Le infinite vite della Web tax: a volte ritornano?

web-tax-tuttacronacaTornerà la Web tax? Inserita nella Legge di Stabilità dal governo Letta, su indicazione di Boccia, era stata prorogata dal dl Salva Roma bis. La settimana scorsa, con il dl Salva Roma ter, il governo Renzi l’ha abrogata. Finita la trafila? Non è detto, perchè potrebbe tornare a fare la sua comparsa grazie a un renziano, Ernesto Carbone, deputato proprietario della Smart con cui l’allora segretario del Pd si presentò a Palazzo Chigi per incontrare Enrico Letta prima della caduta del governo. C’è infatti la possibilità di un ritorno della tassa grazie ad una norma contenuta nella delega fiscale e introdotta nel disegno di legge con un emendamento di Carbone, come spiega l’agenzia Public Policy. Lo scorso 27 febbraio la Camera ha approvato in via definitiva la Delega fiscale, scrive Public Policy,

“che diventa legge, rendendo definitiva anche la norma sulla tassazione delle multinazionali. Attualmente quindi, seppure il dl Salva Roma ter abbia abrogato la norma nella Stabilità (con grande soddisfazione da parte dello stesso premier: “Siamo stati di parola”, twittava il 28 febbraio) il governo Renzi ha l’impegno, in base alla Delega fiscale, di emanare entro dodici mesi un decreto apposito con cui prevede di tassare le società multinazionali che operano in Italia, come Google, in misura proporzionale al fatturato”.

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La Google Tax “è illegale”: così Forbes

google-tax-tuttacronacaIeri sera la commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento alla legge di Stabilità che introduce in Italia, prima in Europa, la “Google tax”. Stando all’emendamento, i giganti del web dovranno avere partita Iva italiana. Il governo si è rimesso alla Commissione, dando cioè un tacito assenso. In questo modo i volumi di vendita realizzati in Italia sarebbero anche fatturati nel nostro Paese, con il conseguente gettito. In pratica i guadagni derivanti dalla vendita di pubblicità, nell’e-commerce o nel gioco on line sarebbero fatturati in Italia. Dubbi li hanno sollevati Giampaolo Galli e Marco Causi del Pd, timorosi che questa norma possa andare in contrasto con le normative europee visto che il dossier a Bruxelles non è stato ancora affrontato. Contro la Google Tax, tuttavia, si è già scagliato il prestigioso giornale statunitense Forbes che l’ha definita illegale. Il quotidiano, in precedenza, si era già scagliato contro il presidente della commissione Bilancio della Camera Francesco Boccia, principale promotore della proposta di legge con cui si punta a costringere i colossi del web a fare i conti con il Fisco del Belpaese. L’emendamento approvato ieri, in pratica, obbliga le multinazionali del web ad aprire in Italia la partita Iva. Questo significa che aziende come Google e Facebook dovranno rinunciare agli escamotage utilizzati finora per pagare meno tasse possibili. In questo modo, infatti, i volumi di vendita realizzati in Italia verranno fatturati nel nostro Paese anziché in altre nazioni con regimi fiscali agevolati, come ad esempio l’Irlanda. Se la nuova tassa, come si prevede, genererà un gettito consistente, stimato in centinaia di milioni di euro, si tratta comunque per un duro colpo per i colossi del settore. Le entrate prodotte dalla web tax confluiranno nel fondo per il taglio del cuneo fiscale, dove affluiranno anche quelle derivanti dalla lotta all’evasione, oltre a una dote proveniente dalla spending review di Carlo Cottarelli. Secondo Forbes, tuttavia, l’emendamento sarebbe in disaccordo con quanto previsto dalle normative europee, così come avevano preventivato Causi e Galli. Sempre a Bruxelles è in fase di studio una tassa simile da far adottare ai Paesi Ue. L’Italia, se la proposta di legge dovesse concretizzarsi, farebbe da apripista.

