certezza al momento è la staffetta generazionale che come hanno riportato fonti autorevoli non crea lavoro, ma semplicemente divide un posto con condizioni spesso sfavorevoli al lavoratore giovane che si trova a dividere il posto con quello più anziano. Ma se per l’occupazione giovanile il tasso di disoccupazione è alle stelle, ancor più pesante è la situazione di quei lavoratori che perdono il lavoro a 40/50 anni. Dovranno riconvertirsi anche loro a fare gli idraulici e i parrucchieri? Ma non temete al governo “stanno lavorando per noi”: lavori in corso sul lavoro… ma i cittadini possono ancora aspettare? Probabilmente, no… ma devono!
Ai giovani basterà sognare la disoccupazione giovanile sotto il 30%? E’ etico pensare al futuro con il 30% di risorse inattive? Sicuramente sarà un passo in avanti, visto che oggi la quota si attesta al 38% di disoccupazione giovanile, con punte al sud Italia che arrivano oltre il 40%. Letta quindi parla delle priorità del suo governo e ai auspica un miracolo o una magia:
“Se avessi la bacchetta magica per fare una cosa sarebbe far calare il drammatico dato sulla disoccupazione giovanile. Se facciamo questo c’è speranza per il futuro e fa sì che anche le famiglie ritrovino fiducia”, ha detto Letta e ha aggiunto: “Ho intenzione di andare al vertice del 27-28 giugno dell’Unione Europea, dopo aver già ottenuto che si occupi del tema della disoccupazione giovanile, dicendo che ci devono essere misure concrete, applicabili già dai prossimi mesi, con soldi europei in più e ogni paese libero di fare le sue scelte”.
Insomma siamo nelle mani dell’Europa? Attendiamo un miracolo e ci auspichiamo una disoccupazione sotto il 30% nei prossimi anni… siamo diventati un paese in via di sviluppo e non ce ne siamo resi conto?
Mentre il neo premier Enrico Letta teneva il suo discorso d’insediamento alle Camere, Emma Bonino, seduta al suo fianco in quanto nominata ministro degli Esteri, “dirigeva gli applausi” o, per meglio dire, indicava ai nuovi colleghi come comportarsi. Nel biglietto, che prima è passato tra le mani di Angelino Alfano per poi continuare a scorre tra le mani dei vari ministri, la Bonino aveva vergato: “Posto che siamo tutti ‘Enrico’, non ci si applaude. Secondo me”. Messaggio ricevuto, considerato che tutti hanno “obbedito” evitando di applaudire insieme all’emiciclo.
Enrico Letta è riuscito ad aggiudicarsi la fiducia anche al Senato, grazie a 233 voti a favore contro i 59 no e 18 astenuti. Un successo sul quale però è legittimo porsi una domanda: reggerà il nuovo governo? Perchè Berlusconi e i suoi hanno il loro chiodo fisso e non intendono ammorbidire la loro posizione: o via l’Imu o il voto. Così i commenti del Cavaliere di questa mattina assumono i toni di una minaccia molto più che quelli di un impegno alla partecipazione: “Certo che sono fiducioso sia sull’abolizione che sulla restituzione. Non sosterremmo un governo che non attua queste misure nè lo sosterremmo dall’esterno. Abbiamo preso un impegno con gli elettori e vogliamo mantenerlo”. Brunetta sottolinea la posizione, ricordando che “i patti devono essere onorati. E gli accordi presi in tema di Imu fanno esplicito riferimento all’eliminazione totale dell’Imu sulla prima casa e sui terreni e fabbricati funzionali alle attività agricole a partire dal 2013 e alla restituzione degli importi versati a tal titolo dalle famiglie italiane nel 2012”. Insomma, il PdL mette sull’avviso Franceschini, Delrio & Co: “Se sentono il bisogno di esternare, facendo marcia indietro, cerchino altri spunti. Sull’Imu non si tratta. Per noi valgono soltanto le parole del presidente Letta, pronunciate ieri alla Camera e ribadite oggi al Senato”. Alfano, al confronto, appare più sibillino: “Sull’Imu non c’è mai stato alcun dubbio da