“La Collina” quasi uno spin off di “Parlami d’amore”?

lacollina-parlamidamore-tuttacronacaDue storie che prendono spunto da una comunità di recupero,  ma che forse hanno solo questo come punto di contatto oltre a  un personaggio emblematico.  La Collina, il primo romanzo di Andrea Delogu e Andrea Cedrola, edito da Fandango, che lo ha portato in libreria il 30 gennaio, racconta l’esperienza della Delogu, che ha vissuto fino a 10 anni nella comunità di recupero dalla droga di San Patrignano. Sul sito della Delogu si legge:

La Collina è un romanzo epico, la storia di una famiglia che si unisce a quella di tanti uomini e donne che hanno abitato quel mondo sperando di tornare alla luce. È il racconto incalzante e appassionato di una voce candida che cuce insieme i fili di tanti destini, i salvati e i sommersi che in nome della guerra alla droga hanno finito spesso per sacrificare se stessi.

Se invece facciamo un passo indietro, troviamo,   nel 2006  Silvio Muccino che pubblicava il romanzo, scritto a quattro mani con Carla Vangelista, Parlami d’amore. Nel febbraio 2008, il giorno di San Valentino, usciva invece la trasposizione cinematografica del libro, film che voltava pagina rispetto al personaggio che fino ad allora aveva “intrappolato” lo stesso Muccino nell’adolescente  imbranato e con la zeppola. Quel film, che parlava della  vita del protagonista fuori dalla comunità di recupero, di fatto strappava Silvio Muccino da quelle produzioni e da quei registi che, pur portandolo al successo, lo avevano “limitato” dentro a ruoli “facili”, “leggeri” e “ripetitivi”, mentre allo stesso tempo  ne sanciva il debutto alla regia. “Parlami d’amore”, come alcuni ricorderanno, racconta la storia di Sasha, ragazzo nato in una comunità di recupero, dalla quale, una volta adulto, si allontana per crearsi il suo avvenire e scoprire il significato della parola amore. Per la prima volta Sasha è libero di riprendersi la sua vita, dopo che per tanti anni, il direttore della comunità, Riccardo lo aveva guidato nelle sue scelte. Ora quella figura si è allontanata e lui, tra ingenuità, sbagli e voglia di scoperta, si riappropria della sua identità.

Difficile non fare un confronto immediato, seppur ad anni di distanza. Praticamente impossibile non creare un ponte tra le due opere a partire dal fatto che sono scritte a quattro mani da un uomo e una donna e che anche per  lo stile che è simile, come si nota dall’incipit de La Collina… Ma soprattutto perché traggono spunto dallo stesso luogo, una comunità di recupero  dalla quale alcuni scelgono di scappare mentre altri vi rimangono. E per quelli che se ne vanno il bivio è se restare legato al mondo della droga o “emanciparsi”. Se si trattasse di una serie, potremmo dire che  La  Collina è uno spin-off. Se si trattasse dello stesso romanzo potremmo paragonarlo a quelle porte scorrevoli di Sliding Doors: cosa sarebbe accaduto se… Ma sono due opere diverse, scritte da persone diverse. Le storie di San Patrignano d’altra parte si somigliano, come punto di partenza,  ma poi è la sensibilità di chi racconta a fare la differenza.

Nell’incipit de La Collina si legge:

Su in mansarda c’è solo una porta. Riccardo apre senza bussare. Un abat-jour si accende sul comodino di fianco al letto a una piazza e mezza. Dal piumone sbuca una ragazza poco più che ventenne, la pelle olivastra, capelli lunghi, lisci, neri. Una canottiera bianca. S’intravedono i capezzoli larghi, scuri. Si chiama Sabrina e ha i lineamenti di un’indiana d’America. Lo guarda, Che succede? Riccardo le fa cenno di andare, Abbiamo un problema in macelleria. Sabrina annuisce, Dieci minuti.

Una descrizione di quello che è un ambiente, un calarsi nel passato con meticolosa precisione per portare il lettore a immergersi in quella mansarda, laddove dorme una ragazza ventenne e in cui irrompe la figura emblematica di Riccardo.

Resta il fatto che la Delogu dieci anni ci ha vissuto in quella comunità. E  in quella comunità, in quel passato ci si immerge,  rivangandolo anche nei suoi aspetti più ripugnanti e dolorosi, con descrizioni crude, quasi livide, sempre  alla ricerca della sua liberazione e della sua catarsi…

Cosa accade invece nelle descrizioni del libro Parlami d’Amore di Silvio Muccino e Carla Vangelista? Non esistono! Non c’è spazio per la descrizione e c’è pochissimo spazio per il passato, perché prende vita il vortice emozionale del presente che rade al suolo, nella maggior parte dei   casi, il contesto in cui  si svolge. Questa è solo una delle frasi che si possono trovare nel libro e che raccontano quel riscatto attraverso il corpo, prima  ancora che la mente lo possa elaborare:

Hai presente quando semplicemente pensare a una persona ti toglie il fiato? Ti fa sentire caldo allo stomaco e poi freddo in tutto il corpo perché lei non c’è?

oppure:

Tanto se non vai tu a trovare la vita è la vita che viene a trovare te.

