La sanità italiana sempre più in difficoltà avrà ora un alleato… la sanità europea. Ma se per i cittadini la caduta delle frontiere sanitarie rappresenta una vera e propria libertà e un maggior diritto alle cure, per i medici e le strutture sanitarie aumenterà invece la competizione. Il principio approvato nella direttiva del 2011 1 dal Parlamento di Strasburgo che diverrà operativa nella settimana tra il 25 ottobre e il 4 novembre consentirà ai malati di richiede, tramite il proprio Paese di residenza assistenza sanitaria a un qualunque Stato membro dell’Unione europea, soprattutto nei casi di estrema necessità. Quindi se il proprio Paese non risponde alle esigenze specifiche di quella malattia si potrà richiedere la cura nei Paesi dove i macchinari sono adeguati, non ci sono liste d’attesa e c’è accesso a nuovi metodi di cura.
Le limitazioni prevedono: l’assistenza “a lungo termine” che non sarà riconosciuta così come le vaccinazioni e i trapianti.
Se una persona deciderà di curarsi in uno Stato dell’Unione europea, sarà il sistema sanitario del proprio Paese di residenza a coprire le spese relative, ad esempio, al viaggio e all’alloggio, alle visite mediche e specialistiche, al ricovero, all’acquisto di farmaci e dispositivi medici (tutori, protesi). Questo a patto che le cure e i trattamenti avvengano in una struttura pubblica o si svolgano online, attraverso assistenza medica telematica. Nel caso in cui il paziente si rivolga invece a una struttura privata, le spese saranno a suo carico. A decidere sulle modalità e sul tipo di rimborso da offrire ai cittadini saranno i singoli Paesi, in base a leggi fissate a livello nazionale. La direttiva sull’assistenza sanitaria transfrontaliera stabilisce solo alcune regole di massima, che escludono ad esempio i rimborsi per i cosiddetti “servizi di assistenza a lungo termine” e per le cure rilasciate da strutture private. L’obiettivo è infatti quello di controllare le spese evitando, per quanto possibile, spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane.
La direttiva europea non interferirà sulle scelte etiche dei singoli Stati e dei loro operatori sanitari quali medici e farmacisti. Pertanto, se lo Stato prescelto per le cure consiglierà ad esempio l’assunzione di un medicinale che nel Paese di residenza è soggetto a obiezione di coscienza (in Italia la pillola abortiva RU486 e la pillola del giorno dopo), nulla vieterà al medico curante, al farmacista e alla struttura sanitaria di astenersi dalla prescrizione, dalla vendita e dalla somministrazione del farmaco. La regola varrà anche per quelle cure e quei farmaci ritenuti, dal Paese di residenza, “a rischio” per la salute delle persone. Anche in questi casi sarà il medico curante e il farmacista a valutare i singoli casi al fine di tutelare la salute pubblica.
Gabri
/ ottobre 20, 2013Reblogged this on BSIDE-ME.