chiarire. C’è un fatto oggettivo: a giugno i cittadini non pagheranno”, che però non ha nulla a che vedere con una dichiarazione di abolizione. Eliminazione, del resto, contro cui si scagliano i sindacati che non approvano la sotttrazione di “risorse a politiche più necessarie. Come spiega la Camusso: “Bisogna scegliere e dire che si difendono le persone con una sola casa, non chi ha 20 ville e 37 appartamenti, e con valore basso”. Certo, il mancato introito potrebbe poi provocare “altri danni”, come l’aumento di un punto del debito, ma il Cavaliere ha già la soluzione pronta: “Dobbiamo andare a Bruxelles a trattare – ha spiegato – perché con la crisi recessiva che deriva anche dalle misure imposte dall’Ue dobbiamo ridiscutere gli impegni assunti”. Un PdL compatto quindi nel trincerarsi dietro il loro vessillo, il punto chiave di un’intera campagna elettorale. Ma dello stesso avviso non è il Movimento 5 stelle. Come ha spiegato Crimi, nelle dichiarazioni di voto sulla fiducia: “L’attendevamo sui fatti e ha mostrato la rigidità di un sistema politico ibernato. Lei ci ha invitato a scongelarci, ma l’invito a scongelarsi lo rivolgiamo noi a lei”. Tra i ministri ci sono “tanti nostromi di governi naufragati”. Il governo “sarà ostaggio di veti e mercanteggiamenti dei partiti. Il M5S non darà la fiducia, ma si confronterà sui contenuti. Saremo sempre responsabili”.
Il neo premier ha parlato oggi al Senato esordendo con un: “Mi sono reso conto che c’è un grande problema: un carico d’aspettative francamente eccessivo” su di noi. “Se si pensa che tutti i problemi si siano risolti facendo un governo io credo che abbiamo sbagliato. La situazione rimane di grandissima difficoltà”, ha aggiunto. Certo, non è facile risolvere con poche manovre la situazione in cui affoga l’Italia, ma in fin dei conti in molti dei presenti non sono certo “innocenti”ed è ovvio che ora i cittadini chiedano una dimostrazione forte. Il primo passo, sperando di ottenere la fiducia anche in Senato, sarà un viaggio in Europa per presentarsi e cercare di “aprire un canale di comunicazione anche per spiegare cosa è successo in Italia in questi ultimi cinque giorni”.
Letta, ricordando l’impegno necessario per uscire dalla “grandissima difficoltà” cerca di ripristinare un legame Governo-Camere: “La squadra di Governo che lavorerà con il Parlamento cercherà di avere un rapporto corretto” con le Camere perché “negli ultimi 10 anni abbiamo vissuto un rapporto sempre più asimmetrico perché è chiaro che “le nostre istituzioni non funzionano. Da qui il tema della Convenzione”, ha spiegato parlando in Senato. “Metto la convenzione al centro della riflessione, ribadisco qui che è un tema rispetto al quale proprio al Senato, con il presidente Schifani, si è fatto un lavoro molto forte, marcato e profondo che ha portato a tanti punti di convergenza possibili che spero possano essere utilizzati”.
L’appello successivo riguarda la concretezza, la necessità di cambiare “su tante cose, sulle regole ma anche su cose minori, come ad esempio la questione degli stadi. Noi dobbiamo lasciare tutto fermo perché fare qualcosa ci spaventa? Dobbiamo renderci conto che bisogna fare dei cambiamenti che servono a tutti nel senso della concretezza”. Del resto la classe politica ha il dovere di fare i conti con la situazione contingente: “Avrei voluto un diverso esito elettorale ma la realtà e’ quella che abbiamo di fronte”. E “la realtà è il principale tema che un uomo politico deve mettere al centro della sua azione, oppure raccontiamo a noi stessi delle favole per stare tranquilli”. “Ho parlato di 18 mesi per la Convenzione non perché irrispettoso del Parlamento che è libero e sovrano ma perché ritengo che la vita del governo debba essere legato a adempimenti certi e concreti”.
