Casco integrale e katana alla mano, così un ladro ha minacciato una cassiera al supermercato Eurospin di via Aldo Moro, a Pescara, intorno alle 14,30. Il bottino è stato di circa 300 euro e appena il malvivente si è allontanato sono scattati gli allarmi. La Questura ha immediatamente avviato le indagini, anche perché il supermercato aveva già nel mese di agosto subito una rapina in cui due persone avevano rubato 800 euro. Due furti in meno di un mese!
A seguito delle dichiarazioni dei due artificieri Vitantonio Raso e Giovanni Circhetta, che hanno raccontato come il ritrovamento della R4 dentro cui si trovava il cadavere di Aldo Moro sia avvenuto alle 11, quindi in un orario precedente rispetto quello sempre dichiarato, e hanno parlato anche della presenza dell’allora ministro degli Interni Cossiga in via Caetani, la procura di Roma ha aperto un fascicolo di indagine al riguardo che è stato affidato al pm Luca Palamara ed è connesso a quello aperto recentemente sulla base di un esposto di Ferdinando Imposimato in base al quale la morte dell’allora presidente della Dc poteva essere evitata. I due ex antisabotatori potrebbero venire convocati in tempi brevi a piazzale Clodio in veste di testimoni, considerato che il nuovo procedimento è stato avviato d’ufficio ed ha preso spunto proprio dalle notizie diffuse a proposito della loro versione che viene tuttavia smentita da Franco Alfano. All’epoca, il giornalista aveva 35 anni e lavorava per GBR. Fu lui il primo ad arrivare, assieme al suo operatore, in via Caetani, dov’era stata abbandonata la vettura. Stando alla sua versione, la Renault venne aperta dagli artificieri alle 14.
Era il 9 maggio del 1978 quando il corpo di Aldo Moro fu ritrovato all’interno di una R4 rossa in via Caetani, Roma. I primi ad arrivare sul luogo, all’epoca, furoni gli antisabotatori, che non furono mai interrogati. A raccogliere la loro testimonianza è stato proprio uno di loro, Vitantonio Raso, autore del libro “La bomba Umana” in cui vengono forniti dettagli che cambiano la storia che noi tutti conosciamo. Assieme al suo collega, il Maresciallo Giovanni Circhetta, Raso anticipa infatti l’ora del ritrovamento dell’auto, e del cadavere al suo interno, a prima delle 11. Ma la telefonata fatta dalle Br per annunciare l’uccisione di Moro e dare indicazioni su dove trovare il corpo, risale alle 12.30.
Ma non è tutto: gli artificieri arrivarono per controllare che l’auto non si trattasse in realtà di una trappola esplosiva e fu lo stesso Raso ad entrare per primo nella R4 rinvenendo così il corpo di Moro, celato sotto la coperta. Cossiga, che nelle versioni conosciute sarebbe arrivato in via Caetani poco prima delle 14, giunse in realtà poco dopo il ritrovamento e non avrebbe reagito in alcun modo alla scoperta del ritrovamento. “Quando dissi a Cossiga, tremando, che in quella macchina c’era il cadavere di Aldo Moro, Cossiga e i suoi non mi apparvero nè depressi, nè sorpresi come se sapessero o fossero già a conoscenza di tutto”, dice Raso. “Ricordo bene che il sangue sulle ferite di Moro era fresco. Più fresco di quello che vidi sui corpi in Via Fani, dove giunsi mezz’ora dopo la sparatoria”. E’ invece Circhetta che rivela un altro dettaglio: sul sedile anteriore della vettura sarebbe stata rinvenuta una lettera, che lo stesso Maresciallo si chiede dove sia finita. Dopo 35 anni, quindi, Raso chiarisce la questione degli orari, che prima, nella stesura del libro, aveva lasciata indeterminata. Il ritrovamento avvenne dunque circa un’ora e mezza prima della telefonata delle Brigate Rosse e sia Francesco Cossiga che un certo numero di alti funzionari assistettero alla prima identificazione del corpo tempo prima rispetto alle riprese di Gbr, girate a cavallo delle 14. Questo significa che Cossiga giunse due volte sul luogo del ritrovamento e dove gli sportelli lateriali della R4 furono ripetutamente aperti. Raso presenta dunque una versione diversa rispetto quanto raccontato fin’ora: “Sono ben consapevole. La telefonata delle Br delle 12.13 fu assolutamente inutile. Moro era in via Caetani da almeno due ore quando questa arrivò. Chi doveva sapere, sapeva. Ne parlo oggi per la prima volta, dopo averne accennato nel libro, perchè spero sempre che le mie parole possano servire a fare un pò di luce su una vicenda che per me rappresenta ancora un forte shock. Con la quale ancora non so convivere”. Raso non è mai stato interrogato.
L’ex giudice Ferdinando Imposimato, che indagò sulla morte di Aldo Moro, il presidente della Dc ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, a 55 giorni dal suo sequestro, ha presentato 15 giorni fa un esposto che ha dato l’avvio a un nuovo procedimento. Secondo Imposimato, le forze dell’ordine sarebbero state a conoscenza di dove si trovasse la prigione di Moro. Per valutare se esistano nuovi indizi per riaprire le indagini sulla morte del politico, è stato quindi aperto un fascicolo, senza ipotesi di reato nè indagati, dalla Procura di Roma. A darne notizia, La Repubblica.
