
Un luogo, storicamente importante come il Tempio di Adriano, in pieno centro di Roma, a unire il passato e il presente del Pd. L’esperienza e l’innovazione all’improvviso accomunati dall’idea della vocazione maggioritaria e del “partito liquido”. Il Tempio di Adriano, un luogo eretto per divinizzare Adriano dopo la sua morte (forse avviato anche prima, dallo stesso imperatore, per la moglie Vibia Sabina) e che aveva finito per essere, per il Pd, il luogo storico, dove nel febbraio 2009, perse le regionali in Sardegna, proprio qui, Walter Veltroni annunciava le sue dimissioni, lasciando un vuoto, che, nessuna presenza, a lui succeduta, ha saputo colmare. Settembre 2013. Renzi spinge per prendere la segreteria e rifondare il partito, orfano di figure forti, che possano riavvicinare l’elettorato. Il Congresso è vicino e qui, al Tempio di Adriano, si tiene l’evento pubblico che lancia la tappa romana della corsa di Renzi per la segreteria Dem. Proprio qui, c’è al suo fianco Veltroni, un endorsement che è pubblico. Davanti ai tanti renziani che sono corsi per assistere al discorso del sindaco di Firenze ci sono anche molti veltroniani come Giorgio Tonini ed Enrico Morando.
Era l’ottobre 2012 quando, sempre qui, al Tempio di Adriano fu convocata l’assemblea dei liberal del Pd, a sostegno dell’Agenda Monti e, anche in quell’occasione, in prima fila c’erano Morando e Tonini.
E’ Veltroni,oggi, a ricordare come sia nata l’idea del Pd e perché fu fortemente voluto:
“Non ce l’aveva ordinato il medico di fare il Pd. Lo abbiamo fatto per conquistare una prospettiva riformista, per puntare a una maggioranza riformista: c’è stata per tutti i paesi Ue, solo per l’Italia non dovrebbe esserci?” e poi Veltroni aggiunge “A questa prospettiva hanno contrapposto il partito “solido” e non si rendono conto che dal 2008 questo partito è passato dagli 800mila iscritti ai 250-300mila di oggi… Il male profondo del Pd sono le correnti che stanno giustiziando il pluralismo…”.
In questa frase c’è la verità che molti hanno per troppo tempo negato. Quella verità di scollamento tra quello che è il partito democratico e quella che è la base democratica. Sicuramente non è più identificabile come anni fa, nell’operaio o nel proletario, ma sicuramente non è neppure rintracciabile nelle larghe intese o in una dirigenza troppo spesso distratta dai problemi di Berlusconi.
Mentana, chiamato al ruolo di moderatore diverte e si diverte. Ironizza su Renzi “Il capo di una società asfaltatrice vuole fare quello che ha fatto Veltroni…”.
Renzi quando prende la parola, fa entrare di diritto Veltroni in quel Pantheon dal quale era stato escluso dalla rottamazione voluta dal sindaco di Firenze. “Il Pd nasce con Walter al Lingotto. La debolezza del suo Pd sono state le correnti”, dice convinto Renzi.
Ma l’economia è uno degli argomenti più importanti emersi al Tempio di Adriano ed è qui che forse Renzi prende le distanze dal pensiero veltroniano e le traghetta in un Pd 2.0: “Abbiamo un sistema economico regolato dalla stessa compagnia di giro degli ultimi 20 anni. E invece la ripresa bisogna costruirla…”, ma poi il Sindaco di Firenze, che deve evitare gli incidenti con Letta, si piega a dire: “Letta sta facendo un buon lavoro, il governo è necessario ma è necessario anche fare una nuova legge elettorale, concludere questa fase e lavorare per la vittoria alle elezioni”.
Alla fine si assiste a un vero e proprio passaggio generazionale. Walter Veltroni non ha un alter ego, ma in Renzi trova tuttavia una presenza che può portare avanti il suo progetto, naturalmente innovato. Due sinergie che possono convergere su molti punti e arricchirsi delle diversità che ognuno può portare avanti su terreni delicati e a volte melmosi. C’è chi non ha dubbi alla fine del dibattito e afferma “Renzi è più furbo di Walter”, e c’è chi scommette in sala: “Dai che stavolta ce la facciamo”.,
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