
Manuela Orlandi e le troppe morti che emergono intorno a una vicenda che da anni si ripropone alla ribalta e poi viene sedata. Ora sembra che sia arrivato il momento, forse il clima giusto in cui è possibile parlare. Forse ha contribuito anche l’elezione di un Papa non europeo, un Papa che viene quasi dalla fine del mondo. Ma bisogna anche fare attenzione ai mitomani, a chi dice di sapere e forse non sa poi così tanto perchè ne è venuto a conoscenza in modo frammentario. Ancora più attenzione bisogna invece farla a non considerare attendibili fonti che potrebbero rivelare indizi fondamentali e finalmente scoprire una verità che da troppi anni è sotterrata da omertà e da intrighi interni alle mura del Vaticano.
Marco Fassoni Accetti qualche giorno fa si è “costituito” e ha confessato di essere stato uno dei telefonisti del caso Orlandi e immediatamente sono scattati i dubbi e le contraddizioni, ma anche una nuova pista che forse fino a oggi non era mai stata presa in considerazione: collegare la scomparsa di Manuela con altre morti.
30 anni fa la famiglia Orlandi, dopo il rapimento della figlia fu contattata telefonicamente. Marco Fassoni Accetti ha confessato che alcune volte sarebbe stato lui a chiamare la famiglia, ma che non era lui l’Amerikano, quel tale che secondo le analisi svolte dalle forze dell’ordine, sarebbe (o sarebbe stato) un tale di elevata cultura, familiarità con la lingua latina e una certa permanenza in Italia visto il modo di parlare, che alcuni al tempo accostarono – senza alcuna prova – alla figura dell’arcivescovo Paul Marcinkus, allora onnipotente signore dello IOR (la banca vaticana) dimissionato nel 1990 ed esiliato (senza promozione cardinalizia) a Sun City, USA, dove è morto nel 2006. Esistono ancora i nastri di quelle telefonate? E’ possibile, attraverso le nuove tecnologie, svolgere accertamenti più mirati? Perchè non sono mai stati ripresi quei nastri? Ora dove si trovano?
Altro punto che mostra diversi dubbi e su cui si stanno facendo diverse ipotesi è il flauto che grazie a Marco Fassoni Accetti è stato ritrovato e sembra possa essere quello usato da Emanuela alla scuola di musica che frequentava.
Se però si guarda tra le foto del sito di Marco Fassoni Accetti ce n’è una con sullo sfondo una figura umana che impugna un flauto, ben visibile, che si direbbe simile o eguale a quello fatto ritrovare.
Foto che artisticamente ha un forte significato simbolico come tutta l’opera di Marco Fassoni Accetti: in primo piano un uomo a torso nudo, in parte coperto con un lenzuolo che ne lascia scoperte le spalle e sul fondo, che potrebbe essere costituito da un dipinto originale o da un fotomontaggio, c’è il dipinto policromo di una figura femminile, una Madonna quasi, che tiene tra le mani proprio un flauto. Era quello che poi è stato fatto ritrovare? E’ uno simile?

La foto si trova in una sezione chiamata Collegio in cui i personaggio vengono genericamente chiamati “Frère” (fratello). Il freré è tutto vestito di nero, i Fratelli cristiani di San Giovanni Battista de la Salle o i Maristi.
Sul flauto c’è stata molta polemica anche nei corridoi del palazzo di giustizia. Fonti ben informate hanno rivelato che la polizia scientifica avrebbe mostrato il suo dissenso per come Chi l’ha visto avesse abusato di quel ritrovamento per fare il proprio scoop non facendo attenzione a preservare le tracce che potevano trovarsi sullo strumento rinvenuto il 3 aprile e rimasto per 24h nelle mani della troupe della trasmissione e mostrato anche a Pietro Orlandi fratello della vittima e quindi con un dna simile a quello di manuela che sicuramente ha manomesso le tracce organiche. Si teme anche che l’emozione abbia spinto qualcuno degli Orlandi a provare il flauto, per sentire più vicina Emanuela. Questa ultima ipotesi sembra meno probabile, ma aver lasciato per 24 h un oggetto così importante nelle mani di Chi l’ha visto è sicuramente stato un errore gravissimo.