Parlami d´amore narra  quindi l’emozione di chi per la prima volta si trova a vivere al di là della “collina”, non con la lucidità di chi ha fatto un percorso, ma di chi sta compiendo un’evoluzione. Non un processo a posteriori come può essere la trascrizione della Delogu, ma una storia  che  di quel passato non sa quasi più che farsene, raccontata  come è sulle emozioni del presente e da un personaggio che parla al lettore senza intermediari né di spazio, né di tempo.  La differenza è quindi tra un diario di memorie e un vissuto di emozioni. Ma se vogliamo andare ancora più a fondo nella vicenda possiamo anche capire le due diverse forme stilistiche partendo proprio dall’editore.

La Fandango, oltre che essere casa editrice, è anche la casa di produzione con la quale ha sempre collaborato Gabriele Muccino, a partire dal suo esordio Ecco Fatto del 1998, passando per Come te nessuno mai, dell’anno successivo e nel quale il regista ha diretto proprio il fratello minore Silvio, fino al “ritorno in Italia” dopo la parentesi americana con Baciami ancora (2010), che è il seguito del più noto L’ultimo bacio. La Fandango è quindi la casa di produzione che ha sempre portato avanti una linea stilistica precisa, un percorso di film che racchiude l’essenza stessa del cinema italiano d’autore. Quando però Silvio Muccino ha voluto rompere gli schemi, è andato altrove. Ha trovato una produzione, Cattleya, che gli potesse dare il giusto margine di autonomia proprio per distaccarsi da quello stile, che probabilmente non avrebbe potuto sostenere un film che ha per protagonista un ragazzo vissuto in una comunità che si innamora di una donna con molti anni più di lui, capace però di donargli quella serenità innocente che le coetanee sembrano negargli.

Ma ritornando al nostro primo interrogativo,  se “La Collina” è quasi uno spin off di “Parlami d’amore”, dobbiamo constatare che le differenze che abbiamo messo in evidenza ci parlano di due storie diverse, concepite e “vissute” con sensibilità diverse e trasposte con stili diversi tanto da farne storie distanti che non potranno mai comunicare tra loro. E a chi poi punterà il dito verso una o l’altra storia potremmo rispondere con una frase che si trova in Parlami d’Amore:

La debolezza del carnefice è quella di non poter fare a meno della sua vittima.

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Addio alla “povera ma bella” Lorella De Luca

lorella-de-luca-tuttacronacaEra nata a Firenze il 17 settembre 1940 Lorella De Luca, famosa presso il grande pubblico grazie alla sua interpretazione di Marisa in Poveri ma belli. L’attrice 73enne è morta oggi. Il suo esordio risale al 1955, ne Il bidone di Fellini. L’anno successivo fu Dino Risi, che le assegnò il ruolo di Marisa, a portarla al successo mentre nel 1957 fu la volta di Padri e figli di Mario Monicelli. In tre anni girò 23 pellicole, da Domenica è sempre domenica di Camillo Mastrocinque a Primo amore di Mario Camerini, a L’ultima violenza di Raffaello Matarazzo. E Dino Risi, dopo il successo di Poveri ma belli, la volle in Belle ma povere (1957) e in Poveri milionari (1959). Lorella De Luca si concesse anche una parentesi televisiva, nel 1958, quando fece la valletta nel Musichiere di Mario Riva. All’inizio degli anni 60 iniziò a lavorare meno. Era il 1965 quando incontrò il regista Duccio Tessari, con il quale poi si sposò. Sempre in quegli anni apparve sul grande schermo con lo pseudonimo di Hally Hammond. L’occasione furono alcune pellicole dirette dal marito, come Una pistola per Ringo e Il ritorno di Ringo. Allontanatasi nuovamente dal mondo del cinema, ritornò dopo un’assenza di 25 anni. Il suo ultimo film fu l’opera seconda di Vito Zigarrio, Bonus Malus, con Claudio Bisio, Leonardo Pieraccioni, Massimo Ceccherini, nel 1993. Una grave malattia la colpì l’anno successivo, lo stesso in cui morì il marito.

“Il capitale umano” e i soldi di Mps: Virzì al centro delle polemiche

paolo-virzi-tuttacronacaIl 9 gennaio esce sugli schermi “Il capitale umano”, l’ultimo film di Virzì. Repubblica spiega che nella pellicola

Fabrizio Bentivoglio è un immobiliarista fallito che si indebita per poter entrare in un fondo di investimento che promette folli guadagni, Fabrizio Gifuni è il potente finanziere che gestisce quei fondi. Finalmente il cinema parla di ricchi, di quei ricchissimi diventati tali senza produrre lavoro, merci, ricchezza per il paese, di quella nuova, forma di criminalità finanziaria che come è capitato nel 2008, può arrivare a distruggere l’economia di intere nazioni. O semplicemente mandare sul lastrico gli investitori.

In un’intervista al quotidiano, lo stesso regista, livornese, spiega perchè ha scelto di realizzarlo in Brianza:

L’ho scelta perché è vicina a Milano, dove c’è la Borsa, dove ogni giorno si creano e distruggono patrimoni: poi perché cercavo un’atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso. Mi interessavano due scenari, quello dell’hinterland con i grumi di villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali, e quello dei grandi spazi attorno a ville sontuose dai cancelli invalicabili. Ho girato nella campagna di Osnago, nel centro storico di Varese, di Como, città ricchissima che esprime il degrado della cultura con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina. E che ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro. La bella villa con piscina e i sontuosi interni, dove vive la famiglia opulenta di Gifuni, l’ho presa in affitto ad Arese, e l’ho pagata profumatamente: ci ho aggiunto solo il tennis.

