Ora ci sarebbero elementi sufficienti da poter far ipotizzare che il Dna ritrovato sul coltello sequestrato in casa di Sollecito possa essere riconducibile ad Amanda Knox. Questa è l’indicazione almeno, al momento, che sta emergendo dalla perizia dei carabinieri del Ris di Roma, incaricati dalla Corte di Firenze che sta celebrando l’appello bis.
Gli esami sono iniziati giovedì e sono proseguiti per tutta la giornata di venerdì, alla presenza dei consulenti delle parti. Per l’esito definitivo, comunque, servono altri accertamenti. I risultati saranno presentati con una perizia che sarà depositata entro la fine di ottobre e discussa poi in aula il 6 novembre.
La traccia venne individuata dagli esperti nominati nel processo d’appello a Perugia, ma non sottoposta ad analisi perché ritenuta non suscettibile di «corretta amplificazione, essendo un low copy number». Cioè una quantità di Dna tale «da non poter garantire risultati affidabili».
Dopo l’annullamento da parte della Cassazione delle assoluzioni di Sollecito e Amanda Knox, nell’appello bis in corso a Firenze, i giudici hanno ordinato una nuova perizia. Al Ris avevano chiesto di stabilire se la traccia finora non esaminata fosse analizzabile e, nel caso, se fosse riconducibile alla vittima o a Rudy Guede, già condannato a 16 anni di reclusione. Gli elementi emersi porterebbero invece al codice genetico della Knox.
Gli avvocati Luciano Ghirga e Luca Maori, legali della Knox e di Sollecito, si sono infatti limitati a far capire che sarebbero soddisfatti se fossero confermate le indiscrezioni sull’attribuzione alla giovane di Seattle. «Se corrisponderanno al vero – ha commentato il legale della famiglia Kercher, l’avvocato Francesco Maresca – si conferma che il coltello è passato nelle mani di Amanda, risultando accertato che la perizia doveva essere portata a termine e che fu invece lasciata incompiuta»