I figli… “so’ pezzi ‘e core” e da adesso sono tutti uguali

figli-uguali-tuttacronacaSi attende la firma del Capo dello Stato, a cui farà seguito la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Dopo di che, i figli nati fuori e all’interno del matrimonio avranno gli stessi diritti. E’ quanto stabilito dal decreto, approvato in via definitiva dal Cdm, che abolisce ogni distinzione e discriminazione tra figli naturali e legittimi. Il decreto è stato emanato sulla base dei principi contenuti nella legge delega 219 del 2012, nella quale la parentela viene definita come il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, che quando sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio sia adottivo. Il testo stabilisce l’introduzione del principio dell’unicità dello “stato di figlio”, e di conseguenza l’eliminazione dei riferimenti presenti nelle norme ai figli “legittimi” e “naturali” o “adottivi”. Non solo, nel testo viene stabilito anche il principio per cui la filiazione fuori dal matrimonio produce effetti successori nei confronti di tutti i parenti, e non solo con i genitori; la sostituzione della notizia di “potestà genitoriale” con quella di “responsabilità genitoriale”, una diversa visione che “privilegia il superiore interesse dei figli minori”, nonché la modifica delle disposizioni di diritto internazionale privato, con previsione di norme di applicazione necessaria in attuazione del principio dell’unificazione dello stato di figlio.  Viene prevista la “legittimazione degli ascendenti”, ossia i nonni a far valere il “diritto di mantenere rapporti significativi con i minori”, ferma restando la “valutazione delle istanze alla luce del superiore interesse del minore”. E ancora, viene messo lo stop alle discriminazioni per i figli adottivi: nei casi di adozione piena, ossia che riguardi persona minorenne, si acquisisce lo stato di figlio “nato nel matrimonio”. Esclusa, invece, l’equiparazione per gli adottati maggiorenni, per i quali non sorge alcun vincolo di parentela con i parenti degli adottanti. Per quel che riguarda i casi di abbadono e indigenza, viene specificata la nozione di abbandono, con la previsione della segnalazione ai Comuni da parte dei tribunali per i minorenni delle situazioni di indigenza dei nuclei familiari. Inoltre, nel recepire la giurisprudenza della corte costituzionale e della corte di Cassazione, si è deciso di limitare a cinque anni dalla nascita i termini per proporre l’azione di disconoscimento della paternità. Viene introdotto anche l’ascolto dei minori, se capaci di discernimento, all’interno dei procedimenti che li riguardano. Il decreto, inoltre, porta a dieci anni il termine di prescrizione per l’accettazione dell’eredità per i figli nati fuori dal matrimonio e modifica la materia della successione prevedendo la soppressione del “diritto di commutazione” in capo ai figli legittimi fino ad oggi previsto per l’eredità dei figli naturali.

MAXXI regalo da 5 milioni di euro, 1 mln per gli archivi di partito

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Scandalo Maxxi? Per il momento c’è solo un “regalo” da 5 milioni di euro alla Fondazione, presieduta dall’ex ministro Giovanna Melandri (PD). La denuncia però arriva dal Movimento 5 Stelle e in particolare da  Barbara Lezzi che insieme ai colleghi Elisa Bulgarelli e Ornella Bertorotta che si sono detti contrariati a quanto contenuto nell’emendamento al decreto cultura.

Tante le polemiche anche per l’emendamento a firma Marcucci (Pd) che chiede di assegnare 1 milione di euro in più l’anno dal 2014 per la “conservazione e informatizzazione degli archivi dei partiti“. Un punto contrastato dal Movimento 5 Stelle: “E’ assurdo i partiti politici sono associazioni private” commentano Fabrizio Bocchino e Nicola Morra. “Per questo abbiamo deciso di proporre un subemendamento per di destinare quel 1 milione di euro in più a Musei, Biblioteche, Archivi di Stato e storici. “Finanziamenti alla vera cultura. Ora vedremo chi sta veramente dalla parte della cultura di tutti e chi vuole finanziare quella legata esclusivamente ai partiti”.

Il decreto, del resto, sarebbe dovuto arrivare in Aula ieri, ma nonostante il lungo iter svolto in Commissione Istruzione, il testo è rimasto bloccato nell’organismo parlamentare. Il motivo? La solita battaglia degli emendamenti, circa 330.

