La tragedia di un intero popolo, quello siriano, costretto a lasciare la propria terra, ormai ridotta a territorio di guerra, è diventata per Greg Beals, fotogiornalista americano, uno scopo di vita e un progetto fotografico che vuole documentare l’esodo e i suoi protagonisti. Beals che lavora per l’Unhcr, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, ha creato un profilo su Instagram, @therefugeeroad, dove racconta la vita dei profughi nel campo di Zaatari, il secondo più grande del mondo. Come racconta lo stesso Beals:
“L’obiettivo è concentrarmi sulle vite dei sopravvissuti ai conflitti – racconta a Wired – ho aperto il profilo un anno fa sia per ragioni personali che lavorative. Considero gli esseri umani come fiori, sono interessato a mostrare quanto siamo fragili e quanto ogni vita sia unica e bella. Quando sono arrivato in Giordania per seguire il conflitto siriano da un punto di vista regionale ho iniziato a combinare le idee in una sola, riassumibile in Dove vanno a finire i rifugiati”.
Il giornalista ha poi spiegato che:
“A febbraio e marzo dello scorso anno 4.000 persone al giorno hanno iniziato ad attraversare la frontiera siriana approdando in Giordania – continua Beals – lo stesso numero verso il Libano. Più fotografavo per Instagram più gli scatti diventavano intimi. C’è qualcosa nelle persone che soffrono in massa che confonde lo sguardo di chi ne è fuori. Nel senso che ci sentiamo vicini ma spesso quest’empatia trasforma chi soffre in qualcosa di diverso da un essere umano. The refugee road tenta dunque di mostrare le persone che attraversano i confini per quel che sono: umani, complessi e belli”. Sotto questo punto di vista, uno strumento come Instagram si è rivelato fondamentale, un ponte verso una sensibilizzazione di tipo diverso: “Non sono un esperto di social media – racconta Beals – ma incontro persone che hanno storie interessanti da raccontare. Storie di sopravvivenza scritte sulle loro facce, specialmente quelle dei bambini. Mi piace collegarle, trovo s’inneschi una catena di riconoscimento tra gli utenti che apprezzano queste foto per quel che significano davvero. Questo, per me, è l’autentico valore dei social media: l’abilità delle persone dai percorsi più diversi e da varie parti del mondo di capire meglio l’esistenza di chi è meno fortunato”.
E’ stato approvato all’unanimità, dal consiglio di sicurezza dell’Onu riunito a livello di ministri degli Esteri, la risoluzione per lo smantellamento dell’arsenale chimico del regime di Damasco, frutto di un accordo tra Usa e Russia e, cosa rara, cosponsorizzata da tutti gli altri 13 membri del Consiglio. Ban Ki-moon, segretario generale, che ha annunciato l’intenzione di organizzare una conferenza di pace per la Siria entro metà novembre, l’ha definito “Un voto storico”. Anche se il testo non prevede sanzioni automatiche e non ricade nel raggio d’azione del ‘capitolo 7’ della Carta Onu, che prevede come ultima ratio l’uso della forza, in caso di inadempienza verranno però prese misure proprio sotto il capitolo 7, attraverso una eventuale successiva risoluzione. Su base regolare e dopo i 30 giorni dall’adozione della risoluzione si verificherà che vengano rispettati i dettami dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) e del Consiglio di sicurezza Onu. Il segretario ha spiegato che “Il successo della missione degli esperti per la distruzione delle armi chimiche in Siria dipende dal fatto che le autorità di Damasco rispettino pienamente gli impegni e garantiscano la sicurezza del personale Opac e Onu”. Ban Ki-moon ha inoltre affermato che “una luce rossa per alcuni tipi di armi non vuol dire luce verde per altre”. Questa risoluzione, ha detto, “non è una licenza di uccidere con armi convenzionali”. A seguito delle votazioni, il segretario di Stato americano, John Kerry, ha dichiarato: “Se mettiamo la politica da parte per il bene comune, sappiamo fare cose buone”. Aggiungendo: “La stessa determinazione che abbiamo dimostrato stasera dobbiamo dimostrarla per porre fine alla guerra in Siria”. Nel frattempo, però, solo ieri, nella regione di Damasco, almeno 30 persone sono state uccise e decine di altre ferite da una autobomba esplosa in un’area a maggioranza sunnita che si oppone al regime di Assad, nella cittadina di Rankus.
