
Il Sahara non è un territorio sicuro eppure c’è chi è disposto ad attraversarlo e mettere a rischio la propria vita pur di avere stipendi elevati. Così i giovani maliani trasportano in quel deserto la cocaina e fanno guadagnare soldi ai terroristi di Al Qaeda. Ora Mohamed, un 31enne musulmano ha rilasciato un’intervista al Guardian dove racconta la sua esperienza.
All’inizio Mohamed fu assoldato per il contrabbando di sigarette “Non sapevo che il traffico di sigarette fosse illegale, qui tutti fumano e non mi sembra così grave”. Ben presto però gli fu chiesto di portare cocaina “Quando ho iniziato a trasportare la cocaina, sapevo invece che fosse sbagliato. Io sono un musulmano.” E se è vero che i rischi sono maggiori e che la consapevolezza di trasportare un’ “arma” che mina la salute, a volte in modo irreversibile, a volte diventa un peso insostenibile nella coscienza di un musulmano, è anche vero che i guadagni sono ottimi. “In passato venivo pagato circa 100 mila franchi per ogni viaggio”. Una cifra irrisoria rispetto al milione di franchi che può guadagnare con la droga. Ma quanti sono i giovani maliani che fanno questo mestiere? La percentuale tra i giovani è elevatissima anche perchè nel Mali non vi sono fonti di guadagno, la disoccupazione giovanile è altissima e le alternative non ci sono. Come afferma lo stesso Mohamed “E’ stata dura, ma non avevo altra scelta”.
Quali sono le vie della cocaina?
I percorsi non sono prestabiliti, vige solo la regola del non fermarsi. “Bisogna arrivare il più rapidamente possibile, si mangia cibo in scatola e si prepara il tè in macchina”. Attraverso il deserto, ogni anno, secondo le stime delle Nazioni Unite, passano circa 18 tonnellate di cocaina, pari a un valore di 1,25 miliardi di dollari. La maggior della droga viene dal Sudamerica, in particolare dalla Colombia, dal Perù e dalla Bolivia e viene trasportata in Africa Occidentale attraverso jet privati, barche da pesca e navi mercantili attraverso l’ ““Highway 10”, cioè il decimo parallelo.
“Il ruolo degli islamisti di Al Qaeda – che controllavano il Nord del Mali prima di essere cacciati dalle truppe franco-maliane nel conflitto bellico di inizio anno – rischia di destabilizzare la regione, dato il potenziale del commercio illegale di droga”, sottolinea il quotidiano britannico. Se in principio il commercio era dominato soprattutto dai tuareg, l’arrivo nell’area di Al-Qaeda ha sconvolto l’area.
C’è chi ricorda ancora l’incidente del 2009 del “Cocaine Air”: un Boeing 727 che si riteneva trasportasse fino a 10 tonnellate di cocaina è stato ritrovato bruciato nel deserto del Mali. Nel 2010, fu invece un commissario di polizia del Mali ad essere stato condannato per aver tentato di costruire una pista d’atterraggio per sbarchi futuri. Nello stesso anno, è stata la Serious Organised Crime Agency del Regno Unito a riferire come un aereo proveniente dal Venezuela fosse atterrato in Mali. E come il suo carico fosse stato trainata da veicoli 4×4 a Timbuktu, prima che le autorità perdessero traccia del convoglio. Ritrovare i veicoli che trasportano la coca in mezzo al deserto è molto complicato: lo ha ammesso anche Pierre Lapaque, rappresentante dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine . “E’ un enorme pezzo di sabbia dove si può facilmente attraversare le frontiere senza saperlo”. Gran parte della polizia di questi paesi poi non è addestrata per il traffico di droga e spesso è corrotta e complice dei trasportatori.
Mohamed conferma al Guardian come i trafficanti siano molto attrezzati e ben organizzati: “Una volta abbiamo aspettato di raccogliere i pacchi di droga in una località nel deserto che prende il nome di “al-Hanq”, ha spiegato. Spiega come la droga viaggiasse a bordo di cammelli senza guida, addestrati per fare sempre lo stesso percorso senza essere sfamati. “Ai cammelli veniva dato da mangiare soltanto quando raggiungevano al Hanq: così imparavano pian piano a fare quel percorso senza bisogno di avere una guida”, svela. E poi ci sono i veicoli di ricognizione, che viaggiano senza droga e avvertono i trafficanti nel caso di problemi. Certo, non mancano i rischi: Mohamed spiega di aver abbandonato l’attività dopo che il suo convoglio era stato attaccato da alcuni banditi armati. “Ci eravamo fermati per riparare un problema con la macchina, quando un’auto ha cominciato a sparare contro di noi”, ha rivelato. “Tutti i miei colleghi sono stati uccisi, ma io sono riuscito a fuggire”, ha concluso.
Ma Mohamed è il primo ad affermare che le cose che racconta sono sotto gli occhi di tutti, ma a Timbuktu il governo pur essendo pienamente consapevole dei traffici, non interviene.
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