Tra gli oppositori anche l’ex ministro Sandro Bondi secondo cui il provvedimento comporterebbe un aumento della spesa pubblica ricorrendo a nuove tasse. Il decreto prevede l’istituzione della Unità Grande Pompei come elemento di coordinamento di progetti e stanziamenti anche internazionali per realizzare concretamente la messa in sicurezza dell’area archeologica.

La Polonia nazionalizza le pensioni private. Accadrà anche in Italia?

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La Polonia non è il primo Paese ad aver deciso di nazionalizzare la previdenza privata, prima di lei erano giunte alla stessa conclusione anche l’Argentina e l’Ungheria. La “mossa” permette di ridurre il debito pubblico e nel caso della Polonia questo verrà ridotto di ben l’8%.

Accadrà anche in Italia? Come si legge sul Sole 24 Ore:

La possibilità di individuare forme per annettere al bilancio dello Stato parte se non tutto il patrimonio della previdenza privata, è stata occasione di ipotesi anche nei corridoi dei palazzi italiani: si va dall’annessione dei titoli di debito sovrani, come accaduto in Polonia, alla creazione di vincoli di portafoglio, passando dall’imposizione – per gli strumenti di primo pilastro – di una tassazione da strumento speculativo, non conforme con gli obiettivi previdenziali…

I fondi pensione complementari italiani, in particolare, presentano costi particolarmente bassi se confrontati con quelli di analoghi strumenti europei e con rendimenti medi che negli ultimi otto anni – crisi compresa – hanno battuto quello dei Tfr, alternativo nelle scelte dei lavoratori italiani. Il fianco scoperto del sistema italiano di secondo pilastro è rappresentato dalla gestione prudente – che impedisce per esempio di investire in paesi considerati nel 1996, epoca della definizione del decreto che stabilisce i criteri di investimento – “rischiosi”; Cina, Brasile, Russia compresi; dall’altra l’alta esposizione in titoli di Stato in particolare italiani, per quasi 30 miliardi di euro: titolo il cui merito di credito è sceso complice i declassamenti delle agenzie di rating, tanto da spingere le autorità di vigilanza ad invitare a prendere “con le pinze” le indicazioni relativi alle soglie minime. E infine, oltre al “pericolo polacco”, sono da considerare le condizioni fiscali dei fondi pensione: divenuti particolarmente convenienti negli ultimi due anni a causa dell’inasprimento dell’imposizione fiscale di altri strumenti utilizzati analogamente come forma di risparmio di lungo termine: da una parte il recentissimo decreto 102 che taglia le detrazione per le polizze Vita e dall’altra l’imposta definita dal decreto Salva Italia dello 0,15% sul totale affidata in gestione a fondi comuni, Etf, gestioni finanziarie.

Gli statali costano troppo… in pensione per decreto!

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Gli statali che lavorano fino a 70 anni costano troppo e così arriva il decreto per mandarli in pensione.

Il decreto legge 101/2013 contiene una norma che obbliga la pubblica amministrazione a pensionare tutti i dipendenti che ne abbiano maturato i requisiti entro il 2011, facendo salvi i limiti previsti nei diversi ordinamenti. In questo modo vengono tagliati tutti i contenziosi che si erano aperti fra gli enti pubblici e quei dipendenti – soprattutto alti dirigenti e professori universitari – che vogliono restare al lavoro fino a 70 anni.

Il decreto 101,  che tra l’altro allunga fino a tutto il 2015 la validità dei requisiti pensionistici pre riforma Fornero, consentirà di mandare in pensione il personale in soprannumero nella pubblica amministrazione. Si dà forza di legge primaria a quello che, spiega Marco Rogari sul Sole 24 Ore, era:

“un dispositivo che era già stato espresso in una circolare (la n. 2/2013) dal Dipartimento Funzione pubblica, condiviso dai ministeri dell’Economia e del Lavoro, ma che poi annullata dal Tar Lazio (n. 2446/2013). Bisogna insomma evitare che il contenzioso che s’è aperto dopo il varo della riforma delle pensioni si consolidi con danno economico per amministrazioni obbligate a gestire al ribasso il costo del personale”.