Nel frattempo Imposimato è stato ospite della trasmissione “Un giorno da pecora”, dove ha spiegato perchè Andreotti e Cossiga sono dei ‘carnefici’ di Aldo Moro. “Questo è stato detto da tre persone, mettendo insieme tre testimonianze”, ha esordito l’ex giudice. Quali testimonianze? “Quella di Steve Pieczenik. Poi la dichiarazione testimoniale di Oscar Puddu, nome di copertura di un ufficiale dell’esercito che ha parlato di questa cosa, cioè dell’intervento di Andreotti e di Cossiga diretto a impedire al generale Dalla Chiesa di fare il blitz per liberare Moro”. Impedire? Si spieghi meglio. “Dalla Chiesa voleva andare, aveva già portato un nucleo di 9 persone del GIS dei Carabinieri, venuto da Milano. Uno dei partecipanti a questo gruppo mi ha detto queste cose”. Ma lei ci crede? “Io ci credo, sì. Comunque il procuratore della Repubblica di Roma, che è molto bravo, sta facendo le indagini e quindi accerterà i fatti. Ho grande fiducia, bisogna aspettare”. È giusto riaprire il processo, quindi? “Stanno accertando con intelligenza fatti successivi e ulteriori a quelli accertati. Si deve vedere se c’è responsabiltà di altre persone che sarebbero dovute intervenire ma non lo hanno fatto. C’è l’articolo 40 del Codice Penale, che dice che non impedire un evento che si ha il dovere giuridico di impedire equivale a cagiornalo”, ha concluso Imposimato.
E’ un governo “eccezionale”, “una mezza rivoluzione” ma rispetto ad esso non c’erano alternative “se non tornare immediatamente al voto, avendo creato un caos istituzionale maggiore oltre ad aver generato un equilibrio politico peggiore”, conferma Letta nell’intervista di Ezio Mauro a Firenze. Quello del governo “è un percorso faticoso, difficile, che si deve spiegare e raccontare”. Poi invita a fare una distinzione tra “politiche e politica”. Il governo, secondo il premier deve muoversi nell’ambito delle politiche e non della politica, perché le larghe intese non possono funzionare sulla visione politica di due opposti schieramenti, ma possono convergere su politiche d’emergenza da adottare per il bene del Paese.
A proposito della maggioranza e del governo, Enrico Letta sottolinea che “non bisogna fare nessuna pacificazione, non mi sento Togliatti nel dopo guerra, né Aldo Moro o Berlinguer: penso che il momento sia diverso e c’è bisogno che questo tentativo abbia successo”.
I risultati di governo? Letta elenca le iniziative all’attivo del governo. Dal primo maggio, quando ha iniziato a lavorare, sono già stati adottati provvedimenti su “lavoro, edilizia, ristrutturazioni, ambiente, che sono già operativi”, dichiara. E ancora “interventi in materia istituzionale, sui costi della politica”. Molte realizzazioni sono state “molto faticose”, ma “danno il segno di un cambio di passo e di aver colto il messaggio”. Veramente sotto gli occhi di tutti ci sono stati i proclami dell’azione di governo, ma sembra che poi ogni decisione sia rimasta sospesa… bastano delle piccole correzioni o serve una riforma molto più profonda? Sull’Imu non è stato ancora raggiunto un accordo, lo sgravio per i lavori di ristrutturazione interesserà solo quegli italiani che possono permettersi, in questo momento di crisi, di mettere mano al portafoglio per effettuare dei lavori, i costi della politica da una parte sono usciti e dall’altra sono rientrati, se parliamo poi d’ambiente abbiamo tutti sotto gli occhi la situazione dell’Ilva e il problema delle grandi navi a Venezia e fin quando non si risolvono questi problemi sembra eufemistico parlare di riforme per l’ambiente. In tutto questo migliaia di cittadini continuano a temere l’aumento dell’Iva…
Ma nessuna paura perché Enrico Letta ha annunciato che la cancelliera Merkel ha convocato per il 3 luglio a Berlino un incontro con tutti i ministri del Lavoro al quale parteciperà anche lui con il presidente Hollande. E ha concluso con un categorico: “Uscire dall’Europa sarebbe la fine dell’Italia”
“Aveva abitudini molto precise, e orari stressanti. Quindi la sua presenza, in termini di ore, era scarsa. Ma, in termini qualitativi, ci ha riservato un’attenzione assoluta”. Parla così di Giulio Andreotti il figlio Stefano, intervistato dalla rivista Vanity Fair. L’attenzione viene poi spostata sulla madre:è mai stata gelosa? “Non credo. Non ho mai sentito tra loro mezzo litigio. Anche quando uscì quella sua foto a braccetto con Anna Magnani, e ci furono alcune insinuazioni, la considerammo un’invenzione dei giornali. Del resto, papà era sottosegretario di De Gasperi con la delega sul cinema. Parlo di quando il cinema italiano ancora si poteva definire tale. Non come oggi, e mi riferisco a qualcosa che ha riguardato mio padre”. Al Divo di Sorrentino? “Appunto. Quel film parte da un’idea preconcetta. Perfino papà, che non era mai diretto, dopo la proiezione disse che era stata ‘una vera mascalzonata’ “. Ma al terzogenito del senatore a vita da poco scomparso non viene chiesto solo del rapporto con la famiglia, preferendo ripercorrere le tappe della sua carriera politica, parlando anche del giorno immediatamente successivo alla morte del padre, quando Umberto Ambrosoli è uscito dall’aula del Consiglio regionale della Lombardia quando si è osservato un minuto di silenzio per la scomparsa del politico. Episodio che Stefano Andreotti giustifica: “Che Umberto Ambrosoli ce l’abbia con lui è più che comprensibile. Se io sono arrabbiato per quello che è successo a papà, figurarsi lui, che suo padre lo ha visto ammazzato”. E’ lui stesso a definire “infelice” la definizione del padre, che ne parlò, in una puntata del programma La storia siamo noi dedicata all’omicidio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, come di “una persona che se l’andava cercando”.L’intervista tratta anche i processi per concorso esterno in associazione mafiosa, che Stefano andreotti così spiega: “Stava per scoppiare Tangentopoli, si voleva spazzare via un’intera classe politica. Ma mio padre non aveva mai maneggiato denaro pubblico: dovevano incastrarlo in un altro