E la polemica si è innestata in un attimo, con Maurizio Belpietro che, in un editoriale su Libero sottolinea “Soldi pubblici al film che insulta chi lavora”. “Il regista Virzì, con la grancassa di Repubblica, attacca la Brianza gelida, ostile e minacciosa. Ma da lì viene gran parte del cospicuo finanziamento che ha avuto”.

 

Che ai nostri intellettuali o aspiranti tali facciano schifo i ricchi non è una novità. Giornalisti, scrittori e attori in cerca di ruolo sono uniti da un insano ribrezzo e da un manifesto complesso di superiorità per chi ha fatto fortuna. Un disprezzo che non hanno nei confronti dei ricchissimi: quelli no, quelli sono adorabili, soprattutto se si chiamano Agnelli o De Benedetti. I ricchissimi, se progressisti, un po’ verdi e attenti a invitare bene nelle loro ville o sui loro yacht o semplicemente a casa loro per sentire cos’ha da dire l’intellettuale di sinistra, i ricchissimi – dicevamo – sono glamour. No, a essere detestati, insultati, sbeffeggiati e derisi sono i ricchi, quelli che hanno da poco messo fuori la testa dalla “mediocrità”del cetomedio, quelli che inseguono il sogno di avere una villa con un bel parco, la piscina riscaldata, il Suv parcheggiato, la moglie carina. Quanto sono cafoni questi ricchi. Quanto è volgare la loro voglia di emergere e di avere successo. E quanto sono pieni di luoghi comuni i nostri presunti intellettuali. Sono talmente gonfi di conformismo e di indignazione che se non trattengono il fiato rischiano di scoppiare. Ne sono prova gli articoli usciti in questi giorni sull’ultimo film di Paolo Virzì.

E spiega che tali articoli non sono altro che

Marchette pubblicitarie che l’intellettuale di complemento non nega mai al regista del momento. I migliori esempi di queste recensioni-adulazioni si sono potuti leggere sulle pagine di Repubblica, a firma di Natalia Aspesi e Concita De Gregorio, due indignate speciali che non perdono occasione per recitare la parte della cronista snob dal naso perennemente arricciato. Comincia la prima, che anche per età dà prova di una certa esperienza. Il film di Virzì è un libero adattamento dell’opera di uno scrittore americano e la cronista chiede al regista perché ambientare la storia in Brianza, forse – suggerisce – perché la pensa più “americana”, più rapace, più spietata? Risposta dell’artista: «Cercavo un’atmosfera che mi mettesse in allarme, un paesaggio che mi sembrasse gelido, ostile e minaccioso». Capito? Noi pensavamo che la Brianza fosse un distretto da prendere a esempio per l’impegno, la voglia di fare, la capacità di creare mobili e oggetti noti in tutto il mondo. E invece ci sbagliavamo perché la Brianza è gretta, non ha il «senso di responsabilità verso il loro Paese che gli americani hanno ereditato dai loro padri fondatori». La nostra borghesia, spiega Virzì intervistato da una giornalista che tra una sfilata di moda e l’altra denuncia l’ingordigia di denaro e potere, ha «pochissimo senso civico«, è «molto egoista e carente verso il bisogno degli altri». Colpa, ovviamente, di Berlusconi, che avendo ville in Brianza, non può che essere il responsabile numero uno della volgarità e dello spreco, oltre che dell’alta densità di truffatori. Non è da meno Concita, che il giorno dopo l’intervista a tutta pagina, rispiega a tutta pagina il viaggio del regista nella terra dei ricchi. La maestrina dalla penna rossa che un tempo dirigeva l’Unità racconta che Virzì ha messo «in valigia i suoi attrezzi di sarto di storie» insieme con «le stoffe pesanti per il freddo che c’è dentro casa e anche fuori, su al Nord, le sete per le sere di festa, le lamette per la disperazione, l’alcol per non pensarci». Perché su al Nord ci sono i ghiacciai dei sentimenti e ogni casa è una Siberia di angosce da cui la gente fugge con la bottiglia in mano o tagliandosi le vene. La miseria morale, il degrado di un Paese, l’imbarbarimento di una comunità sono tutti concentrati lì, in Brianza, tra «villette pretenziose dove si celano illusioni e delusioni sociali e quello dei grandi spazi attorno a ville sontuose da cancelli invalicabili». I capannoni industriali, i grandi centri commerciali, le luccicanti vetrine dei negozi sono tutta una finzione dietro cui si nasconde una borghesia avida e corrotta.

Il fatto è che il regista mette l’accento, puntando il dito, contro quello che vuole demonizzare scordandosi cosa c’è dietro il suo stesso film:

Peccato che da quella Brianza tanto disprezzata e criticata vengano gran parte delle tasse con cui lo Stato finanzia film come quelli di Virzì, al quale sono andati 700mila euro. Già, perché intellettuali, artisti e registi quando devono comporre un’opera battono cassa e si rivolgono al ministero e il ministero apre il portafogli finanziando generosamente anche i film che nessuno vuole vedere. Anzi, per incentivare la visione della pellicola la mano pubblica addirittura è prodiga di sgravi fiscali verso le sale cinematografiche che tengono più a lungo in cartellone lo spettacolo. Gli spettatori sono pochi? Non importa: un’opera di alto valore artistico va sostenuta anche se il popolo è ignorante, anche se il popolo si annoia a vedere la «boiata pazzesca». Un tempo gli intellettuali discutevano della banalità del male. Purtroppo adesso ci sarebbe da discutere della banalità dell’intellettuale.

