La Cassazione ha confermato la sentenza in Appello: Raniero Busco non ha ucciso l’ex fidanzata Simonetta Cesaroni 24 anni fa. Il delitto di via Poma, a Roma, resta così senza colpevoli. Busco, alla lettura della sentenza, è scoppiato in lacrime, sostenuto dai suoi familiari e dagli amici che hanno sempre creduto nella sua innocenza. Parole di delusione invece da parte della famiglia di Simonetta, uccisa negli uffici dell’Associazione Alberghi della gioventù a Roma in via Poma il 7 agosto del 1990: l’assassino infierì sul corpo della giovane segretaria con 29 coltellate. Fu la sorella Paola, assieme al datore di lavoro della vittima, a trovare il cadavere della giovane. In primo grado Busco era stato condannato a 24 anni di reclusione, salvo poi essere assolto in appello “per non aver commesso il fatto”. Quest’ultima sentenza era stata impugnata dalla Procura Generale di Roma ed anche il pg della Cassazione, al termine della requisitoria, aveva chiesto l’annullamento della sentenza di secondo grado e un nuovo processo. I Supremi giudici sono stati di diverso avviso ed hanno confermato l’assoluzione di Busco che diventa così irrevocabile. A seguito dell’assoluzione definitiva il legale dell’imputato, Franco Coppi, ha dichiarato: “Sono estremamente soddisfatto di questa decisione della Cassazione, e, del resto, non poteva che essere così, perché l’assoluzione era perfettamente motivata. Rimane il dispiacere per il barbaro omicidio di una giovane ragazza e spero che presto prendano il colpevole. Come cittadino, dopo verdetto, esprimo fiducia nella giustizia”. Delusione invece per i familiari di Simonetta, come spiega Federica Mondani, legale di parte civile dei Cesaroni: “Siamo ovviamente delusi da questo verdetto di assoluzione perché c’erano forti incongruenze. Adesso quello di Via Poma resta un delitto senza colpevoli. Rimaniamo convinti che c’erano elementi importanti contro Busco”. Roberta Milletarì, moglie di Busco, ha dichiarato: “Mio marito ed io siamo felicissimi, ci siamo liberati da un incubo. Adesso questa vicenda è finalmente sepolta”.
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Resta senza colpevoli il delitto di via Poma: Raniero Busco assolto
Pubblicato da tdy22 in febbraio 26, 2014
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Si torna al processo per la strage di Brescia: annullate due assoluzioni
Il 28 maggio 1974 a piazza della Loggia, a Brescia, esplodeva una bomba nascosta in un cestino dei rifiuti uccidendo otto persone e ferendone oltre cento. Ora, quarant’anni più tardi, la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dalla procura generale di Brescia contro le assoluzioni di Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte. Si dovrà quindi celebrare un nuovo processo. Per l’ex estremista Delfo Zorzi è stata al contrario confermata l’assoluzione dell’ex estremista di destra Delfo Zorzi. Nell’apprendere la notizia uno dei feriti di quel drammatico giorno, Redento Peroni, ha commentato: “Meglio di così non poteva andare”.
Pubblicato da tdy22 in febbraio 22, 2014
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Si può chiamare la suocera “vipera”: la Cassazione non la ritiene un’ingiuria
Michele D.A. era stato condannato in primo e secondo grado per ingiuria ma ora la Cassazione ha annullato senza rinvio la condanna inflitta nel 2012 dal Tribunale di Nicosia (Enna) all’uomo che aveva definito “vipera” la suocera, ribadendo tre volte il ‘concetto’ agli agenti intervenuti a sedare il clima di litigiosità familiare. Per la Suprema Corte, infatti, le espressioni che si risolvono “in dichiarazioni di insofferenza” che non possono portare a processare chi le ha pronunciate. L’uomo era stato inizialmente giudicato colpevole per aver spiegato ai poliziotti che la suocera Santina era “scesa” nel suo appartamento “come una vipera, come una vipera, come una vipera!” dopo averlo sentito litigare con la moglie. Come spiega Blitz Quotidiano, ad avviso del Tribunale, l’espressione era senz’altro offensiva e per questo, su denuncia della ‘vipera’ Santina, il genero era stato condannato a una pena (la cui entità non è nota) e anche al risarcimento dei danni morali. In Cassazione, il difensore di Michele ha sostenuto la tesi della inoffensività della parola ‘vipera’, pronunciata dopo “un’aspra discussione, in un contesto litigioso ed ostile” e “comunque non indirizzata all’interessata, ma agli agenti intervenuti al fine di descrivere la scena”. I supremi giudici hanno ritenuto l’obiezione “fondata”. “Se è vero che il reato di ingiuria si perfeziona per il sol fatto che l’offesa al decoro o all’onore della persona avvenga alla sua presenza, è altrettanto vero – scrive l’alta Corte – che non integrano la condotta di ingiuria le espressioni che si risolvano in dichiarazioni di insofferenza rispetto all’azione del soggetto nei cui confronti sono dirette e sono prive di contenuto offensivo nei riguardi dell’altrui onore e decoro, persino se formulate con terminologia scomposta ed ineducata”. Da tali premesse, conclude il verdetto, “discende che la frase sopra riportata, pronunciata dopo un contrasto che aveva determinato l’intervento delle forze dell’ordine e per descrivere, nella concitazione del momento, le modalità dell’azione di Santina, non si connota in termini di offensività idonei a giustificare l’attivazione della tutela penale”. Condanna cancellata: “Il fatto “non sussiste”.