Barack Obama, dopo essere stato Nobel per la pace, sta per diventare l’uomo della guerra, cosa potrebbe fermare la trasformazione di un “Gandhi” in “Robocop”? Una bozza di un ultimatum a Damasco: 45 giorni nei quali Assad verrebbe l’obbligo di sottoscrivere la messa al bando delle armi chimiche. Altrimenti, scatterà la reazione militare americana. La risoluzione sarebbe stata preparata da due senatori democratici moderati, Joe Manchin, eletto in West Virginia, e da Heidi Heitkamp, senatrice del North Dakota.
Ma se una soluzione “politica” è stata presentata è anche vero che nel frattempo si è studiato, nei minimi dettagli, un attacco aereo su larga scala che invece vorrebbe colpire obiettivi più estesi rispetto a quelli previsti in un primo tempo. Si sarebbe deciso di utilizzare missili sparati da aerei bombardieri B2 e B52, e di andare ben oltre i 50 obiettivi decisi di comune accordo con la Francia. Gli attacchi verrebbero rivolti non contro le scorte di armi chimiche, il che significherebbe rischiare una catastrofe, ma piuttosto contro le unità militari che hanno immagazzinato e preparato le armi militari e attuato gli attacchi contro i ribelli, come anche contro le sedi che sovrintendono agli attacchi stessi. Il generale Martin E. Dempsey ha detto che altri obiettivi riguarderebbero le attrezzature utilizzate dalla Siria per proteggere le armi chimiche, come missili e razzi a largo raggio, che possono anche trasportare le stesse armi.
Un bivio non semplice per il Presidente Obama che ora si trova a vivere quotidianamente in una morsa schizofrenica di chi gli ricorda che è un novello Gandhi insignito anche del Nobel della Pace e chi invece lo pone come l’erede di Robocop e lo vorrebbe al centro di una guerra i cui esiti potrebbero essere devastanti per l’umanità futura e abbattersi sulle prossime generazioni. Gli esempi ci sono tutti basta vedere l’Iraq. E se lui promette che sarà un raid diverso, c’era già chi aveva annunciato che l’Iraq non sarebbe diventato il Vietnam, e forse per alcuni versi, aveva anche ragione… è stato peggio! Eppure il mondo aveva “votato” Obama, il presidente afroamericano, il presidente del cambiamento, il presidente del futuro… ma poi cosa è accaduto in quella Casa Bianca che sembra l’anima nera degli Stati Uniti d’America?
Il vertice di San Pietroburgo ha come obiettivo principale individuare il modo per rilanciare la crescita dell’economia mondiale, focalizzandosi anche sul fare in modo che produca nuovi posti di lavoro. Ma il caso Siria rischia di far passare in secondo piano questo punto primario. Ma il G20 è anche un’occasione per parlare con altri leader, come dimostra la foto pubblicata sulla pagina Twitter di Palazzo Chigi, che mosta Enrico Letta in compagnia di Barack Obama e David Cameron. Ma anche il premier italiano trova il tempo per cinguettare e non manca di far sapere che ha “parlato con il pm Singh (il primo ministro indiano, ndr.) della nostra ansia x soluzione rapida e giusta per i nostri due marò”.Ma il Premier, immediatamente dopo, ha anche voluto deliziare i suoi followers con un particolare della cena:
Se quasi un mese fa Rosy Bindi era stata “pizzicata” a giocare a solitario con il suo tablet durante l’esame del decreto lavoro, non dobbiamo pensare che siano solo i politici italiani ad annoiarsi durante un dibattito o una votazione: succede anche all’estero. Come dimostra una foto apparsa sul The Washington Post, durante il dibattito nella Commissione del Senato riguardante il possibile intervento militare degli Stati Uniti in Siria, il senatore John McCain era molto concentrato… su una partita a poker in internet.
Il senatore ha poi ironizzato via Twitter: “Scandalo! Beccato mentre giocavo con l’iPhone durante un dibattito di più di tre ore al Senato – la cosa peggiore, ho perso!”
E’ la tv iraniana in lingua araaba Al Alam ha diffondere un video che dimostra chiaramente, secondo l’emittente, il coinvolgimento dei ribelli nell’utilizzo delle armi chimiche.
Le immagini sono postate su Facebook e Youtube e “mostrano cosiddetti militanti dell’Esercito libero siriano (Fsa) mentre lanciano un attacco al gas contro un villaggio siriano” (non meglio precisato). Le immagini “mostrano anche razzi caricati con taniche tossiche”.