Con l’applicazione della Legge Fornero si era infatti creato un blocco per le amministrazioni che da una parte non riuscivano a pensionare i dipendenti che erano costretti a rimanere sino a tarda età sul posto di lavoro, dall’altra però avevano l’esigenza di fare spending review e quindi pensionare chi alle soglie della pensione aveva avuto un aumento di stipendio grazie agli scatti di anzianità di servizio. Le amministrazioni pubbliche quindi si trovavano a dover pagare stipendi più alti a persone che erano costrette a rimanere sul posto di lavoro.

Non è un caso che in media vadano in pensione più tardi quelli che hanno gli stipendi più alti:

“A impugnare gli atti di pensionamento sono soprattutto alti dirigenti e professori universitari, che per resistere alla procedura di collocamento a riposo avevano opposto l’articolo 24 comma 4 del decreto “Salva Italia”. […]

Nel 2012, stando ai dati forniti dall’Inps nell’ultimo Rapporto annuale sulle nuove pensioni ex Inpdap, sono state 109.076 le nuove pensioni. La Cassa dov’è stato registrato il più alto numero di nuove liquidazioni è quella dei trattamenti pensionistici statali (58%) seguita dalla Cassa pensioni dipendenti degli enti locali (38%). […] Se si guarda agli importi complessivi dei nuovi assegni erogati dall’Inps ad ex dipendenti pubblici – intesi come media delle prestazioni dirette e indirette – si scopre che questi variano dai 4.549 euro mensili per la Cassa pensioni sanitari (sono il 3% delle nuove prestazioni sorte nel 2012) ai 1.502 euro mensili della Cassa pensioni insegnanti. Gli importi medi più elevati si registrano nell’ambito della magistratura (8.225 euro mensili), settore seguito dall‘Università (3.546 euro) e delle Forze Armate (2.614 euro). Ma se in quest’ultimo caso l’età media alla decorrenza del pensionamento è attorno ai 59 anni, per i magistrati si sale al 68,7 mentre per l’Università a 65,1. Solo per il personale delle aziende autonome (1.311 pensionamenti l’anno scorso) si è riusciti ad andare oltre, con un’età media al momento dell’incasso del primo versamento Inps di 72,2 anni”.

Il CdM dà il via libera a dl e ddl sulla Pubblica Amministrazione

enrico-letta-pubblica-amministrazione-tuttacronacaIl Consiglio dei ministri ha dato il via libera al pacchetto sulla Pubblica amministrazione, che comprende un dl e un ddl. Il premier Letta, annunciando un provvedimento sull’efficienza nel pacchetto di misure sulla P.A. ha spiegato: “Purtroppo non riusciremo a usare in questi sette anni tutte le risorse disponibili” dai fondi strutturali europei. Tra i provvedimenti votati oggi “c’è un ulteriore taglio del 20% delle auto blu; una scelta che continua una direzione di marcia sulla quale dobbiamo fare ancora di più”. Con il dl “si decide di dare una soluzione strutturale al tema del precariato nella Pa” ha aggiunto Letta, che ha anche sottolineato la decisione di “tipizzare e ridurre le forme di lavoro flessibile” e di aver “messo barriere” per evitare le “scorciatoie per le assunzioni”. Il dl sulla P.A. rappresenta anche un “intervento importante di razionalizzazione del sistema per far sì che ci sia concentrazione e rafforzamento della lotta alla corruzione, della sua prevenzione e della trasparenza attraverso una divisione di competenze” che trasforma la Civit nel “soggetto oggi esclusivamente dedicato alla lotta corruzione” togliendole “tutte le altre funzioni” che saranno “allocate all’Aran, in particolare per la valutazione”. Il pacchetto include l’assunzione di 1.000 vigili del fuoco. Un investimento, per il premier, che segnala “un’attenzione profonda rispetto ai problemi del nostro territorio”.