Pubblicato da tdy22 in febbraio 4, 2014
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Uccise un ladro: assolto perchè “non ci sono prove della colpa”
Era il 25 novembre 2012 e Angelo Cerioli, proprietario di un negozio di giardinaggio nel Bergamasco, a Caravaggio, sparava a un ladro che stava infrangendo con una mazza una vetrina della sua attività. In seguito, ha sempre dichiarato di aver sparato a caso, dalla finestra della sua abitazione, al cui piano terra vi è il negozio, al solo fine di intimidire i ladri ma la vittima, il romeno Dumitru Baciu, morì sul colpo. In un primo momento, Cerioli venne accusato di omicidio volontario. Il pm, successivamente, derubricò il reato a eccesso colposo di legittima difesa. Ora, secondo i giudici, “non ci sono le prove della colpa” e hanno così deciso di assolverlo.
Pubblicato da tdy22 in gennaio 23, 2014
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Risarcimento per i familiari di Cucchi fissato a un 1 milione e 340mila euro
E’ stata ufficializzata la cifra che l’ospedale Pertini di Roma corrisponderà ai familiari di Stefano Cucchi come risarcimento a seguito della morte del giovane, avvenuta quattro anni fa, nella loro struttura. La somma ammonta a un milione e 340mila euro. Ora che è stata trovata un’intesa, i parenti di Cucchi non saranno presenti come parte civile nei confronti dei medici e degli infermieri al processo d’appello. Fabio Anselmo, legale della famiglia, ha commentato: “Il risarcimento è limitato esclusivamente alla responsabilità sanitaria. L’obiettivo della famiglia è quello di avere giustizia non a metà, ma a 360 gradi. Per questo, andremo in appello anche e soprattutto sulla posizione degli agenti per i quali con soddisfazione la Procura generale ha chiesto alla Corte d’assise d’appello un giudizio completo e non limitato”. Il riferimento è al fatto che, a fronte della condanna dei sanitari, è stata emessa una sentenza di assoluzione nei confronti dei tre agenti della polizia penitenziaria. Oltre ai pm, anche la procura generale ha proposto appello contro la sentenza con la quale il 5 giugno la Corte d’assise di Roma ha condannato per omicidio colposo 5 dei 6 medici imputati, mentre il sesto ha subito una condanna per falso ideologico. In quell’occasione, anche tre infermieri sono stati assolti.
Pubblicato da tdy22 in novembre 2, 2013
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Il Castello di Kafka? No, la giustizia italiana
L’imputato è un inserviente bresciano di un asilo accusato di violenze sessuali su quattro bambini, che sarebbero state commesse nel 2001.
Sentenze, fra Brescia e Milano:
nel 2004 il tribunale lo condanna a 15 anni.
Nel 2006 la Corte d’Appello conferma la condanna.
Nel 2007 la Cassazione annulla la sentenza.
Nel 2008 nel processo bis la Corte d’Appello lo assolve.
Ma la Cassazione nel 2009 annulla l’assoluzione.
Processo tris: nel 2011 la Corte d’Appello lo assolve di nuovo.
Nel 2012 la Cassazione annulla ancora l’assoluzione.
Processo quater nel 2013: Corte d’Appello condanna a 13 anni.
Si attende ora il verdetto della Cassazione.