 

Ma non è solo Belpietro a scagliarsi contro Virzì. Anche lo scrittore comasco Andrea vitali, intervistato, è intervenuto sull’argomento dicendo:

 

«Mi ha colpito quel che ha scritto la De Gregorio a proposito della partenza di Virzì che si prepara al freddo di queste parti…». Scrive che Virzì «ha messo in valigia (…) le stoffe pesanti per il freddo che c’è dentro casa e anche fuori, su al Nord, le sete per le sere di festa, le lamette per la disperazione, l’alcol per non pensarci, uno zainetto e una tuta per scappare, caso mai».

 

«Sembra che stia andando in Siberia. Dice che siamo freddi, ma ricordo che qui è ambientata la grande storia d’amore di Renzo e Lucia. Qui ai funerali si piange poco, è vero, ma il dolore lo proviamo anche noi. Abbiamo il nostro pudore, diciamo “ti amo”al – lenostre donne,ma inprivato. Enessuno deve pretendere di snaturarci. Quanto all’alcol e allo zaino per partire… Mi sembrano cose un po’ fan – tozziane, non mi pare che in Brianza ci siano tutti questi pericoli. In quello che dicono Virzì e la De Gregorio c’è un sottofondo di meraviglia che mi ha stupito. Parlano di villette e di muri che le circondano. Ma da dove vengono questi? Hanno presente Roma?».

 

Sembra una rappresentazione un po’ stereotipata del Nord.

 

«Queste menti illuminate predicano da annil’integrazione fra Norde Sud. Spesso noi del Nord riportiamo dei pregiudizi sul Sud. Per questo io ho sempre ripetuto che amo il Sud, la sua cultura e gli scrittori che ha prodotto. Ma questi signori non fanno altro che alimentare lo stereotipo. Io da queste parti non vedo avvoltoi che vivono della morte altrui».

 

La De Gregorio descrive la terra di quelli che «hanno scommesso sulla rovina del nostro Paese, e hanno vinto». Quelli che «calcolano con un algoritmo quanto costa la tua morte».

 

«In Brianza impera la religionedel lavoro, a scapito del divertimento e talvolta degli affetti. Ma grazie a Dio che esiste. Attorno a me non ho mai visto gente che fa calcoli sulla morte altrui. Il brianzolo non è così. Piuttosto è uno che si ammazza di lavoro, ma non se ne approfitta. È geloso della sua ricchezza, ma non invidioso di quella altrui. Semmai ci sono imprenditori che si impiccano perché non possono più vivere la loro vita di lavoro e non possono più farla vivere ai loro dipendenti. E poi una visione isterica della Brianza l’ha già prodotta, e molto meglio, Antonio Albanese con il suo Perego».

 

La sensazione è che sul film di Virzì e sulle recensioni lette finora aleggi un antico pregiudizio antiborghese…

 

«Da che pulpito! Evviva la borghesia che lavora, risparmia ed è generosa con gli altri, magari senza farsi troppa pubblicità. Se lo mettano in saccoccia, il loro pregiudizio antiborghese. Non abbiamo bisogno di sermoni di questo tipo. A me sembra abbiano visto solo quel che volevano vedere. Quando vorranno fare un salto al Teatro Sociale di Como, li accompagno io».

Ma se Virzì è bravo ad attaccare, scatenando così una polemica utile anche per pubblicizzare il suo nuovo film, c’è chi non si è soffermato alle sue dichiarazioni ed è andato a scovare la notizia che “non ci sono solo i contributi del ministero ad aver messo le ali cinema di Paolo Virzì”. Come scirve Franco Bechis:

 Nei bilanci della società di produzione che Virzì controlla insieme al fratello Carlo (sceneggiatore e autore di colonne sonore) oltre a qualche contributo della Regione Toscana per opere minori, emerge una bella mano arrivata anche dalla banca rossa per eccellenza, il Monte dei Paschi di Siena. arrivata durante il 2011, nel bel mezzo della bufera finanziaria che avrebbe poi travolto i vertici dell’istituto senese. Alla società dei Virzì – la romana Motorino Amaranto – Mps Capital services ha erogato 1,5 milioni di euro utilizzando le pieghe della legge finanziaria 2008 sul tax credit.

“Allacciate le cinture”: Ferzan Ozpetek presenta i suoi protagoni

allacciate-le-cinture-tuttacronacaE’ il regista Ferzan Ozpetek a condividere, su Twitter, il primo scatto del suo nuovo film, la cui uscita è prevista nel febbraio 2014. “Ecco la prima foto ufficiale del film. Allacciate le Cinture!” ha spiegato ai suoi follower, presentando così la nuova opera, girata in Puglia tra Lecce e l’Oasi di Torre Guaceto e che vede come protagonisti Kasia Smutniak e Francesco Arca. Tra gli altri interpreti, Carolina Crescentini, Elena Sofia Ricci, Luisa Ranieri, Paola Minaccioni, Carla Signoris, Giulia Michelini, Francesco Scianna e Filippo Scicchitano.

