Il camionista licenziato perchè ha detto no al contratto bulgaro

autostrada_autotrasporto-tuttacronaca“Mi chiamo Alessandro, per i colleghi Valanga e sono, o meglio ero un autista. Un lavoro in un settore spesso mal visto e mal interpretato, ma affascinante e comunque indispensabile. Uno di quei lavori che puoi fare solo con passione. Passione che ti spinge a farti le patenti, a girare per le strade d’Europa col tuo metabolismo regolato dalle ore di guida, dai clienti e dalle dogane. Ma vai avanti.” Inizia così la lettera pubblicata da un 31enne milanese di Segrate su Weborienta. Lui è camionista da 12 anni e qualche riga dopo aggiunge: “Ora basta. Lavoro in Italia, con un mezzo italiano, trasporto merce italiana da e per l’Italia se non addirittura in Italia, sono italiano orgogliosamente e tu mi proponi un contratto bulgaro no.” Perchè è una pratica sempre più gettonata, come spiega lo stesso Alessandro Gabanella al Corriere. “La telefonata è arrivata un anno fa e a dire il vero me l’aspettavo da un po’. Il titolare dell’azienda mi ha detto: ‘Vieni giù e ne parliamo’. Io gli ho replicato: Non propormi le porcherie che sento in giro, perché non vengo proprio”. E ora, per aver detto sì al suo orgoglio di essere italiano e alla legalità, è senza lavoro da un anno. Spiega il quotidiano:

Patente C, D, E. Migliaia di euro per poter guidare tir e autotreni. Contratti sempre precari ma una grande passione. Stipendio da 1.800 euro al mese, settimane intere al volante passando dogane e frontiere. Amici improvvisati nei motel di ogni dove. I marocchini, i pachistani e poi i romeni, i bulgari. Le «navi-scuola», gli amori, il forno da campeggio, i panini e i «bocadillos», le notti a Novara con la nebbia fitta sulla Torino-Milano e la responsabilità di carichi come macigni, l’attenzione spasmodica che non ti freghino la benzina mentre sei in dormiveglia. La carreggiata unico metro di riferimento e il parlare da soli per dissimulare la solitudine.

 

Quello che accade con questi contratti bulgari lo si può sintetizzare in questo modo:

in Bulgaria i camionisti guadagnano un terzo dello stipendio italiano e le tasse e i contributi sono minimi. Ma la Bulgaria, come la Romania, ora fa parte dell’Unione europea e in virtù della liberalizzazione del mercato e della volontà degli sherpa di Bruxelles di favorire la mobilità sovranazionale molti “paletti” sono stati divelti. Così ora si moltiplicano le aziende italiane di trasporto che chiudono nel nostro Paese per aprire una sede fittizia nell’est Europa. Con la complicità di agenzie interinali italiane (su cui siti campeggiano diversi annunci per autisti romeni) e persino di una sigla sindacale, la Unitai (aderente a Conftrasporto) che aiuta i «padroncini» a chiudere da noi per riaprire in Bulgaria fornendo tutte le informazioni del caso. L’esito – dice Alessandro – «è che se non fai come ti dicono loro resti a casa. E al tuo posto assumono un bulgaro, oppure riassumono un tuo collega italiano con un contratto bulgaro riconoscendogli in nero lo stipendio che aveva prima , ma non pagandogli più contributi e tanto meno le tasse. Se non accetti – e se ti va bene – rischi di diventare un cassintegrato. Con i sussidi dello Stato italiano, i soldi per la formazione italiani, la merce trasportata italiana da un tuo collega italiano a finanziare il welfare di Romania e Bulgaria». Eppure le norme prescrivono che aziende di trasporto straniere non possano fare più di tre viaggi all’interno di un Paese estero a settimana. Peccato che fatta legge, trovato l’inganno. Le aziende di trasporto che hanno aperto una filiale nell’est Europa hanno tenuto rimorchi e semirimorchi italiani in modo da saltare i controlli relativi al cabotaggio e ora c’è il far west. Dice Alessandro che si può trovare ovunque ampio riscontro di quello che sta accadendo: «La Arcese trasporti, che ha gestito i trasporti della Fiat per una vita, assume ora in Romania e ha appena chiuso a Torino. La Maggi ha licenziato 50 persone e ad aprile ha liquidato il settore del trasporto del latte puntando sulla logistica. Lo stesso ha fatto la Amantini. Ma anche Autori, Torello, Vercesi, Spinelli (l’azienda del presidente del Livorno, ndr.), Transmec, Fertrans, Colucci hanno assunto personale da agenzie o vettori dell’est Europa, ma nessuno lo dichiara apertamente. Eppure è tutto perfettamente legale, come mai non dichiararlo alla luce del sole?». Benvenuti in Europa, dalla porta est.

