Falcidiate le partite Iva! Dove è l’uscita dal tunnel?

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Dove siamo diretti? Secondo Saccomanni fuori dal tunnel anche se i dati parlano davvero di una realtà diversa. Le partite Iva dal 2008 al giugno 2013, secondo la Cgil, sono crollate di circa 400mila unità. Si sono persi quindi 400mila lavoratori indipendenti. «A differenza dei lavoratori dipendenti – rileva il segretario Cgia Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività non dispone di nessuna misura di sostegno al reddito. Tranne i collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione, di nessuna forma di cassa integrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano soli con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare».

«In proporzione – prosegue Bortolussi – la crisi ha colpito in maniera più evidente il mondo delle partite Iva rispetto a quello del lavoro dipendente. Se in termini assoluti la platea dei subordinati ha perso ben 583.000 lavoratori, la variazione percentuale, invece, è diminuita solo del 3,3 per cento, mentre l’incidenza percentuale della perdita dei posti di lavoro sul totale della categoria si è fermata al 3,5 per cento. Tassi, questi ultimi, che sono meno della metà di quelli registrati dai lavoratori indipendenti».

Chi penserà a questo nuovo tunnel italiano?

In un lustro è crollato il popolo delle partite Iva: dal 2008 al giugno del 2013, secondo la Cgia, hanno cessato l’attività 400 mila lavoratori indipendenti. In questi cinque anni e mezzo di crisi economica la contrazione è stata del 6,7%. Sempre nello stesso periodo di tempo, ogni 100 lavoratori autonomi, ben 7,2 hanno cessato l’attività. Al 30 giugno di quest’anno il cosiddetto popolo delle partite Iva ammontava a 5.559.000 lavoratori. «A differenza dei lavoratori dipendenti – rileva il segretario Cgia Giuseppe Bortolussi – quando un autonomo chiude l’attività non dispone di nessuna misura di sostegno al reddito. Tranne i collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum, le partite Iva non usufruiscono dell’indennità di disoccupazione, di nessuna forma di cassa integrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso si ritrovano solo con molti debiti da pagare e un futuro tutto da inventare». Una situazione di difficoltà, ricorda la Cgia, che, purtroppo, ha spinto in questi ultimi anni molti piccoli imprenditori a compiere dei gesti estremi dettati dalla disperazione. «In proporzione – prosegue Bortolussi – la crisi ha colpito in maniera più evidente il mondo delle partite Iva rispetto a quello del lavoro dipendente. Se in termini assoluti la platea dei subordinati ha perso ben 583.000 lavoratori, la variazione percentuale, invece, è diminuita solo del 3,3 per cento, mentre l’incidenza percentuale della perdita dei posti di lavoro sul totale della categoria si è fermata al 3,5 per cento. Tassi, questi ultimi, che sono meno della metà di quelli registrati dai lavoratori indipendenti».

La contrazione  in questi ultimi cinque anni e mezzo,è stata del 9,9%. Male anche l’andamento dei coadiuvanti familiari, ovvero i collaboratori familiari: la riduzione è stata di 78.000 unità (-19,4%). Anche i collaboratori occasionali o a progetto hanno subito un deciso ridimensionamento: la riduzione occupazionale è stata di 56.000 unità (-12%). Così pure per gli imprenditori, vale a dire i soggetti a capo di attività strutturate con dipendenti, sono diminuiti di 37.000 unità (-12,9%). Le uniche categorie che hanno registrato risultati positivi sono stati i soci delle cooperative (+ 2.000 unità, pari al +6,2%) e, soprattutto, i liberi professionisti. Il numero degli iscritti agli ordini e ai collegi professionali sono aumentati di 125.000 unità (+10,7%). «Verosimilmente – conclude Bortolussi – la tendenza positiva fatta segnare dai liberi professionisti potrebbe essere riconducibile sia all’aumento del numero di coloro che hanno deciso di mettersi in proprio non avendo nessun’altra alternativa per entrare nel mercato del lavoro, sia all’incremento delle cosiddette false partite Iva. In riferimento a quest’ultimo caso, ci si riferisce, ad esempio, a quei giovani che in questi ultimi anni hanno prestato la propria attività come veri e propri lavoratori subordinati, nonostante fossero a tutti gli effetti dei lavoratori autonomi. Una modalità, quest’ultima, molto praticata soprattutto nel Pubblico impiego». Infine, segnala la Cgia, a livello territoriale è stato il Nordovest ha registrare la caduta occupazione più forte tra gli autonomi (-7,9%), mentre il Centro è stata l’area geografica meno investita dalla crisi, nonostante la contrazione sia stata di tutto rispetto: – 4,1%. (fonte: Ansa)