Il ministro della Pubblica Amministrazione e la Semplificazione, Gianpiero D’Alia, ha detto al termine del CdM: “Mai più contratti a termine che non siano eccezionali e temporanei perchè temporanea è la richiesta”. Il ministro ha anche sottolineato che il contratto “tipico” è il contratto a tempo indeterminato. Sono previste “procedure selettive” perchè tra coloro che hanno avuto un contratto a tempo determinato per tre anni negli ultimi cinque “si scelgano i migliori”, ha aggiunto a proposito delle norme per la stabilizzazione dei precari. Nel dl è prevista la riserva del 50% dei posti a concorso per queste persone. D’Alia ha detto inoltre che con il ministro dell’Interno Angelino Alfano, è stato deciso d’inserire “anche una norma che ci sembra un atto di giustizia: l’assunzione nella pubblica amministrazione di testimoni di giustizia”.

Lo “svuota carceri” dimentica i bambini dietro le sbarre

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Lo “svuota carceri”, approvato il 5 agosto dalla Camera, permetterà a molti detenuti di avere una pena alternativa, anche forse a troppi, ma sicuramente non a tutti. Si sono dimenticati i figli delle detenute. Nel testo non compare nessuna norma che disciplini lo stato dei minori che rimangono in carcere con le madri «La nuova normativa coinvolge i figli soltanto in maniera indiretta – spiega Francesca Corso, ex assessore ai diritti e alle tutele della Provincia di Milano, da anni in prima linea nella tutela dei bambini delle detenute -. I piccoli trarranno vantaggio, indirettamente, dalle norme che favoriscono le mamme, ad esempio da quelle che prevedono sconti di pena e l’estensione dei benefici carcerari per i recidivi».  Per il resto si dimentica di loro! Un governo al servizio dei cittadini quello che dimentica i figli delle detenute costretti dietro le sbarre senza colpa?

Ignoranza e lavoro o diploma e disoccupazione? “Bocciate mio figlio!”

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Shock per la lettera inviata a La Repubblica da parte di una professoressa a cui un padre ha chiesto di bocciare il proprio figlio alla maturità, così il giovane poi avrebbe avuto un posto in pizzeria potendo usufruire del decreto legge Letta. Così scrive la docente al giornale:

Il padre di uno dei miei maturandi, che chiamerò Andrea, mi ha chiesto di bocciare il ragazzo. Andrea è stato uno studente molto volenteroso durante tutto l’anno e non è tra quelli che rischiano in alcun modo la bocciatura. Figlio di una famiglia dignitosa della periferia romana si è barcamenato con caparbia tra lo studio e il lavoro a nero in una pizzeria per aiutare la famiglia.

Non conoscevo il padre del ragazzo e inizialmente pensavo stesse scherzando. Solo dopo le sue insistenze accorate ho capito che diceva sul serio. Mi ha spiegato che i proprietari del ristorante dove Andrea lavora gli hanno assicurato che potevano finalmente assumerlo in maniera stabile grazie alla nuova legge sul lavoro in cui le agevolazioni sono però riservate unicamente a ragazzi senza diploma.

Non sono stata in grado di rispondere, per la prima volta in vita mia mi sono fermata a riflettere sulla mia funzione di educatrice. Un dilemma che non riesco a sciogliere: devo continuare a svolgere il mio ruolo con serietà o non è più giusto assicurare al ragazzo un lavoro stabile e bocciarlo? In fondo come mi ha spiegato il padre, Andrea si può tranquillamente diplomare il prossimo anno avendo però la fortuna di avere già un lavoro.

Io non so davvero cosa fare e spero di essere incappata in un caso limite. Mi chiedo però come sia stato possibile concepire una legge che premiando i giovani privi di diploma rischia di incentivare l’abbandono scolastico. È l’ennesima umiliazione del mio lavoro come di quello di tanti colleghi che nonostante tutto buttano il cuore e l’anima oltre le carenze strutturali della pubblica istruzione. Mi domando a questo punto quale senso abbia il mio lavoro.

Ecco i primi disagi del decreto Letta? Ignoranza e lavoro o diploma e disoccupazione?