Sarà il nono grado di giudizio. Per fare un paragone con processi super controversi della nostra storia, per la strage di Piazza Fontana ci sono stati 8 gradi di giudizio, per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi 7 gradi.
Il caso, spiega Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, è finito alla corte di Strasburgo
“Tralasciando il merito intricato di una vicenda delicatissima che a quasi 12 anni dai fatti afferra ancora non solo l’imputato ma anche le parti civili dei bimbi e delle loro famiglie, la difesa ora sperimenta due questioni più generali: una sulla tenuta della regola della condanna solo se «oltre ogni ragionevole dubbio», e l’altra sull’apparente impossibilità di prospettare alla giustizia europea una eventuale durata irragionevole del processo italiano se prima il processo stesso, in un gioco di rimbalzi di annullamenti e controannullamenti, non finisce mai perché mai diventano definitive o l’assoluzione o la condanna.
Sul primo versante il professore Guglielmo Gulotta, specie dopo l’archiviazione di tre iniziali coindagati nella scuola e l’assoluzione di altre tre coimputate, pone a raffronto la peculiare sequenza di altalenanti decisioni con il secondo comma dell’articolo 530 del codice di procedura, in base al quale il giudice è obbligato a pronunciare sentenza di assoluzione non solo quando «manca la prova» che il fatto sussiste, ma anche quando questa prova è «insufficiente o contraddittoria»: e allora, nella prospettiva della difesa, già questa «massa eterogenea di decisioni tra loro diametralmente opposte», con differenti principi di valutazione della prova additati perfino dalla stessa sezione di Cassazione in due diversi giudizi (ovviamente con giudici diversi) a proposito del possibile «contagio dichiarativo» tra bimbi o fra bimbi e genitori, sarebbe dimostrazione del fatto che una eventuale nuova condanna non potrebbe superare la soglia dell’«oltre ogni ragionevole dubbio» disegnata nel tempo dalla giurisprudenza di legittimità.
La seconda questione appare più concreta e verte sul principio della «ragionevole durata» del processo, sancita dall’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) e incorporata dall’articolo 111 della Costituzione italiana. Un numero secco per stabilire quanti anni sia «ragionevole» che duri un processo non esiste e nemmeno potrebbe esistere, dipendendo dalla combinazione di una pluralità di fattori come la complessità del caso, il comportamento dell’imputato, la condotta delle varie autorità giudiziarie. E un imputato può dolersi davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo della pretesa irragionevole durata del suo processo soltanto quando abbia finito di utilizzare tutti i rimedi (non solo presenti in teoria ma anche effettivi in concreto) offerti dall’ordinamento del suo Paese, quindi in Italia per definizione solo quando abbia esperito tutti i gradi di giudizio sino al passare in giudicato definitivo di una sentenza in Cassazione. Ma il sistema italiano non ha una norma di chiusura che scongiuri l’eventualità che un processo non approdi mai a una conclusione in un tempo ragionevole a causa dei possibili ripetuti annullamenti con rinvio da parte della cassazione, e delle successive impugnazioni delle sentenze di merito di condanna (da parte della difesa) o di assoluzione (da parte dell’accusa).”
Pubblicato da tdy22 in ottobre 28, 2013
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I familiari di Stefano Cucchi trovano l’accordo per il risarcimento con l’ospedale
Morì mentre si trovava ricoverato all’Ospedale Sandro Pertini di Roma il geometra romano Stefano Cucchi, a una settimana dal suo arresto per droga. Ora Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi, ha formalizzato con gli avvocati della struttura sanitaria l’accordo per il risarcimento danni. Si mantiene il riserbo per le cifre, in attesa che vengano definiti gli ultimi dettagli. Stando a quanto si è appreso, le ultime firme saranno apposte al più tardi fra due giorni. Il risarcimento porterà a una sorta di “contrazione” degli atti d’appello e verrà a mancare la parte civile nei confronti dei medici mentre i genitori, la sorella e i nipoti di Stefano Cucchi appellerano la parte della sentenza con la quale la III Corte d’assise di Roma assolse gli agenti della polizia penitenziaria. L’accusa sosteneva che il giovane era stato “pestato” mentre si trovava in attesa dell’udienza di convalida del suo arresto, nelle celle di sicurezza della Città giudiziaria di Roma. In seguito, era stato abbandonato a se stesso dai medici del Pertini. Secondo la sentenza di primo grado, però, morì per malnutrizione.