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L’anno che verrà porterà 1 miliardo di tasse in più

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“A fronte di poco più di 6 miliardi di euro di nuove entrate tributarie a cui si aggiungono 65 milioni di entrate extra tributarie e altri 135 milioni di riduzione dei crediti di imposta, nel 2014 – rileva la Cgia – gli italiani saranno chiamati a versare allo stato complessivamente 6,227 miliardi di euro di nuove imposte. Per contro, ‘godranno’ di una riduzione delle tasse e dei contributi da versare all’erario per un importo pari a 5,119 miliardi di euro. Pertanto, la differenza tra i 6,227 miliardi di nuove imposte e i 5,119 miliardi di minori tasse dà come risultato 1,108 miliardi di euro”.

“A nostro avviso – sottolinea il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi – il risultato è sottostimato. Corriamo il pericolo che il saldo sia più pesante. Secondo i tecnici del governo, la trise, vale a dire il nuovo tributo sui servizi, dovrebbe farci risparmiare un miliardo di euro rispetto a quanto pagavamo di tares e di imu. Un vantaggio economico che, purtroppo, rischia di essere eroso dall’azione dei sindaci. I comuni, infatti, avranno un’ampia discrezionalità nell’applicazione della trise ed è molto probabile che ne inaspriranno il prelievo per lenire le difficoltà economiche in cui versano, con evidenti ripercussioni negative per i bilanci delle famiglie e delle imprese”.

La Stabilità uccide la classe media?

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L’allarme è stato lanciato dalla Cgia di Mestre che ha sottolineato i nuovi rischi della legge di Stabilità:

In attesa di poter analizzare il testo ufficiale della legge di Stabilità – osserva Giuseppe Bortolussi, segretario Cgia – ci siamo avvalsi delle indiscrezioni apparse in questi giorni sulla stampa specializzata. Se le note in circolazione saranno confermate, coloro che non possono godere delle detrazioni Irpef da lavoro dipendente, come i pensionati o i lavoratori dipendenti con un reddito superiore ai 55.000 euro, subiranno, rispetto al 2013, un aumento del prelievo fiscale. Infatti, – aggiunge – dovranno farsi carico sia dell’aggravio Iva sia della reintroduzione della nuova tassa sulle abitazioni principali che quest’anno non hanno pagato. Le famiglie con redditi attorno ai 20-22.000 euro, invece, godranno di un saldo positivo: la dimensione del taglio dell’Irpef, infatti, sarà maggiore dell’aumento dell’Iva e dell’importo da versare con la Tasi.

Visto che i Sindaci potranno applicare la Tasi con un’aliquota oscillante tra lo zero e il 2,5 per mille, abbiamo ipotizzato due opzioni: aliquota all’1 per mille e aliquota al 2,5 per mille. A nostro avviso, la prima ipotesi dovrebbe essere quella più plausibile. Si tratta ovviamente di simulazioni basate su ipotesi di tassazione che, per quanto riguarda le detrazioni Irpef e la Tasi, non sono ancora state definite ufficialmente: pertanto, questi risultati vanno valutati con prudenza. Nel caso di un pensionato single con un reddito annuo di 15.520 euro (pari ad un assegno pensionistico di 993 euro netti al mese) e con una casa di tipo economico (categoria A3) di 60 mq, con rendita catastale pari a 276 euro, non potendosi ‘giovare’ della detrazione Irpef, si ritroverà un aggravio medio annuo oscillante tra i 74 (ipotesi migliore) e i 144 euro (ipotesi peggiore).