Già nei giorni scorsi si erano avuti i dubbi sul presunto utilizzo da parte delle forze governative delle armi chimiche:
L’asso per convincere l’opinione pubblica, gli Usa lo hanno gettato sul tavolo mostrando quelle che, secondo il governo statunitense, sarebbero le prove che inchioderebbero il governo della Siria sull’atroce responsabilità dell’uso dei gas contro la sua popolazione civile. Sono quattro pagine che riportano foto scattate dai satelliti che mostrano le location da cui sono partiti i missili con le bombe caricate con il micidiale gas sarin o affini come il tabun. Per rendere ancora più credibile l’uso di queste armi di sterminio di massa, ci sarebbero anche le intercettazioni telefoniche di ufficiali siriani man mano impegnati a dare l’ordine del lancio, quello di indossare le maschere antigas e a dirsi preoccupati che gli ispettori dell’Onu scoprano le loro orribili responsabilità. Obama, come fece anni fa George H. Bush, figlio di George W. Bush, ha deciso di ignorare completamente il rapporto che sarà stilato nei prossimi 10-14 giorni dalle Nazioni Unite. L’America non ha tempo di attendere per conoscere la verità sulle armi chimiche, salvo poi, come nel caso di George Bush, accorgersi a guerra ultimata che quelle armi davvero non erano mai esistite.
Ma chi può davvero credere che quelle foto siano uno specchio reale della verità? Chi senza ombra di dubbio può affermare che quelle foto non siano strumentali? Forse gli Usa potrebbero essere anche in buona fede, ma può accadere che un’immagine venga “manipolata” per sensibilizzare le coscienze e non a caso sono stati scelti i corpi dei bambini dilaniati per gridare all’orrore e inneggiare alla guerra.
Se queste sono 4 pagine vanno poi confrontate con le 80 che poco tempo fa furono presentate all’Onu da Cina, Francia, Usa e Regno Unito per dimostrare l’uso di gas Sarin da parte dei ribelli a Khan al-Assal.
Non dimentichiamo che già il 6 maggio a parlare di prove sull’uso di gas Sarin da parte dei ribelli era stato il magistrato svizzero Carla Del Ponte, ex procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per i delitti contro l’umanità compiuti nell’ex-Jugoslavia. Certo Del Ponte non è sospettabile di simpatie pro Assad.
Le prove di Obama poi non sarebbero così schiaccianti se venissero analizzate nei dettagli.
Le foto e le riprese satellitari per essere credibili dovrebbero mostrare i singoli lanci come se fossero stati visti da pochi metri di distanza, permettendo di capire bene di che tipo di missili si tratta e che divisa indossa chi li lancia. Da oltre 10 anni è provato che i satelliti e gli aerei spia Usa sono in grado di leggere perfino le targhe dei camion.
Ma quello che convince meno sono le intercettazioni telefoniche. Non c’è bisogno di avere lavorato in certi uffici militari per sapere che gli ordini più compromettenti non si danno per telefono, strumento che per certe comunicazioni è anzi vietato usare. E non c’è bisogno di essere esperti per sapere che i reparti che lanciano bombe caricate a gas non hanno nessun bisogno di sentirsi dare l’ordine – per telefono! – di indossare le maschere a gas. Per il semplice motivo che per poter metter mano a quel tipo di arsenale devono munirsi prima di maschere antigas e non solo: devono indossare infatti anche le speciali tute antigas. Sembra davvero una dichiarazione ingenua, per far colpo sull’opinione pubblica americana. Purtroppo molte informazioni negli Usa non riescono a essere veicolate. Pur essendo un paese dove le libertà sono sempre state un cardine della società e della democrazia, è pur vero che l’informazione ha sempre dovuto seguire i governi e cercare di fare presa sulla popolazione. Gli americani (salvaguardando poi le eccezioni) inoltre, sono abituati a credere alle loro istituzioni, non dubitano come gli europei o ancor peggio, gli italiani, che un’istituzione possa strumentalizzare delle prove per agire con il consenso dei cittadini e arrivare a obiettivi economici, piuttosto che umanitari. Sicuramente non sarà questo il caso, ma come dimenticare Il massacro di Timisoara? Era il dicembre 1989, e la Romania era sotto l’egemonia del comunista Nicolae Ceausescu. Nella “città martire” vennero mostrati a giornalisti e operatori televisivi accorsi come mosche decine di corpi sventrati, ricuciti alla meglio, bruciati, “torturati dal servizio segreto rumeno”, la famigerata Securitate. L’indignazione del mondo intero fu enorme. Si scoprirà in seguito che la strage in realtà non c’era mai stata: quei morti gettati in faccia al mondo erano gente comune deceduta negli ospedali e gli squarci sui loro cadaveri erano dovuti alle autopsie. Il regime finì pochi giorni dopo con la fucilazione di Ceausescu, il cui posto è stato preso dai suoi ex amici autori della messinscena.