Pubblicato da tdy22 in ottobre 22, 2013
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Le motivazioni della sentenza di Stefano Cucchi, morto per malnutrizione
La sentenza non lascia dubbi: Stefano Cucchi secondo i giudici, è morto di malnutrizione, per l’esattezza per una “sindrome da inanizione”. Condannati i medici e assolti gli infermieri, ma soprattutto scagionati gli agenti di polizia penitenziaria.
In un passaggio delle motivazioni depositate dai giudici si legge: “E’ legittimo il dubbio che Cucchi, arrestato con gli occhi lividi (perché molto magro e tossicodipendente) e che lamentava di avere dolore, fosse stato già malmenato dai carabinieri” prima del suo arrivo in tribunale.
Le motivazioni sono arrivate a quasi tre mesi dalla sentenza con la quale sono stati condannati per omicidio colposo il primario del Sandro Pertini, Aldo Fierro, e i medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite, Silvia Di Carlo e Rosita Caponetti (per il solo reato di falso ideologico), e assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, nonché gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
Pubblicato da tdy22 in settembre 3, 2013
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La denuncia di Ilaria Cucchi da parte del COISP!
E’ stata denunciata Ilaria Cucchi, sorella di Stefano Cucchi, per le sue affermazioni rilasciate in seguito alla sentenza del fratello. La denuncia compare sul sito del Coisp a firma di Franco Maccari, segretario del sindacato dei poliziotti, datato 6 giugno:
Il mese scorso il Coisp, dopo gli scontri, era tornato a manifestare per il caso Aldovrandi al ministero di Grazia e Giustizia. Il Coisp in quella occasione rivendicava come ci fosse “della disparità di trattamento a livello di pene detentive per i quattro poliziotti condannati per l’omicidio colposo di Federico”. Ma se la Giustizia deve essere accettata come mai il Coisp non l’accetta per il caso Aldovrandi e manifesta, ma poi denuncia Ilaria Cucchi per aver esternalizzato le proprie idee sul processo per accertare la causa della morte del fratello?
Pubblicato da tdy22 in giugno 13, 2013
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Giovanardi sul caso Cucchi: ” è giusto che quei poveri cristi festeggino”
Può una sentenza minare la stabilità di un Paese in cui governa un esecutivo fragile frutto di molti compromessi? Sembra che l’assoluzione per i poliziotti ritenuti non responsabili della morte di Stefano Cucchi sia destinato proprio ad aprire un solco ancora più profondo tra cittadini e istituzioni. In questa tensione sociale si inserisce l’intervista rilasciata a La Zanzara del senatore del Pdl Giovanardi che, riferendosi ai poliziotti assolti, afferma : “è giusto che adesso quei poveri cristi festeggino”. Cosa c’è da festeggiare? Come si può usare la parola festa in un caso così drammatico? Come può un parlamentare ignorare la rabbia sociale che si è sollevata in Aula al momento delle assoluzioni?
Giovarnardi, con il suo modo di fare liquida la questione: “Le foto di Cucchi? Quelle ecchimosi sono derivanti dalla mancanza di nutrizione nella quale è stato lasciato per giorni. Tutti i segni, comprese le orbite negli occhi, sono il risultato della situazione in cui è stato lasciato. Delle botte degli agenti di custodia non ci sono prove… Io ho solo espresso soddisfazione – dice ancora Giovanardi – per tre poveri cristi agenti di custodia che guadagnano 1200 euro al mese e hanno vissuto quattro anni di inferno fino a quando un tribunale li ha riconosciuti innocenti. Non hanno fatto nulla e ora festeggiano la fine di un incubo. Devono essere colpevoli solo perchè lo vuole il circo mediatico e Manconi? Manconi è quello che appoggiava il terrorismo e per lui era legittimo ammazzare la gente inerme. Non accetto lezioni, lui in Senato mi ha criminalizzato e adesso mi arrivano minacce di morte”.
Che minacce di morte riceve?
“L’ultimo è questo: mi fai schifo spero che la stessa cosa accada a tuo figlio, che lo riducano come hanno ridotto Cucchi. Sei una m***a”.
C’è chi è minacciato e chi invece minacciato non può essere più perché è morto tanto tempo fa! Arriverà mai per l’Italia, l’ora della verità per chi è stato seppellito innocente?