Aggiornamento:

Arriva il Comunicato a La Repubblica che la lettera è in realtà un “fake”. Ecco le motivazioni:

“La lettera dell’insegnante è opera di KOOK Artgency.
L’idea è nata dalla delusione per il decreto lavoro ma più in generale dalla completa assenza di una politica economica del governo Letta. Nessuna risposta ai problemi delle imprese e nemmeno a quelle del lavoro. Per una micro impresa come la nostra, in cui i soci sono anche lavoratori, questo vuol dire essere colpiti due volte. Come imprenditori e come lavoratori.

Nel nostro piccolo cerchiamo di conservare la nostra eticità, siamo onesti contribuenti, paghiamo subito i fornitori e, diversamente da quanto fanno la gran parte dei nostri concorrenti, non utilizziamo lo stage come strumento di lavoro (www.nostage.info).

I nostri strumenti per prendere la parola sono questi. Così facciamo per le aziende e i partiti con cui lavoriamo e così abbiamo fatto per dire la nostra. La lettera l’abbiamo costruita con il nostro stile. Una piccola operazione di comunicazione per suscitare delle riflessioni. Lo chiamiamo design fiction: costruiamo narrazioni che hanno un effetto sulla realtà. 

Con questa lettera volevamo sottolineare le contraddizioni di un decreto di legge fallace approfittando della contemporaneità con gli esami di maturità.

Un’ora di lavoro per i nostri copywriter per creare uno storytelling semplice da dare in pasto ai media. Un indirizzo creato ad hoc e l’invio della mail alla rubrica delle lettere dei tre principali quotidiani italiani con preghiera di non pubblicare il nome inventato della latrice. Il resto è l’ordinario funzionamento della macchina mediatica. Non si sono fatti attendere gli inviti nei principali salotti televisivi. Ma non è questo che ci interessa.

È vero la storia è inventata, ma il decreto legge è così surreale che nessuno può essere certo che quanto raccontato non stia capitando o possa capitare da qualche parte in Italia. Quel che è certo è che questa legge non aiuterà noi, i nostri collaboratori, le tante piccole aziende come la nostra e nemmeno i tanti giovani costretti da tempo ad aprire una partita Iva per poter lavorare.
KOOK Artgency”.

La Camusso felice dopo l’approvazione del Dl lavoro

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“Dalle prime agenzie che abbiamo visto, non possiamo che confermare il fatto che è positivo che il provvedimento degli incentivi si rivolga ad assunzioni a tempo indeterminato, a trasformazioni di contratti precari in contratti a tempo indeterminato, quindi questo è sicuramente un segnale positivo”. Lo ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, a margine di un’iniziativa sindacale a Firenze, commentando l’approvazione da parte del Cdm del decreto lavoro.

Lavoro per 200mila giovani e speranze per gli over 50?

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Per quanto riguarda il lavoro, ha detto Letta, si tratta di un “provvedimento da circa un miliardo e mezzo” e che riguarderà circa 200 mila giovani italiani. “Puntiamo a dare un colpo duro alla piaga della disoccupazione giovanile”.

Ma come si articolerà?

Per il Mezzogiorno sono in arrivo 100 milioni per il 2013, 150 per il 2014, 150 per il 2015, 100 per il 2016. Le altre regioni restano a stecchetto: 48 milioni per il 2013, 98 per il 2014, 98 per il 2015, 50 per il 2016.

In totale il pacchetto lavoro stanzia 1,5 miliardi tra fondi europei e risorse nazionali che andranno quindi a sostenere l’occupazione soprattutto al sud Italia, mentre il nord, in crisi con la piccola e media impresa, resterà a guardare. Riuscirà il sud per la prima volta nella storia d’Italia, a sollevarsi? Quello che non riuscì con la Cassa del mezzogiorno riuscirà ora con soli 100 milioni, in piena crisi economica?

