
Buone notizie per l’Italia? Non proprio!
L’Ocse scrive che in Italia “é impossibile per il momento ridurre in modo significativo il livello complessivo dell’imposizione”, ma l’eliminazione delle agevolazioni fiscali senza giustificazioni economiche permetterebbe di aumentare la base imponibile e quindi ritoccare le aliquote marginali “senza impatto sulle entrate”. Quindi piccoli ritocchi senza un abbassamento concreto che permetterebbe all’economia di ripartire.
Ma oggi è la giornata dell’ottimismo pubblicitario e quindi tra il ribasso della Bce allo 0,50% e il taglio delle tasse sul lavoro, la crescita italiana dovrebbe essere sostenuta. Ma sarà davvero così?
Se è vero che l’euforia e la psicologia in finanza possono muovere enormi capitali, è anche vero che nelle imprese l’ottimismo non basta a far ripartire la macchina produttiva.
Come la stessa Ocse afferma gli effetti benefici di questi interventi “richiederanno tempo per materializzarsi, a causa del clima di scarsa fiducia, del ritmo lento della ripresa e della necessità di proseguire sulla strada del consolidamento fiscale”.
L’Italia può attendere? Gli stessi politici dicono che bisogna far presto… ma poi sorridono e si dicono soddisfatti, dov è quindi la verità?
La verità probabilmente “alberga” in quel nord Europa non disposto a trattare con il sud. In quel gelo che si chiama fiscal compact che sembra garantire i paesi forti e decapitare l’economia di quelli deboli… ma non si era parlato di Unione Europea? Non si era detto intraprendiamo un viaggio tutti insieme? Se si potesse sintetizzare con una foto, questa sarebbe la sintesi:

Come possiamo pensare che riprenda l’economia italiana tagliando le tasse sul lavoro? Quanti esercizi hanno chiuso negli ultimi anni? Quante aziende hanno trasferito la loro produzione all’estero? Sarà davvero il taglio delle tasse sul lavoro a far riaprire le attività commerciali e a riportare in Italia la produzione? Non è molto probabile. Piuttosto bisognerà aspettare grandi gruppi economici e finanziari che decidano di venire a investire sul nostro territorio… ma quale sarà il prezzo? Probabilmente i costi saranno sul patrimonio naturale e ambientale, su forme di lavoro senza tutele o con tutele minime e produzioni inquinanti… perché non si spinge invece su le eccellenze produttive italiane? Perché oltre alla riduzione dei tassi non si opera un “avvio assistito” di imprese e industrie che possano attivare un circolo virtuoso sui prodotti tipicamente italiani “sostenendoli” anche sull’esportazione?
Stiamo ancora una volta esultando su una concezione di economia “vecchia”. La scuola del taglio d’imposta che non innesca, su un territorio in crisi, risultati immediati…
Ancora nel rapporto Ocse si parla che la priorità italiana deve essere “la riduzione ampia e prolungata del debito pubblico”, perché “con un rapporto debito/Pil vicino al 130% e un piano di ammortamento del debito particolarmente pesante”, il Paese “rimane esposto ai cambiamenti improvvisi dell’umore dei mercati finanziari”.
Detto in parole povere significa solo che con la riduzione del debito saremo facile preda di imprenditori esteri che avranno gioco-forza nell’imporre le loro economie in Italia e a quel punto, ridotti in miseria dal ripianamento del debito pubblico, non avremo nessuna forza per decidere di non “svenderci” agli stranieri. E’ questo quello che vogliamo? E’ questa l’Italia che sogniamo da qui a 5 anni? Perché nessuno ci sta informando del pericolo concreto che stiamo correndo per rispettare gli impegni presi con l’Europa?
Il sano ottimismo è forse l’unica arma per non far sorgere ancor più malumore tra i cittadini? E’ l’ultima arma che abbiamo a disposizione per avviarci verso una nazione che sarà costretta, dopo la Grecia, la Spagna e Cipro a consegnarsi all’Europa abdicando la propria sovranità?
E allora parliamo di taglio delle tasse sul lavoro, sulla diminuzione del tasso d’interesse per la Bce che dovrebbe garantire ai privati un accesso maggiore al credito, ma quali sono le banche italiane che erogano credito se non sono più che garantite? Quali sono le imprese che attraverso un taglio dello 0,25% avranno nuovo accesso al credito? Forse può avere un valore in altri paesi, ma non certo in Italia dove non vengono neppure più concessi i mutui per la prima casa. Sembra esserci quindi una discrepanza tra l’economia europea e quella che serve concretamente in Italia, tra i vincoli imposti e l’emergenza sociale che stiamo vivendo… l’Italia sta andando incontro a una emigrazione di massa?
Facciamo infine un esempio concreto: vediamo quale è il risparmio annuo di un impresa che beneficia da ora di questo taglio sul costo del lavoro. Ebbene in un anno un’impresa italiana risparmia 630 euro. Ci rendiamo conto che 630 euro per un’industria è il nulla empirico? Sono meno di 700 euro a far chiudere l’industria oppure è la politica economica di base che dovrebbe cambiare?
E le famiglie? Risparmieranno fino a 58 euro l’anno! Meno di una spesa settimanale per 2 persone.
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