L’Oscar si tingerà d’azzurro? I 7 film autocandidatisi per la statuetta

oscar-italia-tuttacronacaEra il 1998 quando Roberto Benigni, balzando da una poltrona all’altra, percorse la distanza che separava il suo posto in sala dal palco e, soprattutto, da quella statuetta che è il sogno di tutti gli addetti di cinema. Era il 1998 e Sofia Loren pronunciò quelle magiche parole: “And the Oscar goes to… ROBERTO!”

Nel 2006, La bestia nel cuore, interpretato da Giovanna Mezzogiorno e diretto da Cristina Comencini, venne nominato come miglior film straniero.

Da allora, più nulla.

Quest’anno ci riprovano, in sette. Sono i titoli tricolore che hanno presentato la loro autocandidatura per la statuetta per il miglior film in lingua non inglese. Lo ha reso noto ieri l’Anica. Sarà la Commissione di Selezione, il 25 settembre, a ufficializzare il film che sarà poi chiamato a rappresentare il nostro Paese ai prossimi Premi Oscar. Bisognerà però attendere il 16 gennaio 2014, giorno dell’annuncio delle cinquine, per sapere se la scelta sarà stata vincente e il/la regista prescelto/a potrà volare a Los Angeles per assistere alla cerimonia di consegna il 2 marzo. I film che guardano a questa meta sono: La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino, Miele di Valeria Golino, Viva la Libertà di Roberto Andò, Viaggio Sola di Maria Sole Tognazzi, Razza Bastarda di Alessandro Gassman, Salvo di Antonio Piazza e Fabio Grassadonia. A sorpresa arriva anche il thriller con venature drammatiche Midway tra la vita e la morte di John Real, nome d’arte del 24enne che ha girato la sua opera, 29 copie in tutta Italia, con meno di 100mila euro.

“Il cinema italiano è morto, se non viene rinnovano il tax credit è sepolto”

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La cultura in Italia sta morendo e questo è sotto gli occhi di tutti i cittadini. L’ultimo colpo che ancora oggi lascia interdetti e stupiti è stata l’approvazione di una legge sul lavoro che favorisce i ragazzi non diplomati… Che ruolo ha oggi la cultura in Italia? Tra musei che si chiudonoPompei che agonizza e spettacoli che vengono annullati sembra proprio che non ci sia speranza per l’arte, la musica, la letteratura, teatro e il cinema.  Oggi l’allarme viene anche da uno degli artisti più conosciuti in Italia, che da sempre si batte per il cinema e che oggi, senza mezze parole, parla di una crisi profonda di settore e di ripercussioni pesanti, nei prossimi mesi, sull’industria cinematografica. Lui è Giancarlo Giannini che in un’intervista-appello all’Huffington Post cerca di attirare l’attenzione delle istituzioni sulla catastrofe che sta colpendo la settima arte.

“Non so perché, ma nel nostro paese non si capisce che la cultura può essere un motore importante nello sviluppo economico e un elemento fondamentale per le nuove generazioni. Se non rinnovano il tax credit il cinema italiano, che è già morto, viene definitivamente sepolto”, con queste parole Giancarlo Giannini ha cercato di sollevare l’opinione pubblica su un problema che non trova il giusto spazio sulla stampa sempre più impegnata a raccontare le problematiche di un governo di larghe intese che sembra ormai essere alle strette e i “mal di pancia” del partito democratico che ha perso la sua identità e il rapporto con gli elettori a causa delle continue lotte intestine.

Cosa è la tax credit?

E’ un credito d’imposta che prevede la possibilità di compensare debiti fiscali (Ires, Irap, Irpef, Iva, contributi previdenziali e assicurativi) con il credito maturato a seguito di un investimento nel settore cinematografico. I destinatari di questa agevolazione sono le imprese di produzione e distribuzione cinematografica, gli esercenti cinematografici, le imprese di produzione esecutiva e post-produzione (industrie tecniche), nonché le imprese non appartenenti al settore cineaudiovisivo associate in partecipazione agli utili di un film dal produttore di quest’ultimo. Per usufruirne però i produttori devono chiedere alla direzione generale per il Cinema il riconoscimento dell’eleggibilità culturale dei film prodotti. Inoltre il credito d’imposta è pari al 15% del costo complessivo di produzione, ma solo fino a un ammontare massimo pari a 3.500.000 euro per periodo d’imposta.

Ecco parte dell’intervista rilasciata da Giannini all’Huffington.

Nei giorni scorsi i giornali hanno riportato una riunione di fuoco al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove lei insegna recitazione, a causa degli ulteriori tagli previsti all’interno del Fus. A cosa va incontro il cinema italiano?

Questi nuovi tagli annunciati vanno sommati ai tanti già realizzati e ovviamente chiunque lavori in questo settore sa che ci troviamo in una situazione drammatica. Come ho già detto, l’unica buona notizia in questi anni è stata l’introduzione del tax credit, che prevede il riconoscimento di un credito d’imposta pari al 40% dell’investimento a favore di chi investe in opere cinematografiche…peccato che sia stata poco pubblicizzata. I costi per realizzare un film crescono e contemporaneamente i soldi si dimezzano, non si può pensare di avere prodotti di qualità senza risorse. Se decidono di tagliare ancora è un macello.

