Dopo il virus dell’epatite A nel mix dei frutti di bosco congelati, che durante la settimana si è esteso anche ai frutti rossi congelati della Polonia provenienti dalla Francia, arrivano le tossine nelle cozze spagnole. Nei mitili vivi spagnoli sarebbe infatti, stata rilevata la presenza di acido okadaico e di tossine (DSP – Diarrhetic Shellfish Poisoning). In oltre sui lotti che sono stati respinti durante la settimana si deve rilevare alcuni trattamenti al monossido di carbonio rinvenuti su tonno fresco proveniente sempre dalla Spagna, eccesso di Escherichia coli in mitili italiani distribuiti in Francia, Austria e nella stessa Italia, presenza di istamina in tonno pinna gialla dello Sri Lanka ed eccesso di cadmio in calamari congelati dall’Argentina.
Tra trattamenti, mari inquinati e spesso la carenza di norme igieniche inadeguate troppo spesso il cibo nasconde insidie pericolose.
E’ Il Giornale di Sicilia a rendere noto che sono state rinvenute alte concentrazioni di cromo e cadmio nell’urina dei bambini della provincia di Messina. Nella zona tra Milazzo, Pace di Mela e San Filippo di Mela sono infatti state svolte delle analisi sui bimbi e, in 31 casi su 200, si sono presentate alterazioni morfologiche nell’apparato riproduttore dei soggetti, con presenza di metalli nelle urine, in percentuali superiori alla media. In questi giorni sarà l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad analizzare, nella sede di Bonn, proprio l’inquinamento nella Valle del Mela e nelle zone limitrofe, che rappresenta un caso ad alto rischio ambientale. Sotto la lente d’ingrandimento dell’Oms finiranno proprio alcune realtà industriali della zona, alle quali sono dovuti simili effetti inquinanti.
In Cina si muore per le scorie chimiche anche a distanza di anni. Per l’esattezza sono 4 anni che l’impianto chimico Xianghe nella cittadina agricola di Zhentou nella provincia cinese dell’Hunan ha chiuso, ma le persone continuano a morire di cancro causato da esposizione a metalli pesanti. Troppe morti e se i giovani cercano di fuggire altrove chi rimane davanti a se a poche speranze di rimanere in vita. Gli agricoltori hanno smesso di vendere i loro prodotti, che in quella zona della Cina, sono l’unica risorsa per vivere da quando l’impianto ha chiuso e molti sono stati licenziati. Quel terreno è inquinato e la pioggia è veleno, come si può vivere a contatto con un inquinamento così massiccio? Naturalmente le autorità locali negano, anzi ribattono che hanno speso 16 milioni di yuan per la pulizia del suolo e hanno fatto sapere che ora la terra è stata bonificata e può essere coltivata di nuovo. Ma la gente non ci crede. Lo scorso anno alcuni abitanti hanno sottoposto un campione di terreno ad una analisi presso un laboratorio privato. I test hanno rivelato un livello di cadmio di 93,8 milligrammi per chilogrammo laddove in base alle norme nazionali i terreni agricoli dovrebbero contenere non più di 0,3-0,6 milligrammi di cadmio per chilogrammo.
Ma i funzionari locali sostengono che tutte le prove addotte sono prive di scientificità. Il governo locale ha offerto un unico risarcimento di 3.800 yuan (circa 400 euro) per tutti i residenti che vivono in un raggio di 500 metri del sito incriminato indipendentemente dal loro stato di salute oltre ad un pagamento una tantum di 1.200 yuan per ogni pezzo da 667 metri quadrati di terreni agricoli di proprietà di abitanti del villaggio. Ma per ottenere tali somme i residenti hanno dovuto firmare un accordo promettendo di non aderire ad eventuali petizioni o proteste.
Pagati per rimanere in silenzio? Morire nell’assoluta indifferenza?
Per capire la gravità del fenomeno basta analizzare la popolazione presente in uno dei tre villaggi quando nel 2004, prima dell’apertura dell’impianto chimico destinato a produrre indio, un metallo utilizzato nei pannelli solari e negli schermi a cristalli liquidi, la popolazione raggiungeva circa le 1000 unità, oggi ne sono rimaste circa 300.
Si iniziò una dura lotta tra le autorità e la popolazione locale, tanto che la notizia non poté essere passata sotto silenzio ed ebbe rilievo nazionale. Nel 2009 l’impianto fu chiuso e allora le autorità furono costrette ad ammettere che alcune persone erano morte di cancro per esposizione a metalli pesanti ma da sempre gli abitanti della zona sostengono che il numero reale delle persone colpite è due o tre volte superiore al numero ufficiale. Ora gli abitanti hanno iniziato a compilare delle proprie liste: ogni volta che muore una persona viene appurata se la morte è stata causata dal cancro e a quel punto viene inserita nella lista.
La Cina naturalmente non vuole ammettere che probabilmente la bonifica che è stata fatta non è stata sufficiente e che i danni dell’impianto si propagano anche a distanza di tempo. Servirebbero davvero interventi risolutivi, ma naturalmente i prezzi potrebbero essere molto elevati e soprattutto far nascere il sospetto che l’industrializzazione cinese è stata pagata soprattutto in termini di vite umane da molti agricoltori che vivevano a ridosso di fabbriche inquinanti. Anche se la Cina ha iniziato un processo di disinquinamento quanti anni occorreranno per bonificare i terreni inquinati? Quante persone moriranno nell’indifferenza? Quanti si cercheranno di far tacere dando un magro contributo e chiedendo in cambio l’assoluta connivenza con questo disastro ambientale?
Sono 26 le persone morte per avvelenamento e centinaia sarebbero in gravissime condizioni a causa di una fuga di cadmio fuoriuscito da una fabbrica abbandonata da quattro anni nella Cina centrale. I campioni rilevati nel terreno del villaggio Shangqiao nella provincia di Hunan, avrebbero rilevato una quantità di cadmio circa 300 volte superiore a quella autorizzata. Le concentrazioni di questo pericolosissimo metallo tossico sono stati trovati in 500 delle 3000 persone sottoposte a controlli.
Nel villaggio inoltre c’è un altissima percentuale di bambini che nasce con malformazioni.
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