Pubblicato da tdy22 in giugno 7, 2013
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“Per fortuna non siamo delinquenti”. Parla uno dei condannati del caso Cucchi
Aldo Fierro, primario del reparto dell’ospedale romano Sandro Pertini nel quale morì Stefano Cucchi, è stato condannato ieri a due anni per omicidio colposo. Nel commentare la sentenza del processo per l’illogica morte di una ragazzo di 31 anni, il medico riesce a fare dell’ironia: “Voglio evitare qualsiasi contro-polemica. So solo che la colpa è solo nostra, solo dei medici. E meno male che non siamo delinquenti”. Fierro poi prosegue: “Non ho mai visto Cucchi e non capisco come sia possibile che io possa essere coinvolto in questa storia”. Quindi lascia trasparire la sua amarezza: “Se questo è il nostro Paese, penso che almeno presto me ne andrò in pensione. Non ho nulla da nascondere; credo nella famiglia, nella religione e nel sacramento dell’ostia. La disponibilità e il supporto dei miei colleghi mi ha aiutato e li ringrazio”. E conclude: “Vedremo in futuro quello che succederà. Faccio il medico da 40 anni, amo questo lavoro. Ho sempre fatto gli interessi dei più deboli”.
Le parole del medico sono state commentate da Ilaria Cucchi, la sorella: “Stefano non sarebbe arrivato in ospedale se non fosse stato massacrato. Ma i medici sono anche responsabili e non sono degni di indossare il camice”. Rincara quindi la dose: “I medici avrebbero potuto salvargli la vita, non hanno fatto nulla, ora dovranno fare i conti con la loro coscienza, perché hanno comunque una responsabilità gravissima. La morte di mio fratello non è un caso di malasanità”.
Pubblicato da tdy22 in giugno 6, 2013
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Stefano Cucchi è stato ucciso una seconda volta… e c’è chi ne è lieto
“Me l’hanno ammazzato un’altra volta”. Sono queste le parole di Rita Calore, la mamma di Stefano Cucchi, dopo la sentenza della Corte d’Assise di Roma, che ha condannato i medici ma assolto agenti e infermieri. “Prima credevo nella giustizia, ora non più”, aggiunge la donna, che si è vista strappare un figlio in un modo che dovrebbe essere semplicemente inconcepibile in uno stato civile. E dopo che in aula si sono sentiti cori di “Assassini”, il padre del ragazzo, Giovanni Cucchi, annuncia: “Andremo avanti fino in fondo, scopriremo la verità”. Verità e giustizia, il minimo che spetta a Stefano.
E in questo dolore, in questa giusta rabbia che coinvolge un intero Paese arrivano le parole di Giovanardi, il più soddisfatto della sentenza perchè per lui le guardie sono, come ripete da quattro anni, assolutamente innocenti: “Il tempo è galantuomo e ha fatto giustizia di pregiudiziali ideologiche, enfatizzate dai media, che attribuivano responsabilità agli agenti di custodia per un pestaggio mai avvenuto”. Cucchi è stato prelevato sano, dopo pochi giorni è morto. La Corte ha condannato i medici, ma chi l’ha costretto in un letto d’ospedale? “Purtroppo, come ho detto fin dall’inizio, le problematiche del povero Stefano Cucchi avrebbero dovuto trovare maggiore attenzione da parte di chi era tenuto a contrastare la sua presunta volontà di non volersi né nutrire né curare”. Ma cosa aspettarsi da chi, a inizio aprile, parlando del caso Aldrovandi a La Zanzara ha affermato: “I poliziotti del caso Aldrovandi non devono essere in galera; gli agenti sono vittime come il ragazzo che è morto e non vanno cacciati dalla polizia; la manifestazione dei sindacati è legittima”. Aggiungendo: “La sentenza dice che dopo una battaglia di perizie in tribunale c’è stata una condanna per omicidio colposo. Nessuna tortura, Aldrovandi non è morto per le botte, non è stato massacrato”. A rincarare la dose ci pensa Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), che brinda all’innocenza dei colleghi: “L’assoluzione dei poliziotti penitenziari coinvolti loro malgrado nella vicenda connessa alla morte di Stefano Cucchi conferma quel che abbiamo sempre sostenuto. E cioè che nel palazzo di giustizia di Piazzale Clodio a Roma, così come quotidianamente avviene nelle oltre 200 carceri del Paese, la Polizia Penitenziaria ha lavorato come sempre nel pieno rispetto delle leggi, con professionalità e senso del dovere. Ciò detto, rinnoviamo le sincere espressioni di rispetto per la triste e dolorosa vicenda che ha visto coinvolta la famiglia di Stefano Cucchi”.
