
Riccardo Rasman era un giovane di 34anni, un omone di 1 metro e 85 cm e di oltre 120 chili nonchè disabile psichico in cura per sindrome schizofrenica paranoide con delirio persecutorio, disturbo che gli era comparso durante i sette anni nei quale aveva prestato servizio militare presso l’ Aeronautica.
Al riguardo la Corte dei Conti per il Friuli Venezia Giulia, nel 2003, aveva riconosciuto a Rasman l’infermità dipendente da cause di servizio a seguito di un ricorso presentato dalla famiglia contro il Ministero della Difesa.
Il 27 ottobre 2006, Riccardo si trova nella sua abitazione di Trieste, un monolocale di proprietà dell’ Ater situato in un quartiere popolare della città. E’ all’incirca l’ora di cena quando i vicini di Rasman chiamano la polizia; secondo le successive ricostruzioni alquanto confuse, Riccardo stava ascoltando la musica ad un volume eccessivo e ad un certo punto era uscito sul balcone di casa, completamente nudo, iniziando a lanciare petardi ai passanti. Questa è la segnalazione che arriva al 113 che, dopo pochi minuti, giunge sul posto.
A bordo della volante ci sono due agenti, Maurizio Mis e Giuseppe De Biasi che arrivano abbastanza celermente all’appartamento di Rasman; i due, in base alle ricostruzioni, bussano alla porta di Rasman chiedendogli di aprire ma dall’altra parte non ottengono riscontri in tal senso.
Riccardo infatti non vuole aprire la porta e, anzi, pare risponda male agli agenti; secondo la difesa, ha agito così per paura.
Viene chiamata quindi una seconda pattuglia e sul posto sopraggiungono altri due agenti, Mauro Miraz e Francesca Gatti.
Successivamente in fase di dibattito, saranno in molti a chiedersi se non sia stato eccessivo l’utilizzo di 4 agenti e 2 volanti per un episodio simile.
Decidono quindi di forzare la porta con l’ausilio dei vigili del fuoco e di fare irruzione nell’appartamento. Dalle ricostruzioni, una volta dentro al monolocale nasce una colluttazione tra Rasman (che era sul letto) e gli agenti; i quali riescono alla fine ad avere la meglio.
Il ragazzo viene immobilizzato, ammanettato dietro la schiena e le caviglie gli vengono legate con del filo di ferro; così Rasman verrà trovato all’arrivo dei sanitari che riscontreranno anche gravi ferite e segni di imbavagliamento.
Ma ad uccidere Riccardo non sarà niente di quanto descritto sin qui; perché c’è dell’altro. Malgrado fosse ormai immobilizzato 3 dei 4 agenti continuano, per oltre cinque minuti, a fare pressione sulla schiena del ragazzo. Per la Procura di Trieste i 3 agenti “esercitavano pressioni sul tronco, sia salendogli insieme o alternativamente sulla schiena, sia premendo con le ginocchia, un’eccessiva pressione che ne riduceva gravemente le capacità respiratorie.”
Il tutto fino a portarlo a respirare affannosamente, a rantolare, a divenire cianotico. E, alla fine, a smettere di respirare. Il decesso viene constatato all’arrivo dei soccorsi sanitari i quali trovano Rasman nello stato di immobilizzazione sopra descritto; la camera presenta schizzi di sangue sui muri. Per il medico legale si tratterà di morte dovuta ad asfissia da posizione. Nella perizia ci sarà scritto:
“per causare le lesioni riscontrate gli agenti hanno usato mezzi di offesa naturale in maniera indiscriminata anche verso parti del corpo potenzialmente molto delicate, ma anche oggetti contundenti come potevano essere il manico dell’ascia rinvenuta nell’alloggio o il piede di porco usato dai vigili del fuoco per forzare la porta d’ingresso. Gli stessi agenti hanno ammesso di averlo utilizzato contro il braccio destro di Riccardo”
Da un punto di vista giudiziario, inizialmente viene aperta un’ indagine di ufficio che sarà chiusa in tempi brevissimi, nell’ottobre 2007, con una richiesta di archiviazione; per il magistrato infatti, i quattro poliziotti avrebbero agito nell’adempimento di un dovere. Il tutto appare fin da subito strano; le indagini sono rapide e le testimonianze vengono raccolte dagli stessi agenti coinvolti nella vicenda.
La parte civile si oppone alla richiesta di archiviazione e presenta al giudice una serie di indizi raccolti; così nel febbraio 2008 il magistrato ritorna sulla propria decisione e formula una accusa di omicidio colposo per i 3 poliziotti. Un anno dopo, nel gennaio 2009, i 3 agenti vengono condannati a sei mesi di carcere, con pena sospesa. Sentenza confermata poi anche in secondo grado.
Ora è in corso la causa per il risarcimento in sede civile: al momento la famiglia ha ricevvuto solo 20 mila euro ciascuno. La sentenza giustifica l’ “elemosina” concessa con queste parole: “L’unica sua risorsa era l’immensa forza fisica, che ha portato alla reazione incontrollabile… la crisi respiratoria sarebbe stata indotta-autoindotta da un soggetto fuori di sé e privo di qualunque consapevolezza in un episodio psicotico”. Inoltre va escluso ogni danno patrimoniale perché “Rasman non produceva reddito alcuno”. Quella sera però Riccardo stava festeggiando, con petardi e musica, il suo nuovo lavoro.
Arriveranno almeno le scuse? Se questa è giustizia…
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