Berlusconi non ha osservato il principio di “leale collaborazione”

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Sono state pubblicate oggi, dalla Corte Costituzionale, le motivazioni della sentenza sul legittimo impedimento, emessa lo scorso 19 giugno, con cui era stato respinto il ricorso presentato dai legali di Berlusconi contro il mancato riconoscimento del legittimo impedimento del’ex premier a comparire nell’udienza del processo Mediaset del primo marzo 2010 in quanto impegnato a presiedere un Consiglio dei ministri. La Consulta ha spiegato che, da parte dell’allora Premier, non è stato osservato il principio di “leale collaborazione” con il tribunale di Milano mentre l’autorità giudiziaria ha esercitato il proprio potere “senza ledere prerogative costituzionali dell’organo di governo, che restano tutelate in ordine sia all’attività sia all’organizzazione”. Tale principio è “bidirezionale”: in quanto tale, il giudice deve tener conto degli impegni del premier ma quest’ultimo deve dare adeguato spazio nella sua agenda al processo che lo riguarda. La Corte osserva quindi che, da un lato, il giudice “deve definire il calendario delle udienze ‘tenendo conto degli impegni del Presidente del Consiglio dei ministri riconducibili ad attribuzioni coessenziali alla funzione di governo e in concreto assolutamente indifferibili’; dall’altro lato, il presidente del Consiglio dei ministri deve programmare i propri impegni ‘tenendo conto, nel rispetto della funzione giurisdizionale, dell’interesse alla speditezza del processo che lo riguarda e riservando a tale scopo spazio adeguato nella propria agenda’”. In astratto, il dover presiedere una riunione del Cdm può sì rappresentare un legittimo impedimento, ma lo stesso è convocato dal premier in persona e questo “segna una netta differenza rispetto ai casi in cui la possibilità di rinviare l’impegno sfugga interamente alla programmazione dell’imputato (come avviene, per i componenti delle assemblee elettive)”. La Corte Costituzionale sottolinea inoltre che il Regolamento del Consiglio dei ministri “prevede espressamente l’ipotesi di assenza o impedimento temporaneo del presidente del Consiglio dei ministri”, attribuendo le relative funzioni al vicepresidente del Consiglio o, in mancanza, ministro più anziano. Un’ipotesi, osserva la Consulta, “che, nella XVI legislatura, si è verificata in oltre il dieci per cento delle riunioni”.

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