Altro dubbio degli inquirenti è la sicurezza mostrata da Pietro Orlandi nell’affermare che si trattasse proprio del flauto di sua sorella. Come fa a dire a distanza di anni che sia veramente quel flauto? Comprensibile la voglia di arrivare alla soluzione dopo 30 anni di smentite e conferme che hanno portato a un nulla di fatto, ma prima di poter affermare la proprietà dello strumento bisogna veramente analizzarlo a fondo. Ci sono poi le tesi “complottistiche” che circolano su internet e che vorrebbero ricollegare la data del ritrovamento con il giorno dedicato alla Madonna di Fatima (che per altro richiama la figura ammantata sullo sfondo della foto di Marco Fassoni Accetti), quando in Italia è stato pubblicato il libro con l’autobiografia di Alì Agca, il terrorista turco che nell’81 sparò a Papa Wojtyla. Proprio Alì Agca, che come ricordiamo più di una volta aveva dato versioni diverse sul rapimento dell’Orlandi.
Il superteste afferma di aver fatto parte di un gruppo di intelligence per esercitare pressioni sulla Santa Sede. A quale scopo? Nel 1983 il Papa è Giovanni Paolo II, che sta conducendo una battaglia nemmeno tanto sotterranea per la libertà della Polonia. Perché rapire una ragazzina figlia di un commesso della Prefettura della Casa pontificia? La Prefettura si occupa di gestire gli accessi al Santo Padre, organizza incontri e viaggi. Certamente è un buon punto di pressione per la sua vicinanza al Pontefice. Ma la domanda resta: a quale scopo?
L’uomo dice di essere stato chiamato a far parte di un gruppo di controspionaggio nato per combattere le fazioni in Vaticano e intimidendo ecclesiastici e vari personaggi con foto e ricatti. Al tempo stesso però lui era in Corso Rinascimento a Roma, il 22 giugno di 30 anni fa, a scattare le foto alla BMW su cui Renatino De Pedis stava portandosi via Emanuela.
Marco Fassoni Accetti è stato mostrato da “Chi l’ha visto?” intento in una performance televisiva di una ventina d’anni fa con Giancarlo Magalli. Che lo presenta in quell’occasione come sosia di Roberto Benigni. Come è possibile che un imitatore di Benigni possa essere appartenente a un gruppo d’intelligence e vada in Tv a fare l’imitazione di un comico molto famoso?
Altro tema caldo che avvalorerebbe l’ipotesi che negli anni del rapimento di Emanuela Orlandi ci fosse stato un gruppo di pressione c’è anche l’adozione del nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983. Che però era già pronto in bozza verso il 1980. A differenza di quello precedente del 1917, il Pio-benedettino come viene chiamato, traduce in canoni tutto il corpus di norme accumulatosi nel corso dei secoli. Codice che alla data del rapimento di Emanuela Orlandi era già stato promulgato (il 25 gennaio) e sarebbe poi entrato in vigore il 27 novembre dello stesso anno.
È il 21 dicembre scorso quando un turista segnala una busta sospetta lasciata dietro a un colonnato di San Pietro. C’è scritto in inglese «non toccare». Sul posto arrivano gli investigatori e scoprono che contiene un teschio. Il medico legale al quale viene consegnato, fa una prima indagine e conclude che si tratta di ossa abbastanza vecchie. I risultati finali delle analisi, però, non sono ancora completi. Quello che salta all’occhio è la scritta, eseguita con una calligrafia particolare.
Circa quattro mesi dopo, a casa di Antonietta Gregori, sorella di Mirella, l’altra ragazza scomparsa misteriosamente, e di Raffaella Monzi, amica di Emanuela, vengono recapitate due lettere. Contengono ritagli di giornali scritti in tedesco che parlano del corpo delle guardie svizzere, una ciocca di capelli, e la foto di un altro teschio con uno strano marchio inciso. Una breve indagine permetterà di accertare che si tratta di un teschio conservato in una chiesa di via Giulia, e che risale ad epoca medioevale.
Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Simona Maisto noteranno, però, una certa somiglianza tra la calligrafia del biglietto che accompagna il pacco recuperato sotto al colonnato e quella del messaggio contenuto nelle lettere. Già dodici anni fa un teschio lasciato nella chiesa di San Gregorio VII aveva fatto riaprire le indagini. I periti, all’epoca, non si trovarono d’accordo: per qualcuno poteva essere di una donna giovane, per altri di un uomo. E non se ne fece nulla.