modo. Qualche mese prima che i pentiti parlassero, Gerardo Chiaromonte, politico comunista, lo chiamò per avvisarlo della trappola che gli stavano tendendo. Che tragedia: mia madre ha sofferto di depressione e ancora oggi ne porta il segno. A 92 anni, soffre di una malattia degenerativa. Non si è neppure resa conto della scomparsa di papà”. Ma racconta anche di quello che provò il padre in quei frangenti, lui che all’esterno sembrava freddo: “In realtà soffrì moltissimo. Lo trovavo il sabato mattina sulla poltrona a dormire – lui che non dormiva mai – imbottito di psicofarmaci per stare tranquillo. La fede l’ha aiutato: diceva che era una prova da superare per quello che aveva avuto, doveva scontare qualche peccato”. Il discorso cade anche sui giudizi, pesanti, che Aldo Moro scrisse nei diari del sequestro. “Tra mio padre e Moro potevano esserci state divergenze, ma i rapporti erano stati ottimi. Appena si seppe che Moro era stato sequestrato, chiamai papà: era sconvolto. Chi arrivò a ipotizzare che dietro quel rapimento ci potesse essere Andreotti non sa di che cosa parla. A noi figli, papà disse chiaramente che al posto di Moro ci poteva essere lui. Secondo lui, avevano scelto Moro solo perché abitava in Via Fani, una posizione che garantiva una via di fuga più agevole”. Huffington Post ha poi raggiunto Umberto Ambrosoli, che ha preferito non tornare sull’episodio menzionato dal figlio del senatore a vita e da lui ridimensionato come “una frase oltremodo infelice, che mio padre però ha subito rettificato, e che soprattutto ha pronunciato quando non era ormai lucido.” “Preferisco non commentare, stiamo parlando di una persona che fa valutazioni legittime sul piano personale ma non mi sembra il caso di aggiungere altro. Ho visto il video di quell’intervista, l’ho visto integralmente e mi sono fatto un’idea, e tale rimane. In ogni caso – conclude Ambrosoli – apprezzo la comprensione manifestata da Stefano Andreotti”
35 anni fa moriva Aldo Moro. Il Capo dello Stato si è soffermato qualche minuto in raccoglimento in via Caetani, nel luogo dove fu rinvenuto il corpo dello statista Dc e poi, forse ispirato da quei palazzi così vicini, che, una volta, erano il simbolo della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista, ha accomunato insieme tutti i Palazzi delle Istituzioni e ha affermato”Basta chiamare questi palazzi i palazzi del Potere. Sono invece i «Palazzi della sovranità popolare… A partire da quest’anno ho voluto che la cerimonia si dislocasse anche in altri luoghi istituzionali come il Senato e vorrei che la si smettesse di identificarli come i “Palazzi oscuri del potere”. Se il Quirinale è stato definito dal mio augusto predecessore ‘la casa degli italiani’ vorrei che questi palazzi venissero considerati i luoghi della sovranità popolare, i palazzi della democrazia»
E un po’ difficile Sig Presidente… Se infatti gli Italiani possono ancora identificarsi con il Quirinale è impossibile, invece, trovare traccia di qualunque sovranità popolare in quei luoghi perennemente occupati da chi lo ha fatto per inconfessabili e molto poco sconfessati motivi personali.
E a testimonianza del sospetto “che tutto cambia per non cambiare nulla” sono giunte le parole del Presidente del Senato che, nel suo intervento, dopo aver giustamente sottolineato l’impegno dello Stato a contrastare ogni forma di eventuale terrorismo, ha aggiunto “Moro divenne la vittima simbolo di un sistema, fu la tragedia non solo della perdita di un alto rappresentante delle Istituzioni ma di tutto il Paese” e poi “Io, quale rappresentante delle istituzioni, mi sento oggi responsabile di un sistema giudiziario che non seppe trovare in tempo quelle verità che avrebbero reso giustizia. La verità oggi è nota e gli assassini sono rei confessi. Mai più succeda che la giustizia sia negata»
Ma come fa l’ex Magistrato, oggi 2° carica dello Stato a non esprimere neanche una parola di chiara condanna a quel “sistema” aggrovigliato e complesso che fu il responsabile, nel suo lungo sonno della ragione della creazione dei mostri e poi tranquillamente affermare “La verità oggi è nota e gli assassini sono rei confessi?” In questo stile omissivo e di silenzio nei confronti della verità non si può ricompattare l’Italia… Come si fa ad dire che giustizia è stata fatta? Davvero ci si vuole ancora far credere che i colpevoli siano stati soltanto quel gruppo di dubbi ideologi, forse manovrati o forse solo isterici aspiranti a un analogo contropotere, visto che da quello ufficiale ne erano esclusi.?
Molto si è parlato di Moro come del più autorevole esponente politico che stava lavorando a un governo di “solidarietà nazionale” con il PCI, a cui si dava accesso nella maggioranza… Non abbastanza, invece, sono state sottolineate, o forse strada facendo ce le siamo dimenticate, le resistenze, quelle si piene di terrore, delle componenti internazionali… L’Unione Sovietica aveva seri motivi di preoccupazione perché rischiava, nel coinvolgimento del P.C. al governo, di perdere l’opposizione all’America da parte del più forte Partito Comunista dell’Occidente… L’America, dal canto suo, guardava con all’allarme l’ingresso nell’ufficialità di personaggi legati a filo doppio al Partito Comunista Sovietico che, da quel momento avrebbero avuto accesso alle più segrete strategie della NATO contro il blocco Orientale…
Molti forse hanno pensato che togliere Moro di torno, avrebbe significato anche allontanare lo spettro dei Comunisti, una volta così lontani e ora così vicini… Avevano provato a estromettere Moro con l’infamia, la più classica delle modalità democristiane e lo avevano accusato di essere lui il destinatario delle tangenti dell’Affare Lockheed, per l’acquisto degli aerei militari F 130… E’ lui, dicevano gli untori, Antilope Cobbler, il nome in codice dell’alto personaggio corrotto… Non è forse lecito il sospetto,da parte dell'”ignorante”uomo della strada che, il tiro contro Moro, si sia alzato dopo che erano falliti i tentativi “con le buone maniere”?