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Bufera in Sicilia: i portaborse con contratto da colf

palazzo-dei-normanni-tuttacronacaDai portaborse alle ‘badanti’ dentro il Parlamento più antico d’Europa. In Sicilia, irredimibile terra del Gattopardo, l’ultima trovata degli inquilini di Palazzo dei Normanni è il collaboratore col contratto da colf.   Una ‘figura’ inedita, tirata fuori dal cilindro da alcuni deputati regionali, con l’avallo di qualche eccentrico commercialista, per approfittare di una ‘finestra’ concessa dalla legge sulla spending review, approvata dall’Assemblea siciliana appena due settimane fa. Non si sa ancora quanti siano i collaboratori inquadrati in questo modo ma è già polemica; anche altri deputati, come quelli del M5S, hanno provveduto ad assumere in extremis ma con contratti cocopro. Il Fatto Quotidiano ne parla così:

Si aggirano tra i corridoi di Palazzo dei Normanni in giacca e cravatta, sono spesso avvocati o commercialisti, collaborano alla stesura di disegni di legge e interrogazioni, ma per lo Stato dovrebbero stirare, lavare i piatti e rassettare le stanze. Accade in Sicilia, dove per risparmiare sui contributi contrattuali, alcuni deputati regionali hanno deciso di assumere assistenti parlamentari come se fossero colf: il risparmio in busta paga è garantito. A rendere noto lo strano trattamento contrattuale è stata la deputata dell’Udc Alice Anselmo, che a proposito degli assistenti assunti come colf ha candidamente ammesso: “Io e molti miei colleghi abbiamo scelto questa soluzione”. Il motivo? “l contratto delle colf – ha spiegato l’esponente dell’Udc al Giornale di Sicilia – è l’unico che prevede la tipologia utilizzabile da una persona fisica, qual è un deputato: si tratta genericamente di servizi alla persona e all’interno del contratto da colf è prevista anche una categoria di servizi amministrativi”.  I contratti fatti ai due portaborse sono a tempo indeterminato e per 40 ore settimanali. Contratti simili sarebbero stati stipulati da altri deputati per uno o più portaborse. Ma per la Fisascat-Cisl si tratterebbe di contratti illegittimi. “Se uno di questi collaboratori assunti come colf venisse da noi apriremmo subito una pratica per l’ispettorato del Lavoro”.

Parole che hanno gettato nel panico Palazzo dei Normanni. “Contratti da colf per i collaboratori dei deputati? Lo trovo di cattivo gusto”, ha commentato il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, che aggiunge: “Io avevo assunto un collaboratore con un contratto giusto e ci rimettevo almeno 5mila euro”. “Otre che eccessivo, sarebbe ridicolo – ha replicato il presidente dell’Ars Giovanni Ardizzone – Ho chiesto spiegazioni all’onorevole Alice Anselmo. Mi ha assicurato che si tratta di contratti per assistente personale amministrativo e addetto di segreteria. Pertanto, l’ho invitata a dare, immediatamente, pubblica contezza dei contratti, evitando sterili e inutili polemiche su argomenti inesistenti”. All’onorevole Anselmo, dopo la strigliata di Ardizzone, non è rimasto che chiarire: “Nessuno di noi, singoli parlamentari, può procedere ad alcuna assunzione, se non nei termini di legge che sono, appunto, quelli che in queste ore qualcuno si diverte a fare apparire anomali: un contratto di servizi alla persona, che comprende varie categorie e varie mansioni. Si tratta di un contratto che, tra contributi e tfr, garantisce il lavoratore sotto ogni punto di vista, rispettando i ccnl”.

Il problema dei contratti degli assistenti parlamentari però rimane: il nodo della questione è la parte riservata ai contributi. La forma più adatta di assunzione sarebbe quella di praticare contratti da coadiutori amministrativi, inquadramento che però fa aumentare chiaramente le spese contributive. All’Ars, dopo un lungo tira e molla durato più di un anno, è stato approvato il decreto sulla spending review: i parlamentari potranno spendere al massimo 58mila euro lordi ogni anno per i loro collaboratori, che possono essere anche infiniti dato che nessuna norma ne individua il numero massimo da assumere. L’importante è che abbiano un regolare contratto: logico dunque che convenga praticare formule che facciano risparmiare sulle tasse in modo da potere assumere diversi collaboratori con lo stesso budget.