Ci sono poi le dichiarazioni di due esperti, uno americano e l’altro inglese, rilasciate a un noto quotidiano israeliano, Haaretz. Uno è Dan Kaszeta, ex ufficiale del Chemical Corp dell’esercito Usa nonché consulente della Casa Bianca per la Sicurezza, l’altro è l’inglese Steve Johnson, un ricercatore della Cranfield University leader nello studio degli effetti dell’esposizione a sostanze tossiche che ha lavorato con il Ministero della Difesa della Gran Bretagna nel campo della guerra chimica.
I due esperti hanno raccontato:
Dan Kaszeta: “Nessuna delle persone che trattano le vittime o le fotografa indossa un qualche tipo di protezione verso i prodotti chimici denunciati. E nonostante questo, nessuno di loro sembra essere stato danneggiato” . Ciò porterebbe ad escludere l’uso della maggior parte dei tipi di armi chimiche di tipo militare, compresa la stragrande maggioranza dei gas nervini, perché tali sostanze non evaporano immediatamente, soprattutto se sono state utilizzate in quantità sufficiente per uccidere centinaia di persone (355, secondo alcune dichiarazioni di Médecins sans frontières accreditate dalla stampa ocidentale), ma lasciano un livello di contaminazione anche sui vestiti e sui corpi di chi, come i soccorritori, viene in contatto con loro nelle ore successive un attacco non adeguatamente protetto”.
Kaszeta aggiunge che ”non c’è nessuno degli altri segni che ci si aspetta di vedere in seguito di un attacco chimico, come ad esempio i livelli intermedi di vittime, gravi disturbi della vista, vomito e perdita di controllo dell’intestino”.
Steve Johnson: “Dai dati che abbiamo visto finora , un gran numero di vittime in un’ampia zona significherebbe un uso dei gas dalla dispersione molto invasiva. Con un tale livello di agente chimico ci si aspetterebbe di vedere un sacco di casi di contaminazione sulle vittime in arrivo e tra i soccorritori e coloro che li curano senza essere adeguatamente protetti . Noi qui non stiamo vedendo nulla di simile”.
Haaretz aggiunge che non ci sono risposte neppure alle domande se gli ordigni chimici siano stati usati altre volte, perfino quando gli ispettori dell’Onu erano già in Siria per indagare.
E chi ha sparato sul convoglio degli ispettori dell’Onu? A dire che può essere stato chiunque, modo elegante per dire che sono stati i ribelli mercenari, è in primis il New York Times.
Uno scenario complesso e difficile da decifrare, ma proprio per questo bisognerebbe agire con prudenza per poi non ritrovarsi con errori impossibili da riparare. Poniamo anche per un istante che sia tutto vero, che Assad abbia usato le armi chimiche, che quelle foto siano prove inconfutabili e che la popolazione abbia subito dalle forze governative un attacco chimico, combattiamo contro Assad? Lo uccidiamo mettendo a repentaglio ancora una volta la popolazione vittima di una guerra senza fine? Una nuova ondata di violenza? Bombardamenti senza sosta dalle forze ribelli, da Assad e dagli americani e i loro alleati? Uccidiamo Assad e poi diamo lo stato in mano ai ribelli che sono ideologicamente affini ai Fratelli Musulmani? Scateniamo nuovi attentati nel mondo e mettiamoa repentaglio l’Europa geograficamente più vicina alla Siria?
Perché invece non si è tentata la mediazione? Perché Obama non ha incontrato Putin? Perché rinnovare ancora una volta la guerra tra Usa e Russia? Forse c’è anche la volontà di far dimenticare il Datagate e mostrare che i nemici sono altrove, non sono dentro casa pronti a spiare ogni mail che riceviamo?