E, a proposito di dettagli su quello spaventoso sequestro, di chi era la voce tedesca di qualcuno che stava in mezzo ai rapitori? Davvero presidente Grasso i colpevoli sono tutti rei confessi e soprattutto completamente ritrovati? O forse qualcuno è andato perduto?
Della trattativa per liberare Moro si fa persino fatica a parlarne… Come mai uno Stato che ha trattato con quelli di Cosa Nostra – e su questo ci sono pochi dubbi in proposito – ha opposto una chiusura totale al sia pur esile tentativo di aprire una trattativa?
Signor Presidente della Repubblica, indubbiamente Lei fa quello che può e noi tutti la ringraziamo per le corone e i ricordi di Aldo Moro, ma la vera commemorazione per lo statista è solo la verità e poichè questo non sarà possibile, quelli che lei ha citato, per gli italiani sono destinati a rimanere solo “Gli oscuri palazzi del Potere.”
Appartiene al suo sorriso
l’ansia dell’uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po’ d’attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.
(Peppino Impastato)
Parlare di Peppino Impastato non è facile. Chiunque ci ha provato ha raccontato una “propria” verità che non è mai la Verità. Quella verità che è rimasta custodita nella vita strappata a Impastato.
I miei occhi giacciono
in fondo al mare
nel cuore delle alghe
e dei coralli.
(Peppino Impastato)
Un uomo che nasce dentro la mafia, la respira in casa dove il padre Luigi è inviato al confino durante il periodo fascista per attività mafiose. Dove lo zio e altri parenti erano mafiosi ed il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella,morto nel 1963 in un agguato. Mafia per Impastato è la vita quotidiana. Mafia è l’incubo a cui si sottrae quando, ancora ragazzo, decide di rompere con la sua famiglia… lui con quella gente non ha nulla da condividere, non sono sue quelle radici.
Oggi parlare di Impastato è cadere nell’ovvio. Ogni parola che si può dire è già stata spesa ampiamente intorno a questa figura. Un personaggio spesso assunto a simbolo, messo su un piedistallo e osannato, ma a cui ancora oggi, nessuno ha voluto dare veramente giustizia. Sono troppe le ombre sul delitto di mafia e a distanza di 35 anni i conti non tornano. Sono troppe le omissioni, sono troppe le incongruenze… le carte sparite, i testimoni scomparsi. Si continua a idolatrare una persona forse per continuare a sviare ancora una volta la verità? Impastato forse non ha bisogno di essere osannato, ma ha la necessità di poter vedere dissipare ogni dubbio intorno alla sua morte. La memoria non basta se la obnubiliamo di troppe parole e troppe sono state spese senza dare chiarimenti sul caso Impastato. Ogni volta che qualcuno ha tentato di spezzare la catena e andare a fondo è stato fermato o dalle minacce o dalle querele. Simbolo della lotta contro la mafia, ma forse nonostante sia fuggito sin da ragazzo c’è chi poco a poco si è rimpossessato di lui… un martire a cui viene negata la verità. E forse questa è ancora una volta l’ennesima vittoria mafiosa.
Quando mai la mafia ha avuto bisogno di “allestire una scena del crimine”? Il discredito non è il perno intorno a cui si muove la mafia… quando l’uomo d’onore disonora non c’è giudizio da dare, si leva di mezzo e basta… non si deve dimostrare che era un “terrorista”, la mafia non ha interesse a dire “lo abbiamo dovuto fare perché era pericoloso”, non ha bisogno di altre legittimazioni al di fuori del terrore, dell’ignoranza e della povertà. Il discredito di una persona si usa in politica, in amministrazione… nei poteri forti dello Stato, dove al colpo di pistola si sostituisce la macchina del fango. Nell’omicidio impastato si hanno entrambi gli elementi prima ti uccido e poi ti faccio apparire come un “nemico del popolo”.
Perchè quindi non iniziare a pensare che Impastato dava sicuramente molto fastidio alla mafia ma anche ad altri poteri? Un processo condotto con approssimazione, senza leggere la documentazione… Magistrati e carabinieri che lavorano alacremente per coprire un boss importante come Tano Badalamenti, il re della droga? Solo e unicamente per lui vengono inquinate le prove, sviate le investigazioni ed emesso un giudizio che non ha nessuna “pezza d’appoggio” per avere una validità? Solo per Tano Badalamenti viene fatto passare Impastato per un ragazzo “morto sul lavoro” mentre metteva bombe?
Poi i tempi cambiano per Tano Badalamenti ma non per i poteri forti! Così Badalamenti va in carcere e il caso Impastatorimane avvolto nella nebbia. Vogliamo seguitare a farne un santino o gli riusciremo a dare dignità facendo emergere quella verità che ancora è sepolta?
C’è chi in Italia, con dignità e senza polemica, si allontana in silenzio invece di gridare la sua rabbia e la sua verità. Nel giorno del Divo Giulio, Umberto Ambrosoli, figlio dell’Eroe Borghese, come venne definito nel libro di Stajano, lascia l’aula del consiglio regionale della Lombardia mentre è in corso la commemorazione di Andreotti.