Una sorta di sanatoria, poi, prevede che tutti i collaboratori assunti al 31 dicembre 2013 rimarranno comunque in carica fino alla fine della legislatura. Ecco quindi che all’Ars si è aperta la corsa alle assunzioni dell’ultimo minuto. Nonostante il Parlamento siciliano sia l’unico consiglio regionale d’Italia che può contare su 85 collaboratori interni fissi (che cambiano gruppo parlamentare ad ogni legislatura a seconda delle necessità) a Palazzo dei Normanni sono comparsi durante il periodo natalizio nuovi assistenti parlamentari. Che siano assunti come coadiutori amministrativi o come colf non importa: l’importante è che il loro contratto sia stato firmato entro il 2013.

Gli 800 euro di Enrico Letta

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E’ Franco Bechis di Libero, a mettere sotto il riflettore le spese di Enrico Letta. Secondo il vicedirettore di Libero infatti il premier spenderebbe  per l’immagine, 800 euro al giorno. Letta “ha firmato due contratti per monitorare l’immagine sua e di governo” scucendo 70mila euro in tre mesi.

Bechis scrive:

La commessa più appetitosa, per 47.556,63 euro, se l’è aggiudicata la Ipsos guidata da Nando Pagnoncelli, quello che ogni martedì sera fornisce a Giovanni Floris i sondaggi per Ballarò. Il contratto in questo caso è leggermente inferiore ai tre mesi, visto che riguarda il periodo 28 settembre13 dicembre 2013. In questo periodo Pagnoncelli si è impegnato a «costituire una community, composta da un gruppo di persone in numero di 50, che discuteranno on line sugli argomenti indicati in contratto, nonché degli argomenti che verranno di volta in volta indicati dalla presidenza del Consiglio dei ministri».

All’articolo 2 del contratto è posto il vincolo di assoluta segretezza: «I risultati delle rilevazioni sono di esclusiva proprietà del committente e non potranno in alcun modo essere diffusi all’esterno». Anche se quei 50 danno pagelle ogni giorno, per quei 47 mila e rotti euro Pagnoncelli è obbligato a consegnare a Letta e al suo capo ufficio stampa solo quattro rapporti riassuntivi, anche via posta elettronica. Due rapporti sono già stati consegnati il 14 e il 28 ottobre scorso. Gli altri due verranno consegnati il 25 novembre e il 13 dicembre, ultimo giorno di vigenza del contratto. Sono pagati dunque con la Banca delle Tasche degli Italiani, ma non sono messi a loro disposizione: se li tiene Letta in gran segreto. Il secondo contratto – di importo più modesto, visto che la Banca delle Tasche degli italiani pagherà “solo” 23.359,05 euro fra il primo ottobre e il 31 dicembre prossimo – è stato conquistato dall’Istituto Piepoli di Nicola Piepoli, altra grande firma della sondaggistica.

In questo caso si usa un campione per sondaggi che l’istituto ha già e ha ribattezzato “Tableau de Bord”, composto da 2 mila maggiorenni in grado di rappresentare la popolazione italiana geograficamente, per sesso, età, titolo di studio e condizione professionale. Anche in questo caso i risultati dei sondaggi, che devono essere almeno uno al mese, restano segreti e «non potranno in alcun modo essere diffusi all’esterno».

Contratti bloccati e addio allo straordinario per gli statali!

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Per i dipendenti pubblici arriva l’estensione del blocco dei contratti che era già intervenuto nel triennio 2010-2012 e che ora arriverà sino al dicembre 2014. Tale estensione riguarda anche il personale del servizio sanitario locale. Poi, sempre nella bozza si legge  ”per le amministrazioni statali, compresa la Presidenza del Consiglio dei ministri, la spesa per le prestazioni di lavoro straordinario va ridotta, rispetto alle risorse finanziarie allo scopo assegnate per l’anno finanziario 2013, del 10% a decorrere dall’anno 2014”.

6,7 milioni di dipendenti in “coma” in attesa del contratto

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E’ stata raggiunta quota 52,1% ovvero, come era già accaduto a maggio, sono di più i lavoratori che attendono il rinnovo rispetto a coloro che hanno un contratto in vigore. I dati Istat poi rivelano che di circa 6,7 milioni di dipendenti almeno 2,9 milioni lavorano nel settore pubblico. Oltre al rinnovo dei contratti c’è attesa anche per ben 51 accordi che anch’essi devono essere rinnovati. Esecutivo al servizio dei cittadini o esecutivo che continua a prendere tempo perché non si trovano voti con i quali approvare le urgenze del Paese?

 

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