In mezzo all’orrore in Siria, come riporta l’HuffingtonPost nella sua edizione spagnola, emergono scene di speranza. E’ stato infatti pubblicato in Youtube un video che mostra l’incontro tra un padre e il figlio che l’uomo temeva fosse rimasto vittima dell’attacco chimico che ha avuto luogo a Damasco la settimana scorsa. L’offensiva, che sembra sia stata attuata dall’Esercito siriano in zone periferiche della città, causò la morte di circa 1.300 persone, stando a quanto raccontano gli oppositori. Le immagini potrebbero esser state registrate nella zona sudoccidentale di Zamalka mentre il video ha fatto la sua apparizione in rete il 25 agosto. Come si vede nel filmato, quando finalmente il padre può riabbracciare il piccolo, gli dice: “Sono qui, sono con te”.
Secondo MSF (Medici senza frontiere) sono 355 i morti in Siria che presentano “sintomi neurotossici”, precisando anche che dal 21 agosto nelle strutture sono state ricoverate 3.600 persone.
«La sintomatologia, le caratteristiche epidemiologiche, l’afflusso di un numero così alto di pazienti in un lasso di tempo così breve, fanno pensare fortemente all’esposizione massiccia ad un agente tossico», scrive Medici senza frontiere, prima fonte indipendente a confermare l’uso di armi chimiche nella regione di Damasco.
La conferma sembrerebbe anche arrivare dal ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, in visita a Ramallah, in Cisgiordania che ha affermato: «Tutto indica che il regime di Bashar al-Assad abbia condotto un “attacco chimico” questa settimana nei pressi di Damasco».
Barack Obama intanto ha incontrato i suoi consiglieri alla sicurezza per discutere sulle opzioni americane, inclusa un’azione militare, contro il governo siriano, accusato di aver usato armi chimiche contro i civili.
Ma se Obama accelera, la cancelliera Angela Merkel frena e si dichiara contraria a un intervento militare in Siria: «Non seguiamo la strada di una soluzione militare», ha dichiarato a Berlino il portavoce governativo, Steffen Seibert. «Non crediamo che sia possibile risolvere (il conflitto) dall’esterno, crediamo invece che debba essere trovata una soluzione politica», ha detto.
Intanto è avvenuta l’ennesima esplosione. Questa volta a essere colpita è stata piazza Burj al-Ros, nel centro di Damasco. Al momento non si conosce il bilancio di morti e feriti avvenuto nella deflagrazione dell’ordigno.
Lo scorso mercoledì i ribelli siriani avevano accusato il regime di utilizzare armi chimiche: ora è il regime ad accusare i ribelli di farne uso. Una fonte ufficiale, che non è stata identificata, parlando alla televisione statale ha assicurato che molti soldati “hanno visto elementi chimici e hanno sofferto di asfissia” quando sono entrati nei rifugi dei ribelli a Yobar, nella periferia di Damasco. “Gli eroi delle Forze Armate stavano entrando nei tunnels dei terroristi a Yobar e hanno visto elementi chimici. Molti soldati hanno sofferto di asfissia”, ha segnalato la fonte. “Sono arrivare ambulanze per soccorrere quanti stavano soffocando a Jobar”, ha precisato oltre a segnalare que una unità dell’Esercito si sta preparando per fare irruzione nella zona controllata dai ribelli che lottano contro il regime di Bashar al Assad. Il regime siriano ha rivolto le accuse lo stesso giorno in cu la rappresentante dell’ONU per il disarmo, Angela Kane, è giunta a Damasco per tentare di convincere le autorità a permettere l’accesso immediato alla zona del presunto attacco con il gas nervino che ha causato la morte di centinaia di persone nella periferia della città. La Kane è arrivata in città percorrendo la strada che unisce il centro con Beirut e ha raggiunto il suo hotel senza rilasciare dichiarazioni alla stampa, come fonti ufficiali hanno riferito a Efe. La rappresentate ONU ha in programma d’incontrare con urgenza i funzionari siriani affinchè venga consentito immediatamente l’ingresso della missione delle Nazioni Unite che sta indagando sull’eventuale presenza di armi chimiche nel sobborgo di East Guta dove, secondo l’opposizione, hanno perso la vita più di 1.300 persone. Fino ad ora, il regime siriano non ha dato risposte al riguardo.
