Carlitos Tevez ha siglato ieri a Genova la seconda rete dell’incontro, dopo il rigore realizzato da Vidal, traghettando i bianconeri verso la vittoria.
E mentre la curva esultava, El Apache esultava nel modo che abbiamo imparato a conoscere: mostrando la maglia con una scritta. Le dediche dell’argentino della Juve, infatti, guardano sempre alla sua terra natale e, più precisamente, ai quartieri poveri e degradati della capitale. La Maciel, o Isla Maciel, è un barrio che si trova nel partido de Avellaneda, ma non si tratta di un’isola: è separato da Buenos Aires da un torrente e dal distretto di Avellaneda da una larga strada, creando così l’effetto di isolamento e, soprattutto, emarginazione dei suoi abitanti. Il vicino fiume Maciel prende a sua volta il nome da un politico che nella prima metà del diciannovesimo secolo venne isolato dal barrio di Santa Fé e diventò il proprietario della “Isla”.
E’ CanaleJuve a spiegarci che “la Maciel ospita sin dalla fine dell’800 un gran numero di immigrati – anche italiani. Ferrovie, treni merci, baraccopoli molto antiche, qualche casa di legno e metallo e tanta povertà. La principale fonte di guadagno del luogo (oltre alle industrie) sono stati per molti anni i bordelli che hanno accolto i marinai europei. Una zona completamente ai margini di tutto, in cui non trova spazio nemmeno la morale cristiana; gli unici stranieri ad essere risparmiati dai delinquenti del luogo erano proprio i clienti delle prostitute. Diecimila abitanti spesso coinvolti in regolamenti di conti tra bande rivali; niente luce, acqua né gas. Qualche mensa, alcune scuole e soprattutto il Club Atlétíco San Telmo: una squadra che è l’orgoglio della gente. Nato nel 1904 in un altro barrio, il San Telmo dovette spostarsi a la Maciel nel 1926; qui vennero costruiti tutto il suo quartier generale e (soprattutto) “La Fortaleza”, quello che oggi è considerato lo stadio più pericoloso di tutta l’Argentina. Nel 2006 diventò teatro di uno dei più grandi massacri che il calcio ricordi, quando gli ospiti del Talleres vennero uccisi negli scontri con i tifosi di casa. Un episodio, nemmeno tanto isolato, che portò a cinque anni di chiusura forzata dell’impianto, con il San Telmo costretto a disputare le sue gare lontano dalla sua gente. Storie di periferia e di calcio, di follia e di violenza dove il pallone e la squadra del quartiere sono le vere divinità di tutti. I bar, i chioschi e i negozi vengono mandati avanti da persone del luogo, perché nessuno si sognerebbe di cercare fortuna proprio lì, dove sparatorie e rapine sono all’ordine del giorno. La gente del posto sostiene che la paura c’è tanto a la Maciel quanto in un qualsiasi altro barrio, dall’esterno parlano di nuove bande che cercano rifugio in questa realtà dimenticata da Dio per iniziare nuove guerre interne, coinvolgendo anche i più giovani. Una cornice di droga e delinquenza in cui c’è anche chi non perde la speranza e crede che la situazione possa cambiare: attendendo la costruzione del nuovo ponte “Nicolás Avellaneda” e della nuova strada di fianco al torrente Riachuelo si attendono e si sognano nuove aperture ai turisti provenienti dai vicini quartieri più famosi, per abbattere il muro di isolamento che da sempre accompagna questo e molti barrios argentini.”