Pubblicato da tdy22 in giugno 5, 2013
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La morte di Stefano Cucchi: la sentenza del processo
La sentenza del processo di primo grado presso la III Corte d’Assise di Roma per la morte di Stefano Cucchi, 31 anni, avvenuta il 22 ottobre 2009 a Roma vede assolti gli agenti penitenziari e gli infermieri coinvolti nel caso, mentre i medici dell’ospedale “Pertini”, in cui era ricoverato il ragazzo al momento della morte, sono stati condannati. Per quello che riguarda le lesioni subite da Cucchi, nessuno è stato considerato responsabile. Il giorno della sua morte, un giovedì, nella sua stanza all’interno del reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini, dove era ricoverato da sabato 17 ottobre, alle 6.16 gli infermieri avevano scritto non “risponde agli stimoli”, dopo aver segnalato di aver tentato la rianimazione senza riuscirci. Una rianimazione che non poteva riuscire: l’autopsia, di cui verranno resi noti i risultati solo qualche mese dopo, stabilisce che il decesso è avvenuto verso le 3 di notte. Perchè un ragazzo è morto in ospedale nell’indifferenza totale? Perchè nessuno ha controllato prima le sue condizioni? Imputati al processo erano in dodici: sei medici, tre infermieri e tre agenti penitenziari. Le accuse erano, a seconda dei casi, abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni e abuso di autorità. Un altro imputato, il direttore dell’ufficio detenuti e del trattamento del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria (Prap), Claudio Marchiandi, ha chiesto il rito abbreviato ed è stato condannato nel 2011 a due anni per favoreggiamento, falso e abuso in atti d’ufficio. La sentenza è arrivata solo oggi, per un processo iniziato nel gennaio 2011 svoltosi con oltre 40 udienze e decine di testimoni. I sostituti procuratori, Vincenzo Barba e Francesca Loy, avevano chiesto la pena più alta, sei anni e otto mesi, per Aldo Fierro, il primario del reparto di medicina protetta dove Cucchi era ricoverato e dove è morto. La pena più bassa tra gli imputati (due anni) è stata chiesta invece per tre guardie carcerarie, accusate di lesioni personali aggravate.
Quella di Stefano Cucchi è stata una Via Cruscis, un calvario iniziato quel 25 ottobre 2009 intorno alle 23.30, quando venne arrestato dai carabinieri nel parco degli Acquedotti perché trovato in possesso di droga. Il giorno dopo viene portato nel carcere romano di Regina Cœli per poi passare in diverse strutture. Nel suo troppo rapido percorso dall’arresto alla morte, ha visitato due caserme dei carabinieri, le celle di sicurezza, le aule e l’ambulatorio del tribunale di Roma, l’infermeria e una cella del carcere di Regina Coeli, il pronto soccorso del Fatebenefratelli, il reparto detentivo del Sandro Pertini e infine l’obitorio. In tutti questi luoghi lo Stato è presente, tra operatori danitari e della giustizia. Ma gli abusi e l’illegalità non vengono ricostruite mai fino in fondo quando “è meglio tacere”. Fu stabilito, con una commissione d’inchiesta del Senato presieduta da Ignazio Marino, che Cucchi presentava lesioni gravi al volto, lesioni vertebrali e un sospetto di trauma cranico addominale già al momento dell’ingresso in carcere e, stando all’accusa, il ragazzo venne picchiato violentemente prima ancora dell’udienza di convalida dell’arresto, la mattina del 16 ottobre. L’accusa prosegue, sostendeo che, dopo il suo ricovero al “Pertini”, non venne curato né nutrito ma lasciato morire di fame e di sete, nonostante le sue pessime condizioni cliniche. Già il 19 ottobre, infatti, ai traumi alla testa e alla schiena si era aggiunta una grave ipoglicemia per un ragazzzo che era tossicodipendente e soffriva di epilessia: abbandono di persona incapace quindi.
Pubblicato da tdy22 in giugno 5, 2013
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Oswald uccise Kennedy? A Torino i giudici lo assolvono!