”Ho una storia personale che si mischia” coi lati oscuri di quella di Andreotti, “ma non è il caso di fare polemiche: è giusto che le istituzioni ricordino gli uomini delle istituzioni, ma chi ne fa parte faccia i conti con la propria coscienza. E’ comprensibile – ha aggiunto Ambrosoli – che in occasione della morte di persone che hanno ricoperto ruoli istituzionali di primo piano le istituzioni le commemorino. Ma le istituzioni sono fatte di persone, ed è legittimo che queste facciano i conti con il significato delle storie personali”.
Quella storia che si ferma l’11 luglio del 1979 quando Giorgio Ambrosoli stava rincasando dopo una serata trascorsa con amici e lì sotto il suo portone il sicario William Joseph Aricò esplose quattro colpi con una 357 Magnum. Aricò venne pagato 25mila dollari in contanti da Sindona e poi ci fu anche un bonifico di altri 90mila dollari su un conto bancario svizzero. Chi aveva messo in contatto Aricò con Sindona? Il suo complice Robert Venetucci, un trafficante di eroina legato a Cosa Nostra americana. Nei pedinamenti che Aricò compì a danno di Ambrosoli per mettere a punto ogni piccolo particolare fu accompagnato da Giacomo Vitale, l’autore delle telefonate anonime, cognato del boss Stefano Bontate che era in collegamento, come confermato dall’istruttoria e dalle sentenze del maxi processo di Palermo, con l’allora ministro della Difesa, Giulio Andreotti.
Per Ambrosoli non ci fu nessuna autorità pubblica che presenziò ai suoi funerali, eccezion fatta di alcuni esponenti della Banca d’Italia. Ma i politici di allora non sono poi così diversi da quelli di oggi… Non avere istituzioni al funerale significa solo essere morto in nome e per conto del Popolo Italiano e non del sistema politico corrotto e colluso con l’organizzazioni criminali.
Il gesto di Umberto Ambrosoli oggi è in linea con il gesto di quell’Eroe Borghese morto per non “assecondare”, per non “collaborare” e per “non confondersi” con chi oggi le istituzioni piangono.
Il tempo passa, i nomi cambiano, i crimini verso il Popolo Italiano restano gli stessi, quelli di sempre con modalità diverse, ma sempre tesi a difendere privilegi e potere, mai volti ad aiutare i cittadini… Un governo al servizio del potere?
“Il giudice Giovanni Falcone si reco’ dal senatore Andreotti in compagnia dell’europarlamentare Salvo Lima. Come puo’, quindi, Lima essere accusato di ‘mafiosita’?” Si apre così la difesa di Andreotti da parte di Pomicino, contro il tribunale capeggiato, in studio, dal direttore de il Fatto Padellaro. “Incontrai Falcone a Roma proprio davanti all’ufficio di Andreotti – dice Pomicino – mentre era in compagnia di Lima. Vi si era recato – era il 1989 – per spiegare ad Andreotti le ragioni per le quali aveva denunciato un democristiano per via dell’omicidio Mattarella”.
Una versione tutta nuova rispetto a quella che lo stesso Pomicino dichiarò nel 2002 e ripresa spesso dall’avvocato di Andreotti Franco Coppi, secondo cui la strana visita serviva a “chiedere aiuto per lasciare Palermo”
Cirino Pomicino che cambia versione, poi arrivano le lacrime. Un pianto per il suo amico di una vita. Quel Giulio a cui chiedere consiglio (e non solo) e quel “santo” a cui appellarsi sempre. Ma fino a quando dovremo assistere al protagonismo di vecchie leve politiche, spesso con passati imbarazzanti che continuano a cercare il protagonismo in tv, radio e ogni occasione pubblica per sentirsi ancora addosso quell’ “odore di potere” ormai perso da troppo tempo?
Forse arriverà un giorno che ci rimpiangeremo Andreotti?
Che ne sarà dell’archivio segreto del Divo Giulio?
Ora che Andreotti è morto a chi andrà in eredità l’Archivio Segreto dell’eminente politico italiano? Ognuno di quei 3500 faldoni racchiude una storia, una verità o un mistero. Già nel 2007 erano stati considerati “di interesse storico particolarmente rilevante” e sono stati trasferiti da via Borgognona, 47 in via delle Coppelle, 35 nel Palazzo Baldassini. Solo l’Ansa ha avuto il permesso di fotografarli e di visitarli nel caveau blindato dell’Istituto Don Sturzo. C’è oggi qualcuno che trema? Qualcuno che vuole metterci le mani sopra? Qualcuno che vuole manometterli? Chi sono i nomi che ricorrono in quei faldoni?
C’è al momento un progetto, il cosidetto Giuli.a, per rendere fruibile quella documentazione attraverso moderne forme di comunicazione. Ma sarà tutto fruibile o il materiale sarà scelto accuratamente?
Flavia Nardelli, dell’istituto Luigi Sturzo dichiarò all’Ansa, al momento della presentazione del progetto “Giuli.a”, sull’archivio segreto di Giulio Andreotti, dichiarò all’Ansa: “L’Archivio Andreotti rappresenta un punto di grande forze per l’istituto e per noi è stato un grande onore quando il Presidente ha deciso di depositarlo e di donarlo all’istituto. È un archivio straordinariamente grande perché è fatto di 3.500 faldoni, quando normalmente un archivio medio è fatto di 500-600 faldoni e già questo fornisce un’idea della dimensione di questo archivio. Il suo archivio è molto ricco di carte, documenti, lettere, fotografie, interviste e l’interesse è proprio nella complessità di queste fonti che costruiscono dei percorsi particolarmente significativi.”