Per assicurarsi la ficudia, ha quindi inneggiato alla coesione ed alla partecipazione, lanciando un monito al M5S e con una strizzata d’occhio a quel Berlusconi che lo sta mettendo alle corde con la questione Imu: “Chi ha paura di mescolarsi, chi ha paura di fare scelte è perché ha paura di avere una identità debole”, ha rimarcato Letta ricordando che bisogna essere “consapevoli della propria identità perché il timore di quello che ognuno è fa alzare quegli stendardi” dietro i quali si coprono le proprie debolezze”. “Berlusconi, sicuramente, se ho capito il personaggio, non ha una identità debole, io stesso ho fatto un percorso dentro un partito per una nuova identità e siamo orgogliosi di quello che abbiamo fatto. E solo così non si ha timore, di fronte alle ‘politiche’, di trovare soluzioni comuni”.
Applausi per Letta – Lungo applauso da parte dell’Aula del Senato al premier al termine della replica a chiusura del dibattito alla fiducia al governo. I senatori si sono alzati in piedi a dimostrare il proprio sostegno con l’eccezione del M5S che è rimasto seduto e immobile ai propri banchi.
Servono almeno 15 miliardi all’anno, a Letta, per riuscire a mantenere promesse come quelle di cui ha parlato ieri: aiuti alle aziende che assumono, reddito ai bisognosi, niente più Imu, una soluzione concreta per gli esodati ed altre ancora, tra cui un welfare potenziato. Ma ieri, nel suo discorso, il neo premier si è concentrato sulle cose da fare, senza spiegare dove ha intenzione di trovare i soldi che permetterebbero di offrire soccorso concreto a famiglie e disoccupati o di avere un fisco più leggero. Sembra che per raggiungere questi obiettivi Letta speri in un ammorbidimento dell’Europa sul fronte conti pubblici, ma potrebbe anche optare per il ricorso alla Cassa depositi e l’aumento del prelievo sui giochi e su alcol e tabacchi. Se alcune voci lasciano trapelare la possibilità di un’intesa Letta/Saccomanni per tagliare la spesa pubblica, altre pensano alle privatizzazioni e all’accordo con la Svizzera per tassare i capitali italiani emigrati nelle banche elvetiche, mentre il PD, sfavorevole a tagli di spesa e a ticket più cari, punta all’apertura di Bruxelles e alla lotta all’evasione. La morale è semplice: tante promesse a parole ma, ancora una volta, nessun dato pratico ed immediato a cui appigliarsi. Stando al discorso di ieri, in cui Letta ha parlato di stop alla rata Imu nel mese di giugno, lo Stato perederebbe 10 miliardi di euro, abolendo anche l’imposta sulla prima casa, arriverebbero allo Stato 4 miliardi in meno l’anno.
Se qualcuno sperava che il neo premier avesse trovato la risposta ai mali italiani, oggi Dario Franceschini ha fatto crollare ogni possibile illusione: “L’Imu non verrà tolta, ci sarà una proroga per la rata di giugno. Avremo quindi un problema di cassa per i comuni e ci sara’ anche la questione di evitare l’aumento dell’Iva nell’estate 2013. Ci siamo appena insediati, ma la prossima settimana vareremo un provvedimento apposito. E’ comunque nostra intenzione evitare decreti legge omnibus”. Solo uno slittamento quindi, un’affermazione che certo non piacerà a Berlusconi che che pretende l’eliminazione della tassa nonchè il rimborso di quanto è stato pagato nel 2012… non la migliore partenza possibile per un Letta che giusto ieri ha affermato di prendersi 18 mesi di tempo prima di tirare conclusioni sul lavoro del nuovo esecutivo. Resterà in carica così a lungo?
La disoccupazione resta alta, l’Italia dell’Istat è al collasso. 11,5% di disoccupazione della popolazione italiana che si ripercuote su migliaia di famiglie. La disoccupazione giovanile a marzo tocca il 38,4% ed è in aumento di 0,6 punti percetuali sul dato di febbraio. Per riassumerlo in un dato ceh non lascia dubbi possiamo parlare di 250mila posti di lavoro persi in un anno.
Oggi si parla di governo di servizio… ma cosa significa? Coniare un termine che sintetizzi un lavoro programmatico è un’ottima strada per chiarire un percorso che si vuole intraprendere, ma se questo termine è vuoto di ogni significato anche il programma politico stenta a partire. Un governo di servizio non ha nessun valore pragmatico… è uno slogan pubblicitario che potrebbe benissimo essere applicato a un prodotto in commercio.