Un terzetto di giudici di Torino ha trovato la soluzione al caso dell’omicidio del Presidente Kennedy, il 22 novembre 1963. Assassinio per il quale si sarebbe voluto incastrare Lee Harvey Oswald mentre a sparare furono altre persone non identificate, ma sicuramente più di una. E sollevano anche un’altra questione: le indagini condotte, almeno nella prima fase, in modo “non limpido”, senza contare che c’è il sospetto che le prove siano state “manipolate”. Dopo che per anni studiosi, dietrologi e complottisti si sono cimentati con uno dei grandi misteri del secolo scorso, ora anche l’Italia ha una sua risposta, arrivata al termine di un “processo simulato” che ha avuto luogo su iniziativa della Camera Penale “Vittorio Chiusano” portata avanti grazie all’impegno dell’avvocato Mauro Anetrini. In aula, accusa e difesa hanno dato origine ad un vero dibattimento, argomentando le rispettive tesi con documenti ufficiali e filmati d’epoca, dal rapporto Warren alle testimonianze truccate, dalla teoria del “proiettile magico” alla singolare catena di suicidi. Un grande show giuridico a cui questa volta anche Oswald ha potuto partecipare, impersonato dal gionalista Meo Ponte, ed è riuscito finalmente a dire di esolo un “capro espitatorio”. Tesi avvalorata dal fatto che Lee Harvey non raggiunse mai il tribunale: due giorni dopo la morte di JFK, infatti, venne ucciso da Jack Ruby, gestore di un locale notturno. Credere o non credere alle sue parole? Il pm ha chiesto per lui l’ergastolo, certo che avesse preso parte al complotto, mentre il suo avvocato spiega come il suo assistito fosse all’oscuro di tutto e venne abilmente incastrato. Il collegio guidato da Gustavo Witzel, al termine del processo, ha assolto Oswald avallando l’ipotesi della cospirazione e ha ordinato simbolicamente la trasmissione degli atti alla procura di Dallas per approfondire le indagini sulla figura di Jack Ruby. I presenti hanno applaudito alla decisione: sembra che a Torino non abbia attecchito la verità ufficiale che vuole Oswald uccidere Kennedy e agire da solo.
Pubblicato da tdy22 in Maggio 26, 2013
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Vendola e la pioggia di dichiarazioni dopo l’assoluzione
Dopo l’assoluzione… Il diluvio Vendola!
Prima lacrime in tribunale davanti al giudice che lo assolve “perchè il fatto non sussiste” e poi il diluvio di dichiarazioni durante la conferenza stampa tenutasi nella Presidenza della Regione Puglia.
“Per me è un momento di felicità. Sono stato in questi anni usato come contraltare per le più scandalose inchieste che hanno coinvolto un pezzo di ceto politico verminoso. Io sono una persona perbene ed è stato per me bere un calice amaro. L’ho fatto con rispetto nei confronti della giustizia, un rispetto dei confronti della Procura della Repubblica… Ora penso di cominciare la cavalcata delle primarie, finora sono stato frenato.” Queste le dichiarazioni a caldo di Vendola.
Poi parla del suo confronto con Bersani “Si è discusso del centrosinistra. Questa è la casa che io voglio contribuire a costruire. Ed è una casa in cui non c’è l’Udc, questo non è l’esercizio di un diritto di veto, è una constatazione. Casini ha fatto un altro percorso, le sue posizioni ad esempio in materia di diritti civili sono state in questi anni antitetiche e alternative a quelle che il campo progressista ha potuto rappresentare. E se Casini immagina che l’orizzonte della politica debba essere l’austerity e il liberismo da qui all’eternità è chiaro che Casini sarà un avversario e non un alleato”. E il nodo di scontro con il leader dell’Udc è sempre e ancora una volta sulle unioni di fatto. Anche ultimamente Casini, ha dichiarato di essere contrario alle unioni gay, definendole incivili e contro natura.
Apre la porta anche a Di Pietro ammesso che lui si stacchi una volta per tutte dall’Udc e poi ribadisce a gran voce : “Sono una persona perbene”
Pubblicato da tdy22 in ottobre 31, 2012
https://tuttacronaca.wordpress.com/2012/10/31/vendola-e-la-pioggia-di-dichiarazioni-dopo-lassoluzione/
Poesie e racconti: i colori della fantasia
Two sides of God (dog)
Mexico and beyond
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NON SONO ACIDA, SONO DIVERSAMENTE IRONICA. E SPARGO INSINCERE LACRIME SU TUTTO QUELLO CHE NON TORNA PIU'
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