Manifestazione di solidarietà a Genova, ma in mezzo alla disperazione spunta la rabbia. Migliaia di persone a piazza Matteotti e una città che si blocca, quasi pietrificata, per 15 minuti. Chiudono le banche. Chiudono i negozi. Chiudono i supermercati. Sospese le attività nelle scuole e nelle università. I primi ad affollare la piazza sono gli operai delle Riparazioni navali, seguiti da quelli di Fincantieri e dai camalli del porto.
Ma dalla tragedia alla protesta il passo è breve. Un gruppo di lavoratori portuali ha contestato durante la cerimonia in ricordo delle vittime della tragedia avvenuta nel porto di Genova urlando «Date la parola ai lavoratori», «Fate tacere le istituzioni». Alcuni lavoratori hanno tentato di salire sul palco, ma sono stati fermati dalla polizia.
Ma cosa è successo quella notte?
«Prima si è sbriciolata la palazzina. Cinque secondi dopo la torre ha cominciato a ondeggiare ed è crollata in una nuvola di fumo. Non potevamo fare nulla». È il racconto di Marco Ghiglino, il comandante del Genua, il rimorchiatore che era a prua della Jolly Nero quando la nave si è schiantata contro la banchina. Il Genua è un’imbarcazione di 30 metri con 60 tonnellate di tiro: «Ma anche se avessimo mandato le macchine oltre ogni limite – dice – non ce l’avremmo fatta a fermare la corsa di quella nave». La sera di martedì, racconta ancora Marco Ghiglino, il Genua si è agganciato alla Jolly Nero alle 22,15 e un quarto d’ora dopo ha iniziato a fare il suo lavoro. Per uscire dal canale la Jolly ha impiegato una ventina di minuti, con il rimorchiatore di poppa, lo Spagna, che ogni tanto correggeva la rotta per tenere la Jolly parallela alla diga. Un’ora e un quarto dopo la partenza, l’incidente. «Abbiamo sentito Fabio (il collega che comandava lo Spagna) dire alla nave che era a 70 metri dalla banchina e poi abbiamo eseguito il loro ordine di continuare a tirare a tutta» afferma ancora Marco, dicendo di non aver sentito, dalla sua posizione, se la nave abbia o meno attivato le sirene per avvisare che c’era un problema. Ma nonostante lo sforzo dei rimorchiatori, la Jolly ha proseguito la sua corsa. «Non potevamo fare nulla di più – ripete Marco – abbiamo visto il crollo e abbiamo solo potuto telefonare al 115. In due minuti erano già lì».