“Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione”.
Mentre i ministri pronunciavano la formula di rito e firmavano davanti a Napolitano i loro incarichi, davanti a Palazzo Chigi si consumava la tragedia. Due momenti, due scene, due istantanee diverse di un Paese profondamente dilaniato.
Ci riporta indietro negli anni quando rapirono Aldo Moro proprio nel giorno del primo dibattito sulla fiducia al nuovo governo Andreotti IV.
Il rapimento Moro si collocò in quell’atmosfera pesante della fine degli anni 70 e nei giorni in cui si era in procinto di fare quel “compromesso storico” che doveva riavvicinare la Democrazia Cristiana al Partito Comunista Italiano.
Oggi invece la sparatoria, che sembra opera di un uomo in crisi, colpito da gravi disagi economici e personali, è avvenuta nel giorno del giuramento del governo Letta.
Quello che si deve analizzare è il contesto sociale in cui avviene: da una pressione fiscale insostenibile per molti cittadini, al problema della disoccupazione (soprattutto giovanile) e da quella sfiducia nel futuro che sembra trasversale a diverse generazioni. In un clima in cui gli italiani hanno perso anche gran parte del loro potere d’acquisto, sono incerti sul futuro e temono manovre finanziarie che possono gravare ancor di più su bilanci famigliari sempre più in bilico.
Si rapisce ( e in seguito si ucciderà) un uomo politico nel 1978, si spara ai carabinieri nel 2013… è sempre il disagio sociale e le politiche di governo che spesso non sanno dare risposte certe ai cittadini a innescare le micce delle ribellioni più violente. Oggi abbiamo avuto un segnale forte, un indicatore che deve farci riflettere non sul gesto di un emarginato, psicologicamente provato dalla crisi, ma su una rabbia crescente e sul bisogno imminente di dare nuove speranze agli italiani. Non si può vivere solo nell’incubo economico, perché a vincere altrimenti sarà la violenza.