Mannuela Iatì interviene via Facebook sulle polemiche che l’hanno vista protagonista in merito all’intervista al figlio di Preiti, è infatti tra quanti hanno intervistato il figlio dello sparatore, anche se l’intervista girata da lei in particolare non è andata in onda.
“Torno da Predosa e all’improvviso mi accorgo che sono montate polemiche accesissime sulla messa in onda dell’ “intervista” al figlioletto di Preiti. Bene, siccome amo la verità dei fatti e non sopporto che si parli di “sciacallaggio” anche quando non è così, vi spiego com’è andata, essendo una delle tre giornaliste presenti al momento dell’ “intervista”: a chiedere ESPRESSAMENTE che, attraverso le tv, il bambino potesse dire al padre che gli vuol bene anche se ha sbagliato, é stata la mamma. La signora Ivana (che è stata peraltro garbata, disponibile e dignitosa nel rilasciarci le sue dichiarazioni) lo ha portato davanti alle telecamere di sua iniziativa, senza che neanche minimamente qualcuna di noi si fosse sognata di chiedere una cosa del genere. Anzi, aggiungo che, fosse stato per lei, il bimbo sarebbe stato addirittura ripreso in viso, così come ci aveva chiesto. Se invece è stato ripreso di spalle e col cappuccio in testa é soltanto grazie alla sensibilità e professionalità delle colleghe che lo hanno fatto appunto girare, proprio per tutelarlo. Io non so cosa sia andata in onda dell'”intervista”, non ho visto, forse l’aspetto della richiesta espressa del bimbo e della madre di mandare un messaggio d’affetto al papà poteva essere esplicitato, cosí da non creare equivoci. E forse qualche domanda nella parte finale di questa “intervista” era un “di più” che poteva essere evitato. In ogni caso, però, ritengo che, prima di sollevare pesanti accuse contro “un certo modo di fare giornalismo”, bisognerebbe informarsi meglio. E lo posso dire con ancora maggiore tranquillità per il fatto che non ho alcun interesse specifico nella questione, dal momento che sapevo già stamattina che non avrei usato e messo in onda quel tipo di ripresa per un mio servizio in trasmissione, essendo non adatta alla tipologia del mio racconto. È tutto”.
Nonostante ci sia la Carta di Treviso, come ha ricordato Carlo Gubitosa, che impegna i giornalisti a non avvalersi mai dei minori, nemmeno se autorizzati dai genitori in trasmissioni che possano turbare o ledere il ragazzo, nulla a fermato i giornalisti. C’è poi un mero fatto etico che dovrebbe fermare ogni giornalista sul confine tra scoop e buon senso. Anche se la madre in un attimo di shock abbia chiesto che il ragazzino parlasse, sarebbero stati i giornalisti a non voler accogliere quella richiesta chiaramente dettata da un istinto poco lucido in un momento drammatico di una famiglia immersa in una tragedia. I giornalisti hanno pensato come quelle parole potessero essere accolte dalla figlia del carabiniere ferito? Come quelle parole potessero generare rabbia e sconcerto in altre famiglie?