Naturalmente tra le sezioni più significative dell’archivio segreto vi è quella della politica estera che potrebbe chiarire molti misteri della storia italiana. Si va da un faldone con sopra scritto “Libano”, “Viaggio in Asia” o “Ebrei”.
Ci sono testimonianze dei rapporti tra Occidente e Est-Sovietico negli anni della Guerra Fredda come quando Giulio Andreotti invitò Andrei Gromyko, un potente sovietico ministro degli Esteri russo, a ripensare al boicottaggio di Mosca nei confronti delle Olimpiadi di Los Angeles. Foto di visite ufficiali con i potenti esteri, immagini di bombardamenti, visite di altri politici come Craxi in Cina: il divo Giulio Andreotti conserva tutto, dalle pietanze dei menù consumati all’Estero, al programma della crociera. Ci sono anche ricordi personali come il diario scolastico del bambino Andreotti della quarta elementare della scuola Diaz di Milano risalente al 1928 dove racconta dell’attentato al Re del 16 aprile del 1928, in cui morirono 16 persone in piazza Giulio Cesare.
Il progetto a cui si mira è un archivio digitale che permetta di cercare in modo guidato, attraverso alcune parole chiave, i contenuti di proprio interesse attraverso l’interazione con il sistema. Possiamo davvero aspettarci una specie di wikileaks all’italiana?
I giudizi su Andreotti non possono essere unanimi… Una figura dai molti lati oscuri e soprattutto troppe conoscenze legate al mondo della criminalità organizzata. Un credente poi, di quelli più intransigenti, che si battono il petto ogni giorno dell’anno, ma che sanno anche fare compromessi. Ma come è stata presa la notizia della morte di Andreotti in Italia?
Giorgio Napolitano: “Sulla lunga esperienza di vita del senatore Giulio Andreotti e sull’opera da lui prestata in molteplici forme nel più vasto ambito dell’attività politica, parlamentare e di governo, potranno esprimersi valutazioni approfondite e compiute solo in sede di giudizio storico”. Poi il Presidente della Repubblica ha inviato il saluto alla famiglia Andreotti “A me spetta in questo momento rivolgere l’estremo saluto della Repubblica a una personalità che ne ha attraversato per un cinquantennio l’intera storia, che ha svolto un ruolo di grande rilievo nelle istituzioni e che ha rappresentato con eccezionale continuità l’Italia nelle relazioni internazionali e nella costruzione europea”. Esprimo alla gentile consorte signora Livia e a tutti i familiari la mia vicinanza e sentita partecipazione al loro cordoglio, anche nel ricordo dei rapporti di collaborazione istituzionale e personali che intrattenni con lui in diversi periodi della vita nazionale”.
Enrico Letta, Presidente del Consiglio dei Ministri: ”Protagonista della democrazia italiana sin dalla nascita della Repubblica dopo i traumi della dittatura e della guerra, ininterrottamente presente nelle istituzioni e nelle assemblee rappresentative, con lui se ne va un attore di primissimo piano di oltre sessant’anni di vita pubblica nazionale. Alla famiglia le sentite condoglianze personali del presidente del Consiglio e del governo tutto”. E Letta sarebbe il Presidente che guida il Governo del cambiamento e delle riforme? Colui che compiange Andreotti?
Romano Prodi: “Esprimo le mie più sentite condoglianze ai familiari del presidente Giulio Andreotti. Con lui scompare uno statista che ha segnato le fasi più importanti della storia politica e istituzionale del dopoguerra”. Per fortuna che non è diventato Presidente della Repubblica, altrimenti avremmo avuto anche i funerali di Stato e la camera ardente.
A Prodi fa eco Giuseppe Ciarrapico: “Un amico affettuoso e un grande statista… Abbiamo condiviso una vita”, compresi “i momenti terribili, quando la Procura di Palermo si scatenò contro di lui e io testimoniai in Aula per più di un’ora.”
Clemente Mastella: “Quando feci il ministro chiesi un consiglio ad Andreotti e Cossiga. Andreotti, davanti ai miei dubbi, mi disse che avevo il dovere di andare a eliminare la contrapposizione tra magistratura e politica, aggiungendo che il consiglio veniva da chi aveva sofferto moltissimo… Sono abbastanza commosso. Lui stette a casa mia durante la festa di Telese e colpì i giovani in modo fascinoso. Il cinismo di Andreotti, le voci sui suoi archivi, i ricatti sinceramente sono aspetti che non ho mai avuto occasione di constatare, anzi io con Evangelisti ho fatto da cerniera ai tempi della segreteria De Mita e quando c’erano motivi di tensione, io facevo da mediatore”.
Renato Brunetta: “Credo che ad Andreotti, nella diversità di idee e di temperamento, chiunque ami la politica e l’Italia, debba in queste ore inchinarsi davanti alla sua memoria. Giulio Andreotti, senatore a vita, sette volte presidente del Consiglio, membro del Parlamento repubblicano sin dalla prima seduta è stato una personalità di eccezionale rilievo nella vita politica italiana e internazionale. In questa giornata di emozione vorrei ricordarlo in due momenti diversi. Quello iniziale, allorchè, collaborando con De Gasperi, ha al suo seguito esaltato la capacità del nostro Paese di risorgere dalle macerie del dopoguerra. E quello finale, quando con dignità ha dovuto sopportare una amara vicenda giudiziaria, da cui è uscito vincitore ma ferito”. E Brunetta siede nei banchi dei parlamentari che hanno dato la fiducia al Governo di Servizio al popolo e di riforma? Qualcuno che rimpiange Andreotti che cambiamenti può fare per gli italiani?