Ma il pacchetto approdato oggi al Cdm prevede anche, in via sperimentale, incentivi all’assunzione stabile di giovani tra i 18 ed i 29 anni, che siano privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, privi di un diploma di scuola media superiore o professionale e vivano soli con una o più persone a carico. Chi sono? Dove verranno impiegati? Si favoriscono i giovani che non hanno titoli di studio piuttosto che chi ha raggiunto una laurea? Se è vero che in questo modo si riduce l’inserimento di nuove leve nella criminalità organizzata, è pur vero che l’Italia ha bisogno di investire in chi a sua volta ha investito in scuola e istruzione creandosi titoli ed esperienze spendibili in campo internazionale… cosa ci faranno i giovani con un diploma o con una laurea se vengono favoriti coloro che ne sono privi? L’ennesima beffa a sostegno dei più bisognosi che colpisce ancora una volta la classe media ormai ai limiti della povertà? O forse è l’ennesimo provvedimento a favore delle famiglie di emigrati che così a 18 anni potendo richiedere la cittadinanza si trovano a dover sostenere i propri parenti?
Le grandi speranze degli italiani sembrano infrangersi su un Dl che anche a detta del Premier è solo un primo step a cui ne dovranno seguire altri per essere davvero efficace, così in attesa dell’adozione di ulteriori misure da realizzare anche attraverso il ricorso alle risorse della nuova programmazione comunitaria 2014-2020″, gli italiani continuano a dover arrivare a fine mese.
Il Dl lavoro, secondo la bozza portata in Cdm, prevede anche interventi straordinari fino al 31 dicembre 2015 per favorire l’occupazione di giovani fino a 29 anni, ma anche “soggetti con più di 50 anni di età” che siano disoccupati da oltre dodici mesi. Misure varate “anche al fine di cogliere le opportunità di lavoro, su tutto il territorio nazionale, derivanti dall’iniziativa dell’Expo 2015 di Milano. Quindi posti di lavoro connessi a un evento ben delimitato nel tempo? Ancora una volta rimandare il problema in attesa di soluzioni in ambito internazionale e in particolare in ambito europeo?

Gay e nozze: dove stiamo andando, dove siamo e dove sono gli altri

 

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Il pidiellino Galan ha annunciato per i prossimi giorni una proposta di legge per tutelare finalmente i diritti delle coppie gay. Come lui, all’interno del partito, sarebbero favorevoli anche Laura Ravetto, Mara Carfagna, Daniele Capezzone e Sandro Bondi in primis,  ma anche altri “che non vogliono esporsi e aspettano, ma io ho fiducia”. Le prime indiscrezioni sono arrivate dai collaboratori di Galan, che hanno fatto sapere che si tratterà di dare tutela alle coppie omosessuali “attraverso il diritto di privato” e dunque “non si può parlare di nozze gay” come in Francia, ma si possono trovare assonanze con i  Pacs, discussi a loro tempo dal centrosinistra. Le questioni che vanno risolte sarebbero l’eredità, la pensione di reversibilità e la possibilità di andare a far visita al compagno in ospedale. Sembra ci sia dunque un ammorbidimento sul tema da parte del Popolo della Libertà, come dimostrano anche le parole della Santanchè: “Sono pronta al confronto e pronta a cambiare idea”, ha riferito all’HuffPost. “Soltanto i paracarri rimangono della stessa opinione. Se i gay si sono imborghesiti e vogliono sposarsi non sta a me giudicarli”. E distingue: “Un conto è il sacramento del matrimonio, un altro sono i diritti civili delle singole persone”. Concludendo: “Il Pdl rappresenta molti interessi differenti e molte anime con idee opposte, è giusto che provi a rappresentare anche questa parte della società”. Certo, voci di dissense restano, come Eugenia Roccella, che è andata in piazza a Parigi per manifestare contro la legge sulle nozze omosessuali, ma nache Gasparri, che ha parlato di “discriminazione” al contrario: “francamente – ha detto – non capisco la tendenza a discriminare chi non si associa all’ondata qualunquista a sostegno delle unioni gay”.

