La crisi è tangibile, ma sembrerebbe che ci sia anche chi, approfittando della mancanza di lavoro, costringe i lavoratori a vere e proprie “condizioni estreme”. Turni di 12 ore al giorno, tutti i giorni e per dormire stanze grandi come sgabuzzini o nel peggiore dei casi su brandine all’aperto. Naturalmente paghe da fame, contratti fasulli e nessun diritto sono pane quotidiano per questi “lavoratori”. Questa è l’altra faccia del turismo di massa? Questa è l’occasione di guadagno offerta ai giovani (e non giovani) italiani? La “zona d’ombra” è formata da quello staff che ogni anno viene richiesto in Riviera per un lavoro stagionale nel settore alberghiero. A denunciarlo è una ragazza siciliana di 33 anni, Lucia, che è stata cacciata dall’hotel dove lavorava dopo essersi ribellata per aver percepito a fronte di 15 ore di lavoro giornaliero meno di 800 euro di stipendio. Ma la storia di Lucia non è un fatto isolato, sono decine i giovani che hanno trovato la forza di ribellarsi e di chiedere aiuto a sindacati e associazioni (fra queste Rumori sinistri che si occupa di storie come quelle di Lucia). In un clima di assenza istituzionale, dove l’unico incentivo è stato quello di varare un incentivo che discrimina chi studia e favorisce chi non ha un diploma, ci sono i gruppi di volontari che si organizzano in portelli mobili e forniscono assistenza ai lavoratori.
in questo periodo estivo i racconti arrivano dalle località simbolo del turismo a basso budget e servizi standard: Cesenatico, Rimini, Riccione, Cervia, Milano Marittima. Città che nel tempo hanno fatto del turismo la loro fortuna, uno speciale marchio di fabbrica romagnolo, noto, non solo in Italia, per le vacanze del divertimento a costo contenuto, accessibile a tutti. “Provate a pensare che dietro le facce sorridenti di chi vi accoglie in albergo spesso si nascondono giornate di lavoro massacrante, privo di qualsiasi diritto di base”. Marco ha 35 anni e nella voce un accento che tradisce la sua provenienza lombarda.
A Bellaria è arrivato a marzo, rispondendo a un annuncio di lavoro trovato online per receptionist in un albergo a tre stelle. Si è ritrovato invece a fare il muratore e l’idraulico, per più di 12 ore al giorno, tutta la settimana, senza giorno libero. “Ho ricostruito interi bagni, completamente da solo. Veri e propri lavori edilizi, fisicamente molto pesanti, senza trovare un centesimo in più in busta paga. Ma la cosa peggiore era la pressione psicologica, che viene fatta anche con piccoli gesti. Per esempio, il divieto di mangiare dei pasti normali: noi avevamo diritto solo agli scarti lasciati dai clienti del ristorante”.
Ora Marco, dopo aver raccontato la sua esperienza all’ispettorato del lavoro, è alla ricerca di un altro posto. “Ho visto lavoratori umiliati e impiegati completamente in nero. A volte costretti a dormire su brandine messe fuori in cortile. Ora me ne voglio andare e di sicuro non farò mai più una vacanza in albergo, sapendo che dietro c’è tutto questo”. Con Marco c’è Marta, emiliana di 22 anni arrivata in Riviera fresca di una laurea in Lingue. Anche lei preferisce non mostrarsi: “Da marzo, sono impiegata nella reception di un albergo. Le prime settimane ho lavorato in nero, poi mi hanno fatto un finto contratto di apprendistato, che prevedeva 4 ore al giorno. Ma in realtà lavoro molto di più, almeno 6 o 8 ore al giorno, per tutta la settimana, senza pause”. Sul cellulare una foto della stanza che le hanno dato per dormire. Un tugurio di un metro e mezzo per un metro, con un letto a castello e senza aria condizionata, che divide con un’altra lavoratrice.
“Il lavoro gravemente sfruttato nel turismo ha origini lontanissime, ma oggi il fenomeno è peggiorato, ce ne accorgiamo dalle voci di chi arriva da noi”, spiega Manila Ricci di Rumori sinistri, che giovedì sera, sul lungomare di Rimini, ha organizzato uno sportello mobile per accogliere e informare stagionali alle prese con condizioni di lavoro insostenibili. “Raccogliamo sempre maggiori denunce – aggiunge la Ricci – di violenza fisica e psicologica”. Colpa anche della crisi. “Di certo la povertà ti spinge ad accettare anche condizioni di lavoro pesantissime, in una sorta di ricatto. Una delle problematiche che ultimamente incontriamo in maniera sempre più frequente è quella legata all’alloggio del lavoratore. E quando parliamo di alloggi non parliamo delle stesse camere riservate ai turisti, ma di spazi angusti ricavate in zone di deposito del materiale alimentare, o scantinati. Un modo per calpestare il diritto alla salute e a vivere in luoghi sani”, conclude.
Si può ancora parlare di lavoro in Italia? Storie di ordinaria follia o drammatica realtà? Forse ai dati Istat che vengono forniti bisognerebbe anche aggiungere le situazioni estreme, ma i numeri non sono in grado di raccontare l’umiliazione e la sottrazione dei diritti… i dati ci raccontano che questi ragazzi sono occupati. Forse è ora di mettere la voce sfruttamento? O schiavitù? Possiamo parlare di ius soli quando non riusciamo a garantire i diritti ai nostri giovani? Vogliamo mettere in “schiavitù” anche le nuove generazioni degli stranieri? Vogliamo strappare un occasione di futuro anche ai migranti che già hanno un passato di sofferenza relegandoli ai lavori in nero e sottopagati?