La crisi economica ha reso gli italiani più incerti. Da sempre il popolo tricolore non è troppo incline al rischio, ma l’instabilità politica, lo spread e gli indici di borsa costantemente in rosso hanno portato i cittadini a innalzare barriere ancora più imponenti e a essere diffidenti anche sui fondi pensione. Quali convengono davvero? Su quali si può puntare? Partendo dal presupposto che i futuri pensionati non avranno un assegno maggiore di quello rappresentato dal 60% dell’ultimo stipendio, ecco che un’integrazione non diventa più una scelta personale, ma quasi una esigenza di sopravvivenza. Altroconsumo Finanza viene incontro ai cittadini e boccia e promuove le diverse opportunità che potrebbero essere una chance per i pensionati del futuro.
Lo schema poi ripreso dal Sole 24Ore è chiaro:
Promossi i fondi chiusi, cioè quelli derivanti da contrattazioni collettive per categoria e che riguardano i lavoratori dipendenti.
Rimandati i fondi aperti, gestiti individualmente dalle banche e dalle compagnie di assicurazione.
Poca convenienza invece per i Pip, i Piani individuali di previdenza. «Dal punto di vista dei costi – fa notare Pietro Cazzaniga, di Altroconsumo – si rileva che i piani pensionistici individuali sono i prodotti più cari, mentre i fondi pensione doi categoria sono i prodotti più convenienti, e i fondi aperti una via di mezzo».
Quali sono i costi?
I conti sono questi: 1.000 euro di Tfr versati nel 2005 in un fondo chiuso a fine settembre di quest’anno sono diventati 1.333 euro, lasciati in azienda sarebbero stati 1257. «La scelta di una pensione complementare è cruciale, ma il settore fatica a decollare – conferma Cazzaniga -. C’erano 6,1 milioni di iscritti a fine settembre 2013: nei primi 9 mesi dell’anno le adesioni ai fondi negoziali hanno registrato un calo dello 0,7% per via della crescita dei disoccupati portati dalla crisi, quelle ai fondi aperti una crescita del 5,7%, mentre i piani pensionistici individuali sono saliti del 13,7%». L’innalzamento dell’età pensionabile e la serie di riforme di questi anni che hanno seguito la strada del rigore rischiano dunque di impoverire ancora di più i risparmiatori italiani se non sapranno pianificare le proprie scelte. Soprattutto perché nella società post-industriale le carriere delle nuove generazioni sono precarie, intermittenti, imprevedibili. Ma qui subentra il freno culturale, almeno stando ai dati offerti insieme alle pagelle sui fondi pensione. «Il 74% degli italiani – ha spiegato Stefania Farsagli, della Fondazione Rosselli – ritiene che la crisi e la riforma delle pensioni abbia aumentato il bisogno di aderire a un fondo pensione, ma solo il 24% si è iscritto a qualche forma di previdenza complementare». Eppure, «solo il 25% – aggiunge – pensa che la pensione pubblica gli sarà sufficiente”. Se si pensa che in Italia dal 2009 al 2012 ci sono state 42.000 nascite in meno e che il rapporto tra anziani e attivi passerà entro il 2065 dal 30% al 60%, si capirà anche la dimensione della rivoluzione dei costi sociali in arrivo insieme a quella della ricchezza individuale. E, a sentire i relatori del convegno di oggi a Milano, per affrontare il futuro serve una solida ‘educazione finanziaria’». «È convinzione comune di tutti, banche, associazioni dei consumatori e istituzioni – afferma Alessandro Malinverno, segretario generale di PattiChiari – che migliorare il livello di cultura economica dei cittadini sia una priorità, oltre che per favorire la crescita economica, anche per rispondere ad alcune delle principali esigenze sociali emerse a seguito della recente crisi». Si informino le persone, dunque. Ma si vada a parlare del futuro anche a scuola fra i cittadini più giovani che rischiano di non maneggiare mai una pensione. «Oggi – aggiunge infatti Malinverno – vi è purtroppo una scarsa consapevolezza di strumenti come il voucher lavoro, oppure una conoscenza approssimativa della differenza tra previdenza pubblica e previdenza complementare, individuata in modo corretto solo dal 56% dagli studenti che hanno risposto ai nostri questionari. Il 69% dei ragazzi sente poi parlare di pensione esclusivamente come una fonte di preoccupazione per i genitori, il 19% non ne sente mai parlare e il 12% ne sente parlare come un argomento di scarso interesse».