Il servizio nel trasporto pubblico, il servizio di una mensa aziendale, il servizio di una cooperativa che si occupa di disabili ha un significato chiaro e immediato, ma applicare la parola servizio a un governo non ha nessun senso logico. Non lo ha perché ogni governo deve essere di servizio… E’ la natura intrinseca di un qualsiasi esecutivo… quindi il governo Letta cosa ha di diverso? Togliere l’Imu sulla prima casa non aiuterà le imprese a ripartire, gli sgravi sul lavoro sono un ottimo progetto, ma non hanno un impatto immediato… se non si agisce parallelamente su diverse classi sociali e si tenta solo di alleviare la classe più debole, l’economia non ripartirà solo per aver detassato il lavoro giovanile… Non c’è stata una parola nel governo Letta per la banda larga, non vi è stata una parola per l’imprenditoria al femminile, non vi è stata una parola per le coppie di fatto… Non è il momento per una serie di strati sociali che si sentono ancora una volta emarginati, anche una volta respinti da un governo di servizio che li lascia estranei al dibattito politico… Si svuota quindi qualsiasi significato si voglia dare alla parola servizio e resta solo molta delusione… quello che serviva all’Italia, forse, era un governo di cooperazione e di solidarietà… serviva un patto che escludesse dalle larghe intese le esigenze personali del Cav. e che potesse dare respiro e istanza alle esigenze di tutti… questo è un governo che nel migliore di casi si farà pubblicità… vedremo nei prossimi mesi un modello di famiglia simile a quella del Mulino Bianco, mentre i giovani non riescono neppure ad andare a vivere in un monolocale. Il governo Letta ci darà come “servizio” a domicilio le merendine?
Sappiamo tutti che la brevità di un cv e un colloquio di pochi minuti con idee lucide sono una buona formula per conquistarsi un lavoro, ma forse, in questi tempi bui, in cui la disoccupazione in Italia ha toccato, purtroppo, dei record negativi da far impallidire anche i peggiori pessimisti, non basta più. E allora c’è chi ci prova con un tweet a trovare lavoro o quanto meno a farsi notare dall’azienda in cui si vorrebbe lavorare. 140 caratteri per una bio che diventa il nostro cv. Meglio se li sfruttiamo in modo ironico e sincero, meglio se riusciamo a imprimere ottimismo e i nostri punti di forza. Difficile in soli 140 caratteri, ma non impossibile. Un biglietto da visita che sicuramente ha aiutato molti e che è ancora poco sfruttato in Italia dove sui social network di solito si va per parlare delle proprie passioni o per intrattenere conversazioni con amici e conoscenti.
Ma quali sono i “segreti” per riuscire a focalizzare l’attenzione sul nostro profilo a livello professionale? Sicuramente evitare quei tweet un po’ troppo personali: “oggi alle 10 ho incontrato Mario” oppure “alle 15 ho l’appuntamento dal dentista… pregate per me!” Molto meglio, secondo gli esperti, avere contenuti interessanti, sempre originali e condividere informazioni utili. Esprimere la propria opinione, ma senza imporre le idee con rabbia e soprattutto avere delle ottime pr con tutti quelli con cui si entra in contatto sul social network. Altra regola fondamentale è cercare di stabilire una conversazione a due, ma senza fare stalking. Provare ad avvicinare la persona che ci interessa, trovare il profilo di un manager dell’azienda a cui siamo interessati o il profilo della società a cui ci vogliamo proporre, ma senza inviare migliaia di messaggi. Provarci un paio di volte e se il contatto non risponde si passa oltre (saranno molti a non rispondere, ma non perdere mai le speranze). Infine regola banale, ma non sempre rispettata è quella di non postare contenuti compromettenti. Non lamentarsi a esempio della società per cui si lavora o si vorrebbe lavorare “mi piacerebbe lavorare per voi, ma l’ultima pubblicità che ho visto non mi è proprio piaciuta”. Ecco criticare con la speranza di venire notati non è un ottimo metodo. Se poi scrivere non è il vostro forte potete anche provare a inserire un video di Vine in 6 secondi per raccontare qualcosa di voi e… Buona fortuna!
Neppure nel mese di dicembre la situazione è migliorata: i giovani restano disoccupati. Neppure con i lavori tipici del periodo natalizio, c’è stata una controtendenza.
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