Anche il teatro in Italia non gode di buona salute, c’è il rischio che l’intero sistema culturale del paese crolli? Cosa dovrebbe fare la classe dirigente?

Le persone ai vertici cambiano continuamente, ma tutti operano tagli alla cultura, come se fosse spazzatura. Il risultato è che chiudono i teatri e i cinema diventano supermercati, ma è una storia che va avanti da anni…non è una novità. Non bisogna chiedersi se “qualcuno può fare qualcosa”, perché la verità è che “nessuno ha mai fatto qualcosa”. Il fatto è che i tagli vengono fatti ad occhi chiusi: in passato avevano pensato anche di chiudere il Centro Sperimentale, io mi chiedo come si possa pensare una cosa del genere…bisogna proprio essere dei trogloditi. E’ la scuola più antica del mondo di cinema, è un luogo prestigioso e pieno di storia, davanti alle nostre proteste hanno detto “ci siamo sbagliati”…ma come ci si può sbagliare su una cosa del genere?

Quindi il primo passo è trovare un valido interlocutore?

Certo, a volte mi domando con chi si possa parlare, chi veramente abbia voglia di fare qualcosa per la cultura, quello che vedo sono solo indifferenza e ignoranza. Se ne fregano delle nostre opinioni, delle grida disperate di chi fa questo mestiere, anche se hai fatto cinema in tutto il mondo ti chiamano solo quando gli servi per una bella fotografia…poi quando fai le cose e sei in difficoltà nessuno ti aiuta, anzi spesso vieni trattato male. Spesso mi domando: ma chi crede nella sperimentazione in Italia? La risposta è nessuno. Credere nella sperimentazione significa credere nel futuro, nell’intuizione, nella capacità creativa delle persone. Se non inventi delle cose e non le brevetti, come fai a competere con gli stranieri? Ci troviamo in una situazione caotica e confusa che nessuno riesce a gestire, non c’è una visione del futuro, ma si vive secondo il vecchio detto “pochi, maledetti e subito”.

Senza soldi i film non si possono fare, ma forse al cinema italiano di oggi manca anche qualcos’altro…

Manca tutto: le idee, il coraggio, c’è meno fantasia e ci sono pochi veri talenti in giro, ma questo riguarda tutto il mondo…gli americani non fanno altro che remake. Non sono i soldi che fanno i buoni film, ma le idee, però non si può nemmeno pensare di accontentarsi di quei pochi prodotti a basso budget che rappresentano l’eccezione che conferma la regola. In passato fare cinema era una cosa molto rigorosa, ma se oggi la gente non va a vedere i film forse è anche perché i film sono brutti, senza considerare che se sei nelle sale con 800 copie è una cosa, con 40 è un’altra. Come si può pretendere che un film faccia i soldi con sole 40 copie in giro?

Il cinema italiano dei tempi d’oro aveva maestranze eccellenti, cosa ne sarà di Cinecittà?

Quel mondo si è perso, non credo che nessuno giri più a Cinecittà, so che fanno delle cose televisive.

Oggi in proporzione si investe di più nelle fiction che nel cinema, ma non sempre i prodotti sono all’altezza delle aspettative. Lei crede che ci sia una specie di abbassamento culturale dell’audiovisivo in Italia?

Si, direi proprio di si, in America fanno dei prodotti televisivi molto belli, sono dei geni in questo campo, noi abbiamo ancora molto da imparare. Però dei segnali positivi ci sono, ad esempio la serie con Castellitto (In Treatment, n.d.r.) andata in onda su Sky era interessante. Comunque tutto finirà lì, in Tv, perché il cinema non esisterà più, quindi speriamo che almeno sul piccolo schermo si preservi la qualità.

L’ultimo saluto a Vincenzo Cerami: oggi i funerali a Roma

Vincenzo-Cerami-funerali-tuttacronacaSi sono svolti alla Chiesa degli Artisti i funerali di Vincenzo Cerami, lo scrittore e sceneggiatore che ci ha detto addio mercoledì dopo una lunga malattia. Alla cerimonia, sobria e intensa, hanno preso parte, tra gli altri, Roberto Benigni con Nicoletta Braschi, Ettore Scola, Nicola Piovani, Marco Bellocchio, Raffaele La Capria, il sindaco di Roma Ignazio Marino, Walter Veltroni, Antonio Albanese, Laura Morante, il ministro dei Beni culturali Massimo Bray.


Durante la funzione Mariano Rigillo ha letto un brano dal Vangelo, Silvia Siravo ha recitato la preghiera degli artisti, mentre Norma Martelli, moglie di Piovani e interprete di molti spettacoli di Cerami, ha letto alla fine alcuni suoi versi concludendo: “Grazie poeta da tutti gli attori per tutte le parole con le quali ci hai fatto giocare”. Erano circa 200 le persone che, all’esterno, hanno riservato un ultimo applauso all’autore che tanto da dato alla nostra arte. Il feretro è tumulato al cimitero Flaminio.