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Ma in Italia comunque si continua a lottare per l’uguaglianza anche su questo piano e, se ancora non c’è una legge che tuteli le coppie omosessuali, ciò non significa che non si possano formare. Come quella di Massimiliano Benedetto e Giuseppe Ilaria le cui nozze, che non hanno valore legale in Italia, si sono svolte nei giorni scorsi in un albergo romano, celebrate dall’attivista per i diritti dei gay Imma Battaglia. Ad organizzare l’evento è stata l’agenzia Same Love, wedding planner per matrimoni fra persone dello stesso sesso. Evento passato in sordina da noi, ma che ha conquistato la prima pagina del New York Times: “Non voglio sembrare retorica, ma noi amiamo i nostri ragazzi e come italiana provo un po’ di vergogna – ha detto al New York Times Marinella Benedetto, mamma di Massimiliano ,- ma i tempi sono maturi per un cambiamento. Dobbiamo solo fare pressione”. Nel riportare la notizia, il quotidiano americano ricorda che “l’Italia è uno dei pochi Paesi in Europa occidentale che non riconosce unioni di alcun tipo fra persone dello stesso sesso”. “Sul matrimonio gay – titola infatti il quotidiano . l’Italia è sempre più sola”

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In Francia, dove a Cannes ha trionfato il film che tratta il tema dell’amore lesbico La via d’Adéle, si celebrerà domani, a Montpellier, il primo matrimonio gay. I promessi sposi sono Bruno Boileau, 30 anni, e Vincent Autin, dieci anni più grande. Mentre il paese continua ad essere spaccato sulla legge entrata in vigore da pochissimo, loro, che si sono conosciuti 7 anni fa in internet, avranno gli occhi di tutta la nazione puntati addosso. A celebrare le nozze sarà il sindaco della cittadina nel sud della Francia, Hélène Mandrou, impegnata da tempo sul fronte delle nozze gay, la stessa che il 5 febbraio 2011 ne aveva celebrato una simbolica, unendo Tito Livio Santos Mota et Florent Robin. Ci saranno anche ospiti illustri a festeggiare l’evento in rappresentanza del governo: il ministro dei diritti delle donne, Najat Belkacem-Vallaud, e il ministro per la Famiglia, Dominique Bertinotti. Insieme a loro 300 invitati tra esponenti politici e delle associazioni, 200 tra familiari e amici della coppia, e 130 giornalisti accreditati. “Il nostro matrimonio ha una grande eco mediatica e questo può essere imbarazzante”, ha dichiarato Bruno a l’avenir.net. “Ma noi cerchiamo sempre di non dimenticare lo scopo della nostra battaglia: che sia Monsieur o Madame, ciascuno deve potersi sposare nella propria città”. Ridotta all’osso la formula scelta per il rito:  “Vincent Autin, vuoi prendere per sposo Bruno Boilea?”, “E tu, Bruno Boileau, vuoi prendere per sposo Vincent Autin?”. “Vi dichiaro uniti in matrimonio”.

Visto il clima del Paese, però, l’invito è alla discrezione, per evitare d’incappare in spiacevoli incidenti, il banchetto si terrà in forma privata e in una località segreta, ma anche per non spettacolarizzare un evento così importante. Una scelta apprezzata anche da Bruno e Vincent, che speravano in un po’ d’intimità: “Il nostro è un matrimonio d’amore. Vogliamo mettere su famiglia e dunque chiederemo anche l’adozione”. E il loro è stato amore a prima vista, prima si sono conosciuti all’interno di un forum, poi l’incontro a Parigi. Il timido Bruno si è ritrovato innamorato dell’estroverso Vincent, già attivista lgbt. Vincent è impegnato all’interno dell’Interpride World, di cui è responsabile francese. I mesi passano, la storia è seria, e Bruno decide di fare coming out in famiglia, dove la coppia è acoclta a braccia aperte. S’insinua in tutti la speranza, accompagnata dall’impegno, che la Franciariconosca a gay e lesbiche la completa parità rispetto agli etero. Ora finalmente ce l’hanno fatta e mercoledì 29 maggio si diranno di sì: “Dobbiamo tutto questo anche ai tanti che insieme a noi e prima di noi si sono battuti per l’uguaglianza”.

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