Per il lavoratore dipendente single con un reddito annuo di 16.300 euro (pari a 1.040 euro al mese per 13 mensilità) proprietario di una casa di tipo economico (categoria A3) di 50 mq, con rendita catastale di 230 euro, nel 2014 si ritroverà con un maggior reddito disponibile che potrebbe variare tra i 98 (ipotesi più favorevole) e i 40 euro (ipotesi meno favorevole).

Per una famiglia ‘bireddito’ composta da due lavoratori dipendenti: un impiegato con reddito di 22.000 euro (pari a 1.424 euro al mese per 13 mensilità) e una commessa con reddito di 20.000 euro (pari a 1.145 euro per 14 mensilità) con 1 figlio a carico. Casa di proprietà di tipo economico (categoria A3) di 92 mq, con rendita catastale di 423 euro: in questo caso il vantaggio fiscale dovrebbe variare tra i 141 euro (ipotesi migliore) e i 35 euro (ipotesi peggiore).

Per una famiglia ‘monoreddito’ composta da un lavoratore dipendente, reddito annuo di 35.000 euro (pari a 2.100 euro al mese per 13 mensilità), con coniuge e un figlio a carico. Casa di tipo civile (categoria A2) di 120 mq, con rendita catastale di 552 euro: la perdita sarà di 70 euro, nell’ipotesi più favorevole, o di 209 euro, nell’ipotesi più sfavorevole.

Per una famiglia ‘monoreddito’ composta da un impiegato direttivo, reddito annuo di 56.000 euro (pari a circa 3.000 euro al mese per tredici mensilità), coniuge e due figlio a carico. Abitazione di tipo civile categoria A2 di 136 mq, con rendita catastale di 625 euro: le novità fiscali alleggeriranno la sua disponibilità di reddito tra i 200 e i 357 euro.

Non stiamo quindi parlando di ricchi, ma di quelle famiglie che pagano un mutuo, la mensa del figlio e che sono già in sofferenza economica a causa della crisi. La finanziaria quindi, se il testo non subirà modifiche, potrebbe far aumentare il numero di poveri, colpendo proprio quei lavoratori già in affanno e non dando i giusti mezzi per coloro che già  sono in una situazione di drammatica indigenza. Non sono i 14 euro al mese a poter risollevare le sorti di un paese in profonda crisi come mostrano i dati che continuano a dare segnali negativi.

Se il governo cade ci aumentano le tasse?

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Sembra incredibile eppure secondo la Cgia di Mestre ci potrebbero essere fino a 7 miliardi in più di tasse se il governo cade. E un cittaino cosa ci può fare? Nulla, stare in attesa che le forze politiche giochino la loro partita e decidano se la mannaia ancora una volta sia a carico degli italiani. Quindi se il governo sta in piedi avremmo probabilmente un’Imu da pagare (per molti, ma non per tutti), una Tares che si abbatterà sulle famiglie che dovranno sostenere costi esorbitanti per il servizio dei rifiuti e l’incognita Iva che forse sarà solo posticipata all’anno prossimo. E se cade? Tutto insieme a pesare sugli italiani ormai allo stremo… in ogni caso ci sarà da pagare al rientro dalle ferie. Secondo il segretario della Cgia Bortolussi:

“Nella malaugurata ipotesi che il premier Letta fosse costretto a rassegnare le dimissioni gli italiani subirebbero una vera e propria stangata soprattutto nell’ultimo quadrimestre di quest’anno”.