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Il mondo del cinema e della cultura piange: è morto Vincenzo Cerami

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Lutto nel mondo del cinema italiano: è morto lo scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano Vincenzo Cerami. Era stato candidato all’Oscar nel 1999 per “La Vita è bella” con Roberto Benigni. Cerami era malato da tempo. Nato a Roma il 2 novembre 1940, figlio di genitori siciliani, alla scuola media era stato allievo di Pier Paolo Pasolini, un incontro che ha sempre ritenuto determinante per le sue scelte successive. Nel 1976 ha fatto il suo debutto nel mondo letterario con il romanzo Un borghese piccolo piccolo,satira delle frustrazioni piccolo-borghesi da cui verrà tratta anche una fortunata trasposizione cinematografica. In seguito, tra le altre opere, ha scritto Addio Lenin (1981), il romanzo fantastico La lepre (1988) e il racconto musicale realizzato con Nicola Piovani Il signor Novecento (1994). Nel 1996 pubblica Consigli a un giovane scrittore (1996), divertita escursione nel mondo della scrittura mentre in Fattacci (1997)racconta e analizza quattro delitti saliti alla ribalta della cronaca italiana. Cerami ha scritto anche racconti, raccolti in La sindrome di Tourette. La sua ultima opera è stata Vite bugiarde, uscita nel 2007

Ma Cerami non si è dedicato solo alla letteratura: ha scritto per il cinema, collaborando con registi quali Bellocchio, Amelio e Benigni. Come commediografo lo ricordiamo quale autore di L’amore delle tre melarance; L’enclave des Papes, 1984; Sua maestà, 1986 e Ring, 2000. In gioventù Cerami si era dedicato anche all’attività sportiva in qualità di rugbista, salvo poi interrompere la carriera nel Frascati a causa di un incidente di gioco. Fino al 2009 ha inoltre ricoperto l’incarico di Ministro dei Beni Culturali del governo ombra del PD al Governo Berlusconi IV. Nello stesso anno, nel mese di giugno, ha ricevuto l’incarico di assessore alla cultura al Comune di Spoleto. La posizione era condizionata  all’elezione a sindaco di Daniele Benedetti, elezione poi effettivamente avvenuta. La sua decennale esperienza, che ha prodotto pagine e sceneggiature che s’imprimono nella storia culturale del nostro Paese, l’ha poi condivisa con gli studenti della scuola di cinema di Cinecittà ACT MULTIMEDIA, dove ha lavorato come docente.

Napolitano e il discorso per i David di Donatello

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“Ritengo che abbiamo le carte in regola per guardare al futuro del cinema italiano con ottimismo e senza lamentazioni”, così il Presidente della Repubblica si è espresso nel suo discorso per i premi David per il cinema al Quirinale e poi ha aggiunto che  “sappiamo che le competenze del ministro Bray non sono le stesse di chi ha i cordoni della borsa” e quando ci sono poche risorse “scegliere è difficile”. Lo ha detto Napolitano auspicando, per il rilancio del settore, un’azione congiunta del ministro della Cultura Massimo Bray e di quello dell’Economia Fabrizio Saccomanni.

Ci è stata anche la standing ovation a Bertolucci, quando, nella sala dei Corazzieri in cui si è svolto l’evento, è risuonata la sua candidatura al Donatello per la miglior sceneggiatura con il suo ultimo film ‘Io e te’, insieme a Umberto Contarello e Francesca Marciano.

All’evento ha partecipato anche il ministro Bray che ha tenuto a sottolineare: “Dobbiamo individuare tutte le risorse possibili per il fondo dello spettacolo. Credere nel cinema italiano è credere nella sua peculiarità e nella peculiarità della nostra cultura. Il cinema italiano ha sempre saputo reagire nei momenti difficili. E comunque va difeso anche il binomio cultura e turismo che e’ un’enorme opportunità per il nostro paese”.

Ora si attendono i fatti…

David di Donatello: è testa a testa tra Tornatore e Vicari

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Diaz e La migliore offerta, rispettivamente di Daniele Vicari e Giuseppe Tornatore, sono queste le pellicole che hanno ottenuto il maggior numero di candidature ai prossimi premi David di Donatello, in programma per il 14 giugno. Entrambi concorreranno per 13 statuette. Altri contendenti al premio sono poi Viva la libertà di Roberto Andò con 12 nomination, Educazione Siberiana di Gabriele Salvatores e Reality di Matteo Garrone, entrambi a quota 11, mentre se n’è guadagnate solo 6 Io e te di Bernardo Bertolucci e si è fermato a quota 5 Viaggio da sola di Maria Sole Tognazzi. Solo due nomination invece per La bella addormentata di Marco Bellocchio che schiera Gaetano Carito come miglior fonico di presa diretta e Maya Sansa come miglior attrice non protagonista. Per la statuetta da protagonista corrono invece Valeria Bruni Tedeschi (Viva la libertà), Margherita Buy (Viaggio da sola), Federica Victoria Caiozzo aka Thony (Tutti i santi giorni), Tea Falco (Io e te) e Jasmine Trinca (Un giorno devi andare). Tra i migliori attori protagonisti sono stati invece nominati Aniello Arena (Reality), Sergio Castellitto (Una famiglia perfetta), Roberto Herlitzka (Il rosso e il blù), Luca Marinelli (Tutti i santi giorni), Valerio Mastandrea (Gli equilibristi) e Toni Servillo (Viva la libertà).

Uno sguardo… i crauti!

La ricetta puoi trovarla QUI!