Ferdinando Casini: “La mia è una riflessione reazione da amico perché l’ho conosciuto Andreotti tanti anni fa. Da giovane ho seguito un grande partito, la DC, di cui Andreotti è stato sempre un punto di riferimento. Era molto ammalato e tutti sapevamo la sua condizione di estrema gravità. È stato un grande personaggio, uno statista di cui si è parlato bene e male alternativamente e la storia gli darà un giudizio più serio di quanto i suoi detrattori gli hanno dato in vita”. Quanti amici di Andreotti abbiamo in Parlamento?
Schifani: “Scompare simbolo della nostra vita democratica. Un uomo che è stato capace, con alto senso dello Stato e con un’intelligenza non comune, di segnare tanti momenti fondamentali delle nostre istituzioni. Sono vicino ai suoi familiari in questo momento di dolore, anche a nome di tutti i senatori del Popolo della Libertà”.
Unione Monarchica: “Uomo di Stato, dichiarò di aver votato Monarchia al referendum.” In caso uomo di Monarchia!
Adesso che avrà a che fare con Dio, chiederà un posto
E’ morto alle 12.25, nella sua abitazione romana, uno dei protagonisti della vita politica italiana della seconda metà del XX secolo: Giulio Andreotti, uno dei principali esponenti della Democrazia Cristiana. Nato a Roma nel 1919, Andreotti ha rivestito per sette volte la carica di Presidente del Consiglio dei ministri ed è in seguito stato nominato senatore a vita. Ha anche ricoperto il ruolo di ministro della Difesa, degli Esteri, delle Partecipazioni Statali, delle Finanze, del Bilancio e dell’Industria, del Tesoro, dell’Interno, dei Beni Culturali nonché delle Politiche comunitarie. Dal 1945, la sua presenza nelle assemblee legislative italiane è stata una costante.
Nel 2003 la Corte d’Appello di Palermo l’ha giudicato per concorso esterno in associazione mafiosa: assolto i per i fatti successivi al 1980, per quelli anteriori, per i quali era sopravvenuta la prescrizione, è stato dichiarato il non luogo a procedere.
Andreotti ha svolto funzione di Presidente del Consiglio del governo di “solidarietà nazionale” durante il rapimento di Aldo Moro, che aveva conosciuto negli anni in cui ricopriva l’incarico di l’incarico di direttore di Azione Fucina (la rivista degli universitari cattolici), proprio mentre Aldo Moro assumeva la presidenza dell’associazione.[8] Quando nel 1942 questi fu chiamato alle armi, Andreotti gli successe nell’incarico di presidente, incarico che mantenne sino al 1944:“Con Moro ci conoscevamo fin dai tempi della Fuci, lui era presidente, io dirigevo l’Azione fucina, e quando lui lasciò la carica presi il suo posto. Quindi una dimestichezza che risaliva a prima della politica. […] ho sempre avuto con lui una relazione molto facile, proprio perché c’era questo legame universitario.”
Ma Andreotti, nella sua lunga attività, ebbe anche rapporti con Carlo Alberto Dalla Chiesa, Michele Sindona e Licio Gelli e fu sicuramente uno dei politici italiani più conosciuti, ma anche tra i più discussi.
Era il 4 aprile 1978 quando, su Rete 2, debuttò la serie animata che ha segnato il cambiamento più profondo nella storia della televisione italiana. Sono gli anni di piombo, telegiornali e quotidiani propongono notizie giorno per giorno sempre più allarmanti e drammatiche. Le Brigate Rosse impazzano e importanti personaggi politici come Aldo Moro vengono sequestrati, le stragi si susseguono in tutto il Paese e Bologna piange le sue vittime del 2 agosto, la cronaca è sempre più nera e l’eroina miete sempre più giovani vittime come racconta Cristiane F. nel suo “Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”. La droga si diffonde perchè i giovani sono delusi dal mondo in cui vivono, sono senza aspirazioni o sogni che li aiutino a credere in qualcosa per cui lottare e impegnarsi. Serve qualcosa che li smuova, servono novità ed innovazioni che dettino il nuovo passo rispetto ai programmi semplici ed edulcorati che fino al 1978 riempivano il palinsesto della “tv dei ragazzi”. Si deve allora ringraziare Nicoletta Artom che, ad una mostra-mercato dedicata ai programmi televisivi, scopre casualmente Goldrake e fa pressione ai dirigenti Rai per trasmetterlo. Quel 4 aprile 1978, dopo alcune revisioni, il primo grande eroe giapponese giunto in Italia fa la sua prima apparizione con il nome che la Rai, all’epoca, sceglie per lui: Atlas Ufo Robot. E’ stato il primo a mostrare ai giovani che si possono affrontare e vincere le difficoltà della vita senza mai arrendersi nè perdere la fiducia in sè stessi. Il resto… è storia!
Forse è una bella favola, forse è un’utopia, forse è solo una leggenda metropolitana… Ma potremmo davvero mettere le mani sui “segreti di stato”? verrà il giorno in cui potremo dare una risposta a
Portella della Ginestra, alla bomba senza artificieri di Piazza Fontana, alla strage di Brescia, a quella della stazione di Bologna, alla strage dell’Italicus, all’omicidio di Aldo Moro, a quello di Mauro De Mauro, alla morte di Ilaria Alpi e di Mauro Rostagno. A Pier Paolo Pasolini massacrato di botte da mani oscure e all’aereo del presidente dell’Eni Enrico Mattei. E poi a un altro aereo, quello caduto su Ustica senza un perché. All’ombra di Stay Behind dietro la strage di Alcamo Marina, agli apparati, ai servizi e ai boss che confezionano il botto in via d’Amelio, all’agenda rossa di Paolo Borsellino e alla scomparsa di Emanuela Orlandi, alla strage degli innocenti in via dei Georgofili. E poi a quella di Brindisi, alla scomparsa troppo presto dalle pagine dei quotidiani. Dipanare il filo rosso delle stragi irrisolte di questo Paese fa quasi impressione. Fa impressione soprattutto perché i botti senza colpevoli che hanno insanguinato la storia italiana sono molto più diffusi di quelli che hanno poi trovato ricostruzioni credibili nelle aule di tribunale.