Secondo Monti poi “Una crisi di governo seppellirebbe tutti” e il leader di Scelta Civica aggiunge: “Non c’è nessun patto di governo che preveda l’abolizione completa della tassa sulla casa”, che difende l’esecutivo e attacca Silvio Berlusconi, di fatto isolandolo su questo versante: “È chiara l’indicazione di due priorità : del lavoro rispetto alla casa; e del favore alle famiglie meno abbienti, rispetto a quelle più abbienti. Su questo testo il governo e la maggioranza sono impegnati. Ogni altro elemento può aver fatto parte di promesse elettorali di questo o quel partito, ma non può impegnare il governo”.
Ma i cittadini cosa possono fare? Affogarsi al mare per non essere sommersi dalle tasse in autunno?

Si lavora per lo Stato che non paga e non conosce neppure i suoi debiti!

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Oggi arriva la prima tranche della P.A. alle imprese per un ammontare di circa 40 miliardi per il biennio 2012-2013 che sarà coperto dall’emissione di titoli di Stato, quindi il Paese contrarrà un nuovo debito.

Il vero problema è a quanto ammonta il debito?

Secondo la Cgia di Mestre, non sono conteggiati quelli spettanti alle piccole e medie imprese che porterebbero ad un importo complessivo tra i 120-130 miliardi di euro. La Cgia, dopo aver analizzato la Relazione della Banca d’ Italia presentata nei giorni scorsi alla Camera, ha scoperto che i 91 mld di euro che l’Istituto ha stimato in questo rapporto sono stati calcolati attraverso un’indagine campionaria condotta solo sulle imprese con più di 20 addetti, quindi sono rimaste fuori tute le piccole aziende che in Italia rappresentano il 98% delle imprese presenti sul territorio.

Oltre al mancato monitoraggio delle aziende con meno di 20 addetti, la Cgia sottolinea che nella indagine redatta dalla Banca d’Italia non sono incluse neppure le imprese operanti nei servizi sociali e sanitari che, come sottolinea la Relazione stessa, sono attività che intrattengono scambi commerciali intensi con le amministrazioni pubbliche. Inoltre, l’indagine è relativa al 31 dicembre 2011, quindi è presumibile che ad oggi l’importo complessivo del debito sia cresciuto di qualche miliardo.

“In un Paese civile – conclude Bortolussi – che credibilità può avere un debitore se non conosce nemmeno l’ammontare esatto dei soldi che deve ai suoi creditori?”

Intanto però veniamo a scoprire che sale la pressione fiscale. Nel quarto trimestre del 2012 ha toccato il 52%, un valore record assoluto, con un balzo di 1,5 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Lo rileva l’Istat nel conto economico trimestrale della P.a. La media annua, sempre da record, si attesta invece al 44%, +1,4 punti sull’anno precedente.

Ora però sono previste altre tasse come la Tares che dalle prime stime della Uil peserà più di quella sulla casa.

Paghiamo debiti contraendo debiti, sottostimiamo i debiti del Paese non iscrivendo quelli delle imprese con meno di 20 operai e strangoliamo i cittadini con le tasse. Gli esodati ancora non hanno certezze, i disoccupati rinunciano a cercare lavoro, il governo non si forma, il Presidente della Repubblica abbandonerà il suo incarico fra pochi giorni scatenando la bagarre in Parlamento… Cosa resta dell’Italia? I debiti e le tasse?

Ma quanto è indebitato lo stato?

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Lo Stato ha pagato alle imprese solo 3 milioni di euro su uno stock di oltre 70 miliardi di debiti: con questo ritmo, per saldare il debito, ci vorranno oltre 1.900 anni. Lo rileva la Cgia di Mestre spiegando che si tratta di un calcolo puramente “scolastico”, ma che ha il pregio di fornire in maniera chiara il senso della dimensione economica del debito e il livello dell’inefficienza dello Stato nell’onorare i propri debiti.

Sale disoccupazione anche tra gli artigiani. CGIA: 2,7 mln senza lavoro!

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