Le aree vicine a Damasco, sotto controllo dei ribelli, sono state attaccate con un pesante bombardamento da parte delle forze del presidente Bashar al Assad che sono accusate, dagli attivisti siriani, di aver utilizzato armi chimiche. La denuncia arriva nel giorno della visita a Damasco di un team Onu di esperti di armi chimiche mentre il Comitato locale di coordinamento dell’opposizione al regime ha riferito di 30 corpi portati in un ospedale da campo a Kafr Batna, a est della capitale. Tale denuncia, tuttavia, non può essere verificata in maniera indipendente. Reuters cita degli attivisti secondi i quali i morti sarebbero 213, mentre quelli sentiti da Al Arabiya, parlano di almeno 500. I Comitati locali hanno denunciato: “Centinaia di martiri e di feriti, tra cui donne e bambini, sono il risultato del barbaro uso di gas letali da parte del regime criminale nelle città dell’est Ghouta”. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha riportato invece che “dopo mezzanotte, le forze del regime hanno intensificato le operazioni militari, ricorrendo all’aviazione e ai lanciagranate, causando decine di morti e feriti”. L’agenzia ufficiale Sana cita invece fonti del governo che hanno smentito l’uso di armi chimiche in un bombardamento sulla regione della Ghouta, vicino a Damasco, affermando che si tratta solo di “un tentativo di ostacolare il lavoro degli ispettori dell’Onu sulle armi chimiche”, attualmente in Siria.
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La guerra spezza gli equilibri di una normale etica e uccide l’adolescenza. E’ nella brutalità quotidiana che viene dissolta l’innocenza dell’infanzia. Ahmed, 11enne siriano, aveva una storia molto particolare, strappato dai giochi e catapultato in un ospedale si prendeva cura dei suoi coetanei che arrivavano dilaniati dalle mine, dagli spari, feriti a morte da quell’ingiustizia dilagante. Il giornalista di Bild, Julian Reichelt, aveva incontrato Ahmed a febbraio nell’ospedale di Aleppo. Qui lo aveva visto mentre si preoccupava di mettere una benda sulla ferita di un bambino e cercava di disinfettare con lo iodio quella di un altro bimbo. Come si legge nell’articolo del giornalista tedesco “Ahmed si affrettava da bambino a bambino, ad uno gli accarezzava la fronte, ad un altro invece copriva la ferita alla testa. Guarda cosi ci fa Assad, mi urlava nella telecamera, mentre notavo come le sue dita fossero state oscurate dallo iodio che utilizzava per disinfettare le ferite”.
Forse non era il posto dove dovesse essere un bimbo di 11 anni, tra orrore e morte, tra amputazioni e grida lancinanti così trascorrevano le giornate del “piccolo infermiere”. Un medico aveva raccontato al giornalista di Bild che Ahmed era un ragazzo di strada, ed è stato portato a vivere all’interno dell’ospedale perchè non aveva altro luogo. “Gli abbiamo fatto vedere come mettere le bende, come pulire le ferire, quali medicamenti utilizzare, ed è diventato sempre più bravo con il passare del tempo”.
Poi alla fine di febbraio la guerra non ha risparmiato neppure Ahmed. Un auto che si ferma davanti all’ospedale Dar al-Shifa e alcuni uomini hanno portato dentro un giovane senza vita, mettendolo sul lettino. Quel corpo è Ahmed. Era sceso in strada poco prima ed era rimasto vittima di una granata, caduta a pochi passi da lui. Il giornalista lo scopre grazie a un amico fotografo che gli mostra uno scatto del ragazzo deceduto. Così dopo appena due giorni Julian Reichelt, si reca alla tomba di quel “piccolo eroe”, una pietra senza nome, accanto a dei pini, da cui vedere tutta Aleppo. Alcuni medici dicono che ora non vedrà più l’orrore, ma forse guardando quella città in cui è vissuto, in cui ha lottato contro la morte, vedrà ancora bombardamenti e distruzione…
Secondo l’ Esl (l’esercito Libero Siriano) le armi chimiche siriane sono nelle mani russe quindi senza autorizzazione russa tali armi non possono essere usate.
Secondo l’Onu il conflitto in Siria è uno scontro etnico… la valutazione è stata fatta intervistando 1200 testimoni, poichè non è possibile entrare nei confini siriani. La fine del conflitto è comunque lontana e non esiste una soluzione militare.
I ribelli siriani delle brigate Ahrar al-Sham affermano di aver liberato altri reporters di cui però non svelano i nomi ma solo la nazionalità: un turco, un giordano-britannico, un altro americano e un tedesco-siriano.
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