Imponente operazione congiunta di polizia di stato, carabinieri, guardia di finanza e della Dia nella provincia di Trapani, per l’esecuzione di una trentina di ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip di Palermo che riguardano esponenti di spicco del clan di Matteo Messina Denaro, considerato numero uno di Cosa nostra. Le manette sono scattate per associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, intestazione fittizia di beni ed estorsione. In carcere, tra gli altri, sono finiti la sorella del boss, Patrizia, il cugino Francesco ‘Ciccio’ Guttadauro e il nipote Mario Matteo. Il provvedimento colpisce, in particolare, le famiglie mafiose di Castelvetrano e di Campobello di Mazara, che da anni esercitavano un controllo tipicamente mafioso sulle attività economiche ed imprenditoriali del trapanese, con ingenti interessi nel settore dell’edilizia. Erano in particolare Francesco Guttadauro, nipote del boss, e la sorella Anna Patrizia Messina Denaro, a controllare, precisa una nota diffusa, “un articolato circuito imprenditoriale, che assicurava di fatto il controllo quasi monopolistico nel settore dell’edilizia e relativo indotto”, oltre a un vasto giro di estorsioni, come ha precisato la polizia. Tra i familiari arrestati, anche i cugini del boss Giovanni Filardo, Cimarosa Lorenzo e Mario Messina Denaro. “Le indagini hanno confermato il ruolo dirigenziale tuttora rivestito dal latitante Matteo Messina Denaro all’interno del mandamento e nella provincia mafiosa, accertandone la funzione di direzione tra le varie articolazioni dell’organizzazione e di collegamento con le altre strutture provinciali di Cosa Nostra”. Gli affari, però, venivano gestiti in gran parte direttamente dai parenti e, in particolare, “con riferimento all’attività di sostegno economico al circuito familiare del latitante, sono emersi la contiguità e il ruolo di responsabilità decisionale raggiunto in seno al sodalizio mafioso da Patrizia Messina Denaro e da Francesco Guttadauro”. Ancora nella nota, si legge che gli affari dell’edilizia venivano gestiti “mediante la realizzazione di importanti commesse, tra cui opere di completamento di aree industriali, parchi eolici, strade pubbliche e ristoranti. L’organizzazione era, infatti, in grado di monitorare costantemente le opere di maggiore rilevanza del territorio, intervenendo nella loro esecuzione con una fitta rete di società controllate in modo diretto o indiretto da imprenditori mafiosi ed elementi di spicco del sodalizio”. A fianco di queste attività “è stata inoltre accertata la diffusa pressione estorsiva esercitata sul territorio anche ai danni di imprese concorrenti e perfino di privati cittadini che avevano ereditato una rilevante somma di denaro”. Tra le persone arrestate anche alcuni “insospettabili”, con due ingegneri del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria finiti in manette a Palermo. Uno di loro è figlio di un giudice. Secondo le indagini, avrebbero intascato mazzette per favorire una ditta legata alle cosche. Non solo, si è anche scoperto che, temendo di essere pedinato, un mafioso di Campobello di Mazara ogni tanto chiedeva aiuto ad una vigilessa di Paderno Dugnano, nel Milanese. L’agente della polizia locale controllava le targhe che le venivano segnalate come “sospette”. Nel quadro delle complessive attività, la Guardia di Finanza sta procedendo al sequestro preventivo di complessi aziendali riconducibili al latitante intestati a prestanome, costituiti da società operanti nel settore dell’edilizia, per un valore complessivo di circa 5 milioni di euro.
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