Uno dei problemi di questo Paese è che non c’è ad oggi una narrazione condivisa della Storia italiana. A ben pensarci di storie d’Italia ne esistono più di una: una ufficiale, una ufficiosa e presunta, ed un’altra – la più importante – fatta di dubbi, domande e oscuri interrogativi. Tutte questioni alle quali hanno provato a dare una risposta inchieste giornalistiche e storiche. Ma quando si tratta di trovare il bollo di autenticità in un’aula di giustizia quei dubbi rimangono fermi e cristallizzati. Solo per fare un esempio, ci sono voluti 50 anni esatti perché un giudice terzo mettesse nero su bianco che l’aereo di Enrico Mattei non era caduto per un incidente ma era stato sabotato.
Eppure in questo Paese un sancta sanctorum delle verità occultate potrebbe anche esserci. Sono gliarchivi dei servizi, che troppo spesso hanno giocato molteplici e controversi ruoli sullo sfondo delle stragi. La procura di Palermo, indagando sulla scomparsa del giornalista dell’Ora Mauro De Mauro, chiese ai servizi di produrre i fascicoli delle operazioni messe in atto dal Sid (l’allora servizio informativo della difesa) nel periodo della scomparsa del cronista. “Il Servizio informazioni della Difesa ha comunicato di non aver svolto alcuna indagine sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro” fecero sapere gli 007 su carta intestata del Ministero della Difesa. Eppure più di un testimone aveva raccontato di come l’allora capo del Sid Vito Miceli si fosse precipitato a Palermo nel novembre del 1970 per ordinare di insabbiare le indagini sulla scomparsa di De Mauro. Forse di quelle operazioni non esistono fascicoli o prove scritte. Forse non esistono più. O forse semplicemente non verranno mai fornite ad una procura.
Adesso però si parla di una possibile presidenza del Copasir al Movimento Cinque Stelle. Un’ipotesi che sembra atterrire alcuni commentatori di indubbia autorevolezza. “Ma come? I grillini a guardia della sicurezza della Repubblica?” Forse in questo modo scopriremo davvero il volto dell’Italia celato dai troppi segreti di stato!
”Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel 35° anniversario del rapimento di Aldo Moro, ha disposto la deposizione di una corona di fiori in via Mario Fani dove le Brigate Rosse sequestrarono l’allora Presidente della Democrazia Cristiana uccidendo cinque agenti della sua scorta”. E’ quanto si legge in un comunicato della Presidenza della Repubblica.
Da una parte, c’era il Monte dei Paschi di Siena che garantiva “sconti” a mutui e conti correnti per Pd, Cgil e Arci. Dall’altra, e lo rivela c’era la Fondazione Mps che elargiva finanziamenti alle più svariate associazioni ed enti: 10 mila euro all’Accademia di studi storici Aldo Moro di Roma,30mila all’associazione Audax Randonneur di Parabiago per “la creazione di una rete stradale a elevata ciclabilità”; 10mila all’associazione “amici del Guatemala” di Siena; 20mila all’associazione “amici onlus” di Roma per “la realizzazione della Baobab University college in Ghana”; 20mila per la progettazione e l’allestimento di mostre al Meeting di Cl a Rimini; 30mila alla Fondazione Etica di Brescia (presieduta dall’avvocato Gregorio Gitti, genero di Giovanni Bazoli e candidato nella lista Monti alle prossime elezioni) per “la costruzione di un indice di sostenibilità della Pubblica amministrazione”; 10mila alla Fondazione “Alcide De Gasperi” presieduta da Franco Frattini, per la pubblicazione dei “quaderni degasperiani”; 50mila alla fondazione San Raffaele Monte Tabor di Milano, per “lo studio prospettico comparativo tra prostatectomia radicale nerve-sparing versus laparoscopica” e poi soldi ai circoli Arci di mezza Toscana, a botte di 20-25mila euro ciascuno, associazioni operaiste, bande musicali e associazioni sportive… Un giro d’affari che sembra esser andato a far beneficienza direttamente nelle tasche dei politici che attraverso Fondazioni e Associazioni per l’Africa in realtà ottenevano finanziamenti a pioggia e sconti sui mutui. Una storia tutta italiano e uno scandalo che sta allargandosi a dismisura.
Mercoledì 27 febbraio nuovo appuntamento con “Mistero” in prima serata su Italia 1. Il “confidente segreto” di “Mistero” rivela cheMoana Pozzi, grazie ai rapporti intrattenuti con i servizi segreti, era al corrente di risvolti inediti sul rapimento di Aldo Moro.
Ancora servizi su Moana on nuove scottanti rivelazioni. Eva Henger racconta che il fratello di Moana, Simone, in realtà non era figlio della pornostar come nel 1999 era stato svelato, bensì il figlio di sua sorella Tamiko, in arte Baby Pozzi. Dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, Mistero si occupa della vita e delle opere d’ingegno di Leonardo da Vinci, un uomo che conosceva già il futuro dell’umanità. Infine, con l’aiuto di una sensitiva, Mistero tenta di fare chiarezza sulla morte di Serena Mollicone, uccisa a soli 18 anni ad Arce nel 2001.
*A day in the life of the Vixen, a blog about EVERYTHING & ANYTHING: Life advice, Sex, Motivation, Poetry, Inspiration, Love, Rants, Humour, Issues, Relationships & Communication*