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Monica Vitti sul set di… L’Eclissi di Michelangelo Antonioni –

Monica Vitti sul set di… La Notte di Michelangelo Antonioni

Monica Vitti sul set di… L’avventura di Michelangelo Antonioni

Gente di Roma… Monica Vitti!

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Uno sguardo all’Eur… il palazzo dei Congressi

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Uno sguardo all’Eur… il palazzo dell’INA

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Uno sguardo all’… EUR, Roma!

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Uno sguardo alla… crostata di albicocche

La ricetta puoi trovarla QUI!

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Regola sulla scena di… Borotalco di Carlo Verdone

Regola sulla scena di… Bianco, Rosso e Verdone di C. Verdone

La scena del seggio elettorale fu girato nello stesso palazzo dove visse la famiglia del regista, dagli anni Quaranta alla morte di suo padre Mario Verdone.

Regola sulla scena di… Stasera a casa d’Alice di Carlo Verdone

La location esterna del palazzo dove abitano i due cognati Saverio e Filippo con le rispettive mogli è in Via Giulia 167. Gli interni e le scene sul terrazzo invece, furono girati a Via di Montoro.

Gente del quartiere Regola… Carlo Verdone!

 

Uno sguardo al quartiere Regola… Via Giulia!

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Uno sguardo al quartiere Regola… Lungotevere!

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Uno sguardo al… quartiere REGOLA, Roma!

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Uno sguardo a… Borscht, ovvero Profondo Rosso

La ricetta puoi trovarla QUI!

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Il Coppedè sulla scena di… Inferno di Dario Argento

Il Coppedè sulla scena di… il gatto a nove code di Dario Argento

Il Coppedè sulla scena di… l’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento

Gente del Coppedè… Dario Argento!

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Uno sguardo al Coppedè… la casa delle fate!

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Uno sguardo al Coppedè… la casa del ragno!

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Uno sguardo al… COPPEDE’, Roma!

La fontana delle rane!

la fontana delle rane

Uno sguardo a… la pasta e ceci.

La ricetta puoi trovarla QUI!pasta e ceci - marcello mastroianni - tuttacronaca

Mastroianni sulla scena di… l’ingorgo.

Mastroianni sulla scena di… una giornata particolare.

Mastroianni sulla scena di… i soliti ignoti!

Mastroianni a Montesacro per girare i soliti ignoti!

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Uno sguardo a Montesacro… il circo acquatico

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Le origini risalgono al 1800, in quell’epoca nel quartiere Montesacro di Roma ove viveva Emilio Bellucci, il fondatore della stirpe, allora impegnato a condurre una nota farmacia. I tre figli, studenti in medicina lo aiutavano in questa professione, ma presto uno di essi, Armando, si innamorò perdutamente di Maria Lelli, cavallerizza in un piccolo circo che in quel periodo stava lavorando a Roma.

Da questa relazione, fortemente ostacolata dai genitori di lui, ebbe origine il lungo e felice connubio della famiglia Bellucci con il magico mondo del circo.

Il giovane abbandonati gli studi e le farmacia, creò, nel giro di pochi mesi, il circo “Arbell” grazie ai risparmi accumulati con fatica e sacrificio.

Dopo i primi difficili momenti, giunse il meritato successo a coronare l’ammirevole forza di volontà e la passione verso il mestiere dei due giovani. Uno dei figli di Armando, Emilio, sposò poi, Italia Riva appartenente ad un’altra famiglia circense. Dalla loro unione nacquero Armando, Gemma, Roberto, Gilda, Renato, Loredana e Mario, che insieme formarono il circo EMBELL RIVA.

Nel corso degli anni alcuni dei fratelli Bellucci decisero di intraprendere nuove esperienze ed il 4 agosto 2002 Loredana con il marito Mario Medini (figlio di Renato Medini e di Hella, una delle celebri Sorelle Medrano) debuttarono a Vibo Marina con l’attuale complesso ACQUATICO BELLUCCI che oltre a farsi apprezzare nel nostro Paese, ha effettuato tournée in Portogallo, Spagna, Croazia, Slovenia e Romania.

Oggi ad affiancare Mario Medini e Loredana Bellucci nella gestione dell’Acquatico Bellucci ci sono le figlie Sandy e Jennifer, ottime artiste diplomatesi all’Accademia del Circo di Verona, consigliate da Andrea Bertinelli per quanto riguarda le pubbliche relazioni e la programmazione delle tournée. Un team molto affiatato che prosegue una tradizione ormai centenaria.

Uno sguardo a Montesacro… Chiesa dei Ss. Angeli Custodi

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Uno sguardo a… MONTESACRO, Roma!

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Uno sguardo a Via Veneto… La gricia di Mastroianni ed Ekberg!

La ricetta degli Spaghetti alla Gricia la trovi QUI!!!

Anita Ekberg sulla scena di… Boccaccio ’70 di Federico Fellini

boccaccio '70

Anita Ekberg sulla scena di… Hollywood or Bust! di Frank Tashlin

hollywood or bust

Anita Ekberg sulla scena di… Guerra e Pace di King Vidor

war and peace

Gente di Via Veneto… Anita Ekberg

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Uno sgurdo a Via Veneto… la vita!

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Uno sguardo a Via Veneto… la strada!

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Uno sguardo a… VIA VENETO, Roma!

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