E’ il 21 dicembre 2012 quando scatta l’allarme a San Pietro. Un turista segnala una busta sospetta lasciata dietro a un colonnato di San Pietro. C’è scritto in inglese «non toccare». Sul posto arrivano gli investigatori e scoprono che contiene un teschio. Il medico legale al quale viene consegnato, fa una prima indagine e conclude che si tratta di ossa abbastanza vecchie. I risultati finali delle analisi, però, non sono ancora completi. Quello che salta all’occhio è la scritta, eseguita con una calligrafia particolare.
Circa quattro mesi dopo, a casa di Antonietta Gregori, sorella di Mirella, l’altra ragazza scomparsa misteriosamente, e di Raffaella Monzi, amica di Emanuela, vengono recapitate due lettere. Contengono ritagli di giornali scritti in tedesco che parlano del corpo delle guardie svizzere, una ciocca di capelli, e la foto di un altro teschio con uno strano marchio inciso. Una breve indagine permetterà di accertare che si tratta di un teschio conservato in una chiesa di via Giulia, e che risale ad epoca medioevale.
Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il sostituto Simona Maisto noteranno, però, una certa somiglianza tra la calligrafia del biglietto che accompagna il pacco recuperato sotto al colonnato e quella del messaggio contenuto nelle lettere. Già dodici anni fa un teschio lasciato nella chiesa di San Gregorio VII aveva fatto riaprire le indagini. I periti, all’epoca, non si trovarono d’accordo: per qualcuno poteva essere di una donna giovane, per altri di un uomo. E non se ne fece nulla.
Ci sono poi le ultime notizie in cui Marco Fassoni Accetti ha associato il giallo dell’Orlandi non solo con la scomparsa di Mirella Gregori, altra ragazza rapina pochi giorni prima di Emanuela, ma anche con l’omicidio di Caterina-Katy Skerl.
Chi era? Una studentessa 17enne di liceo artistico, figlia di un regista americano, che abitava a Montesacro (Roma) e che venne trovata uccisa (per strangolamento) il 22 gennaio 1984 a Grottaferrata, in una vigna.La ragazza era scomparsa da casa nel primo pomeriggio del 21 gennaio, il giorno prima del ritrovamento del suo cadavere, dopo essersi recata sulla Tuscolana per incontrare un’amica. Dopo, il buio, e un mostro che l’attendeva con un fil di ferro. Cosa può collegare questo terribile omicidio di un’adolescente, ai rapimenti di Emanuela Orlandi e di Mirella Gregori che il superteste aveva definito “sequestri bluff“, organizzati con la complicità di amiche compiacenti per ricattare e destabilizzare ambienti vicini alla Santa Sede?
Una cosa è certa le tre ragazzine frequentavano ambienti vicini all’organizzazione in cui Marco Fassoni Accetti – di professione regista cinematografico indipendente – recitava il ruolo di “telefonista“. Che ruolo ha veramente avuto Marco Fassoni nell’intera vicenda? Era veramente solo uno dei telefonisti?
E perché, se Emanuela e Mirella vennero rapite solo a scopo dimostrativo, e oggi sarebbero entrambe vive a Parigi, la povera Caty venne invece “fatta fuori”?
Restano tanti, troppi dubbi e domande senza risposta, intrecci non svelati e punti interrogativi che riguardano la stessa persona di Fassoni Accetti, reo di aver ucciso, mettendolo sotto con il suo furgone, un 12enne figlio di un funzionario uruguayano dell’ONU, Josè Garramon, nel 1983. Un incidente, dovuto all’oscurità, così si era giustificato il superteste (assolto in fase processuale), dichiarando, però, che il ragazzino era stato spinto sotto l’auto, di proposito. Da chi? Ragazzini e ragazzine coinvolte in gioco di spionaggio più grande di loro?
Fassoni è stato anche intercettato al telefono con la sua fidanzata. Lei molto arrabbiata, gli dice: «Ora basta, ne hai fatte di tutti i colori, persino in quella storia di Emanuela Orlandi». Si tratta solo di un mitomane? Di qualcuno che è stato ossessionato dalla scomparsa di Mirella e Emanuela… Ma perchè è stato poi coinvolto nell’uccisione di José Garramon? Solo un tragico incidente?
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